Materiali dal fronte del porto (I)

Materiali dal fronte del porto (I)

Riceviamo e pubblichiamo questo intervento letto venerdì 10 novembre da una compagna femminista dell’assemblea contro guerra e repressione durante il presidio-blocco del varco di San Benigno al porto di Genova. Il presidio, a cui hanno partecipato circa cinquecento persone, ha bloccato il varco e la strada di fronte dalle 6,00 fino alle 13,00. Trasformandosi anche in un corteo verso la sede della compagnia israeliana di navigazione ZIM.

Mille ragioni e una sola

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mille ragioni e una sola

Oggi è importante essere qui a bloccare il varco portuale di San Benigno per mille ragioni.

Il porto è uno snodo cruciale della logistica di guerra, un luogo fisico in cui convergono i diversi interessi di chi produce e traffica armi, da cui partono materiali di uso militare destinati all’esercito saudita e veicoli mimetici per l’esercito tunisino. Qui transita periodicamente la compagnia saudita Bahri con i suoi carichi di armamenti destinati a rifornire le guerre in Medio Oriente, già oggetto di una intensa campagna di lotta e boicottaggio avvenuta nel 2019, a Genova come in altri porti d’Europa e del Nord America.

Nel porto si concretizzano le economie delle nazioni, si realizzano utili e profitti, circolano merci, perciò ostacolarne il passaggio, con la nostra presenza e con i nostri corpi, danneggia i guadagni diretti di molte compagnie navali, tra cui l’israeliana ZIM.

È importante essere qui perché siamo da tempo in uno stato di guerra perenne, la guerra in Ucraina prosegue da quasi due anni, senza soluzione all’orizzonte, anzi con il forte rischio di innescare una terza guerra mondiale. Da un mese Israele sta bombardando e assediando la striscia di Gaza, massacrando la popolazione palestinese già colpita da decenni di occupazione e apartheid, nella più grande prigione a cielo aperto del mondo.

Oggi raccogliamo gli appelli dei sindacati palestinesi che chiamano alla solidarietà internazionalista:

Questa situazione urgente e genocida può essere prevenuta solo da un aumento massiccio della solidarietà globale con il popolo palestinese – ciò può frenare la macchina da guerra israeliana. Abbiamo bisogno che voi agiate immediatamente, ovunque siate nel mondo, per impedire l’armamento dello Stato israeliano e delle aziende coinvolte nelle infrastrutture del blocco.

Facciamo nostra la chiamata delle associazioni di donne in Palestina:

I movimenti delle donne storicamente sono stati centrali nelle lotte contro l’oppressione, la discriminazione, il colonialismo e il militarismo. Nello stesso spirito ed in risposta al genocidio in corso a Gaza da parte di Israele, noi donne dei sindacati e dei movimenti di base che rappresentano le donne palestinesi nella Palestina storica ed in esilio, chiamiamo tutte le donne e le organizzazioni di donne nel mondo a prendere parola e a sollevarsi in sostegno alla nostra lotta per porre fine a questo genocidio.

E allora alziamo la nostra voce e solleviamoci in solidarietà con chi subisce gli orrori delle guerre in corso, in Palestina e ovunque. Mettiamo i nostri corpi di traverso a bloccare la macchina bellica i cui ingranaggi sono anche qui.

È una questione di sorellanza, ma anche di autodifesa, perché la guerra comincia qui ed esiste un fronte interno in cui le condizioni di vita e di lavoro stanno peggiorando, la militarizzazione attorno a noi è sempre più asfissiante, il controllo e la repressione più soffocanti.

Una società in guerra necessita al suo interno la pace sociale, contrasta ogni potenziale conflitto e cerca di arruolarci e disciplinarci sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, nelle strade delle nostre città.

Abbiamo mille ragioni per rifiutarci di collaborare e per disertare.

Ed è anche per questo che oggi siamo qui.

Abbiamo mille ragioni per opporci alla guerra e alla sua economia, per ostacolare i traffici di armi in porto e i guadagni della compagnia navale ZIM.

Abbiamo mille ragioni e in fondo una sola, la nostra coscienza che ci impone di agire, di mobilitarci con ogni mezzo necessario in solidarietà alle oppresse e agli oppressi palestinesi e per noi stesse.

Perché non possiamo stare ferme a guardare mentre si compie un massacro, di fronte all’oltraggio in atto non vogliamo provare quella vergogna narrata da Primo Levi, “quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa”.