Cronache dallo stato d’emergenza (Numero7)
4 Maggio 2020
1° maggio a Rovereto
Il 1° maggio, una ventina di compagni e compagne sono scesi in strada per circa un’ora nel quartiere popolare delle Fucine con una serie di interventi amplificati tra i palazzi dell’Itea (Istituto Trentino Edilizia Agevolata). Come già successo il 25 aprile al Brione, è stata un’occasione per parlare sia delle cause strutturali dell’epidemia – tutte collegabili al modo capitalista di saccheggiare e di sfruttare la natura – sia di come l’hanno affrontata Confindustria e governo, provocando di fatto una strage. Anche durante questa iniziativa si sono invitati gli abitanti dell’Itea che sono in difficoltà economiche (i dirigenti dell’Ente provinciale hanno annunciato una moratoria dei canoni per i negozianti, ma non per gli inquilini) a organizzarsi per non pagare l’affitto. Si è sottolineato come il divieto – che perdurerà anche dopo il 4 maggio – di incontrarsi in più persone all’aria aperta abbia lo scopo di tenerci isolati e passivi di fronte a ciò che ci stanno preparando: i prestiti che il governo si appresta a chiedere alle istituzioni europee e ai creditori interni (banche, assicurazioni, fondi di investimento) saranno rimborsati aumentando lo sfruttamento dei lavoratori e delle fasce più povere della società, aspetto sul quale “europeisti” e “sovranisti” sono tutti d’accordo. Per resistere a questo – e all’introduzione del 5G – è necessario violare responsabilmente le misure di confinamento sociale. Alcuni abitanti – soprattutto giovani – si sono avvicinati all’iniziativa. Due pattuglie della polizia, invece, si sono mantenute a distanza.
“Se possiamo lavorare, possiamo anche scioperare”
Con questa slogan, tra il 30 aprile e il 1° maggio sono stati organizzati blocchi e scioperi nella maggior parte delle filiere della logistica. A Bologna, a Casoria, in provincia di Napoli, a Torino, a Campi Bisenzio, a Calenzano, a Modena (dove le proteste erano già cominciate all’inizio della settimana). E poi Genova, Milano, Brescia, Bergamo, Piacenza, Firenze, Roma, Caserta… Ancora una volta i facchini – in gran parte immigrati – si confermano come il settore più combattivo della classe salariata. Hanno scioperato anche i riders di Torino e i pulitori dei trasporti di Napoli, che il 30 aprile hanno bloccato la metropolitana.
Nel ventre della bestia
Mentre sui media italiani si dà spazio solo alle proteste dei sostenitori di Trump, i quali vogliono la ripresa dell’attività economica senza se e senza ma (la stessa posizione assunta dalla Lega e cavalcata dai fascisti, i quali provano a camuffarsi dietro le “mascherine tricolori”), il 1° maggio negli Stati Uniti ci sono stati scioperi imponenti contro giganti come Amazon, Whole Food, Walmart, Target. Le rivendicazioni sono la chiusura dei siti dove ci sono stati dei contagi, nessuna restrizione nei test ai sospetti contagiati, la retribuzione del lavoro pericoloso, l’interruzione della consegna di merci non essenziali e la fine delle ritorsioni contro i lavoratori che richiedono maggiore sicurezza sul lavoro. Gli infermieri sono scesi in strada davanti a 130 ospedali in 13 Stati per l’assunzione di nuovo personale, contro la mancanza di dispositivi di protezione e contro i tentativi di mettere a tacere chi protesta. Denominatore comune di queste e tante altre manifestazioni, l’opposizione alle spese e agli interventi militari a stelle e strisce. Da marzo sono stati documentati almeno 140 scioperi selvaggi in tutti gli Stati Uniti. Nel frattempo in California, nello Stato di New York, in Missouri e in diverse grandi città si allarga lo sciopero dell’affitto.
“Congiunti”
Chiedersi quale finalità pratica abbiano per il contenimento del contagio le norme che da più di un mese ci vengono imposte si è rivelato fino ad ora un esercizio fondamentale di spirito critico. Dal 4 maggio, data di inizio della famigerata “fase 2”, le restrizioni alle nostre libertà (soprattutto quelle di associarsi e di manifestare) non cambieranno, ma sarà possibile andare a visitare… chi? Nella prima versione erano i congiunti. Proteste. Avete capito male, volevamo dire gli affetti stabili. Questo balletto rivela una volta di più che certe misure c’entrano ben poco con la salute. Quale utilità pratica ha rispetto al contenimento del contagio poter incontrare solo i parenti? I legami familiari ci proteggono forse dalla possibilità di contagiarci? Esiste una sorta di immunità di gregge legata al cognome? La risposta ci sembra ovvia.
Nei prossimi giorni molte attività riapriranno i battenti (tralasciando quelle, non certo essenziali, che non li hanno mai chiusi, come le aziende che producono armi); si tornerà a produrre e consumare quasi a pieno regime. Non torneremo però ai nostri legami sociali significativi, alle nostre amicizie, alle nostre complicità: quelle, sulla carta, valgono meno di un attestato di parentela. Pazienza per chi una famiglia non ce l’ha o con essa ha chiuso i rapporti perché altrove ha trovato affetto, comprensione, reciprocità.
Lavoro, patria, famiglia: questo è l’essenziale!
Ma se vogliamo farla finita con l’organizzazione sociale che crea le pandemie, dobbiamo anche rivendicare a gran voce l’importanza di tutti i nostri legami, specie di quelli più disinteressati e autentici – che spesso, con la famiglia, non hanno niente a che fare.
Similitudini
Catturare attraverso il Diritto tutte le espressioni della vita umana è un’utopia totalitaria. Totalitaria, perché la sua realizzazione renderebbe gli esseri umani simili alle macchine; utopia, perché lo Stato non potrà mai controllare tutto quello che facciamo. Vi si può avvicinare, però, e parecchio, sfruttando le occasioni più propizie. Cos’hanno di particolare i Decreti emanati in nome dell’emergenza Coronavirus rispetto alle innumerevoli leggi liberticide che hanno costellato la storia di questo Paese? Non solo e non tanto l’estensione di massa delle restrizioni, ma il fatto che – capovolgendo le basi dell’ideologia liberale – questi Decreti definiscono come consentito non ciò che non è espressamente vietato, ma ciò che è espressamente permesso. Ebbene, qual è l’unico luogo in cui le attività si dividono tra quelle espressamente permesse e quelle espressamente vietate? Il carcere.
Mentre non incassa ancora il consenso necessario a introdurre l’applicazione “Immuni” per il tracciamento digitale dei contatti sociali, lo Stato ha iniziato a prevedere per alcuni detenuti semi-liberi l’obbligo di possedere uno smartphone per la geolocalizzazione. In sostituzione di cosa? Dei braccialetti elettronici, la cui costruzione è affidata a una delle compagnie di telefonia mobile (Fastweb).
L’avanzata della tecnologia digitale permette ciò che i regimi totalitari del passato non hanno nemmeno osato immaginare.
Versione pdf: Cronache7