Roma, 19 gennaio: Nessuna resa. La loro lotta è la nostra lotta. Presidio in occasione della giornata di mobilitazione internazionale in solidarietà con i prigionieri rivoluzionari in sciopero della fame

Riceviamo e  diffondiamo:

NESSUNA RESA
LA LORO LOTTA È LA NOSTRA LOTTA

In un mondo in cui il profitto è il motore universale che sposta e determina gli eventi del pianeta, non ci stupisce che la guerra sia ogni giorno più presente nelle nostre vite.

Guerra guerreggiata ai confini d’Europa, guerra contro-insurrezionale al nemico interno: la guerra moltiplica i profitti dei soliti noti e infierisce sugli strati più poveri della popolazione, sulla natura, sulla vita stessa.

I fini sono gli stessi a tutte le latitudini: dominare, sfruttare, saccheggiare.

Le conseguenze anche: carovita, sofferenza e sfruttamento.

Chi a tutto ciò oppone resistenza, incappa negli ingranaggi repressivi, che siano movimenti di lotta popolari o le organizzazioni e gli individui rivoluzionari che osano coniugare idee e azione.

Gli stessi meccanismi di isolamento e alienazione che nella società civile dilagano rendendoci soli e deboli, vengono riprodotti e si fanno estremi all’interno del carcere, pilastro insostituibile del sistema capitalista, attraverso l’isolamento, la dispersione e l’applicazione di regimi differenziati.

E se carceri e tribunali sono da sempre feroci strumenti della lotta di classe, dentro alle galere c’è chi a questa battaglia non si sottrae. Oggi lo stanno facendo tutte quelle compagne e compagni che hanno scelto di intraprendere lo sciopero della fame a oltranza, fino alla morte.

In Italia, Alfredo Cospito, in sciopero dal 20 ottobre per l’abolizione del regime d’isolamento 41 bis e dell’ergastolo ostativo e in solidarietà con tutti prigionieri rivoluzionari.

In Francia, Ivan Alocco, in sciopero oggi per la seconda volta (non ad oltranza) per sostenere la lotta di Alfredo Cospito.

Nei territori occupati da Israele, Nidal Abou Aker, Ghassan  Zawahreh, Salah Hamouri, Ziad Qaddoumi e decine di altri prigionieri, in sciopero contro la detenzione amministrativa, potenzialmente infinita.

In Turchia militanti, giornalisti e rappresentanti del  partito filocurdo HDP incarcerati con pretestuose accuse di terrorismo e condannati a decine di anni di prigione. Da anni i prigionieri curdi conducono una battaglia con gli strumenti della resistenza e dello sciopero della fame contro il carcere speciale e per la liberazione di Abdullah Öcalan e di tutti i prigionieri politici dalla segregazione.

Chi lotta con determinazione non ha mai perso: mettere in gioco la propria vita per l’affermazione dei propri valori rivoluzionari è di per se una vittoria.

Ma a volte la lotta paga nel senso più empirico del termine. È notizia di pochi giorni fa che dieci degli undici prigionieri e prigioniere rivoluzionari turchi, detenuti in Grecia, in sciopero della fame dal 7 ottobre scorso sono stati liberati su cauzione. Questi compagni chiedono la revisione del processo, rifiutano e rispediscono al mittente l’accusa di terrorismo, segnalando il collaborazionismo spietato tra gli Stati turco, greco e statunitense che ha portato al loro arresto.

In Grecia, il combattente anarchico Thanos Chatziangelou, in sciopero della fame e della sete, contro il trasferimento punitivo nel carcere di Negrita in seguito alla sua partecipazione alle lotte dei detenuti, ha vinto questa lotta ottenendo l’accettazione delle sue richieste.

Ciò che gli Stati pretendono attraverso la tortura e l’isolamento è il pentimento, la capitolazione, l’abiura. Questi compagni rifiutano l’ipotesi della resa e della collaborazione, rifiutano di essere sepolti vivi. Lo sciopero della fame è il loro strumento di lotta, il loro corpo l’ultima trincea.

La resistenza di questi prigionieri è grande, generosa. Pagano un prezzo estremamente alto per sostenere la possibilità e la necessità della rivoluzione. A qualsiasi tendenza politica appartengano sono una parte preziosa del movimento di liberazione.

Come dicono le prigioniere ed i prigionieri turchi che hanno lottato con un lungo sciopero della
fame:

“La nostra resistenza ci unisce.
La nostra resistenza è il fondamento dell’internazionalismo.
La nostra resistenza rafforza l’unità dei nostri popoli”.

Giovedì 19 gennaio 2023 chiamiamo una giornata di mobilitazione internazionale ed internazionalista, per l’abolizione del 41 bis e di tutte le forme di isolamento e tortura, perché da ogni luogo della terra si innalzino i bagliori delle prigioni in fiamme.

A Roma: Presidio, appuntamento alle ore 17:00, in piazza S. Marco.

Assemblea di solidarietà con i prigionieri in lotta