Tutta l’ipocrisia del DAP

 

Un’intervista al capo del DAP, che glissa su Alfredo e si dimostra maestro nell’arte politica di parlare di tutto senza dire nulla.

Da «la Repubblica», 17 novembre 2022.

Lei, Carlo Renoldi, è arrivato al vertice delle carceri italiane a
febbraio, scelto dall’ex Guardasigilli Marta Cartabia, con la fama di
garantista. Anche verso i detenuti. Una nomina criticata da chi vorrebbe un
carcere senza speranza. E adesso sotto gli occhi abbiamo 77 suicidi
dall’inizio dell’anno, gli ultimi due tra Lecce e Ariano Irpino, ma anche
un caso come quello di Alfredo Cospito, detenuto al 41-bis e all’ergastolo
ostativo, e in sciopero della fame da 26 giorni, di cui su Repubblica ha
scritto Luigi Manconi. Ma pure i tre arresti di agenti a Bari con l’accusa
di torture. Partiamo da Cospito allora, visto che il governo per decreto
mantiene un ergastolo ostativo assai rigido. Lui ha già perso 21 chili. La
sua protesta è già di per sé perdente pur se giusta?

Preferisco non parlare di singoli casi, rispetto ai quali è più giusto che
il ministero si esprima con atti formali. Da parte del Dipartimento vi è
molta attenzione verso il fondamentale diritto alla salute di tutte le
persone detenute.

Manconi le chiede se il regime del 41-bis possa comportare non solo la fine
di qualsiasi contatto con il gruppo criminale, ma anche il blocco della
posta e i limiti all’ora d’aria…

L’articolo 41-bis stabilisce limitazioni all’ordinario trattamento
penitenziario, che la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti
dell’Uomo hanno, più volte, ritenuto legittime. Tra queste limitazioni,
previste dalla legge, c’è anche il controllo della corrispondenza, per
impedire che la persona detenuta possa continuare a influenzare le
organizzazioni criminali alle quali è ancora collegata.

La Consulta ha dichiarato incostituzionale un ergastolo ostativo che, in
assenza di collaborazione con la giustizia, vieta anche la liberazione
condizionale. La Camera prima, e il governo adesso, hanno posto paletti
molto rigidi. Nel caso di Cospito l’insieme del 41-bis e dell’ergastolo di
fatto negano qualsiasi spazio e contatto con l’esterno. Così non si va
contro la Consulta?

Sull’ergastolo ostativo, la modifica dell’articolo 4-bis, compiuta con il
recente decreto legge, riprende le proposte elaborate dalla maggioranza
parlamentare nella passata legislatura. Con questa modifica il governo si è
fatto carico dei rilievi di incostituzionalità in precedenza formulati
dalla Consulta. In concreto, sono stati introdotti requisiti molto
stringenti per l’eventuale accesso ai benefici per i condannati
all’ergastolo. Il Parlamento sarà chiamato a convertire il decreto e, in
ogni caso, si dovranno attendere le applicazioni che, delle norme in
questione, farà la magistratura.

Guardiamo ai numeri delle sue carceri, a fine ottobre 56mila detenuti a
fronte di una capienza per 51mila. E a lunedì sera 77 suicidi. Anche di
detenuti in custodia cautelare oppure in procinto di uscire. Come se lo
spiega?


I suicidi nelle carceri sono un fenomeno allarmante, che segna sempre una
sconfitta per le istituzioni. Stiamo affrontando quest’emergenza con
l’immissione di nuove risorse e grazie al grande impegno del nostro
personale, che lavora al fianco di quello delle Asl, chiamato per legge
all’assistenza psicologica e psichiatrica delle persone detenute. Trovo,
peraltro, improprio l’accostamento tra i suicidi e il sovraffollamento.
Nell’anno in cui maggiore fu il sovraffollamento, nel 2012, minore fu la
percentuale di suicidi. Inoltre, non di rado il suicidio avviene a pochi
giorni dalla scarcerazione o appena entrati in carcere, per ragioni slegate
dalle condizioni detentive. Alla base della scelta drammatica di togliersi
la vita ci sono molto spesso anche motivazioni individuali, legate a un
vissuto di disperazione che ha spesso radici profonde e lontane”.

Il Garante dei detenuti Palma, di certo un garantista doc, chiede che nelle
carceri ci siano “condizioni che sappiano tenere insieme efficacia, umanità
e piena adesione al dettato costituzionale sull’esecuzione penale”. Le sue
carceri sono “costituzionali”?

Le parole del professor Palma ben esprimono il significato profondo che la
Costituzione attribuisce alla pena nel nostro ordinamento. Le carceri
italiane costituiscono una realtà molto complessa, nella quale troviamo,
insieme, esperienze molto avanzate di trattamento risocializzante e
condizioni di forte sofferenza organizzativa. Generalmente, come forse è
inevitabile, ci si sofferma soprattutto su ciò che non funziona; ma non
vanno dimenticate le tante esperienze positive, in cui brilla l’impegno del
nostro personale.

A settembre lei ha detto che dovrebbe far notizia il dato dei suicidi
mancati, erano 1.078 in quel momento. Questo significa che alcuni si
potrebbero evitare?

Con quella indicazione ho voluto evidenziare, da un lato, che la
situazione di disagio della popolazione detenuta ha proporzioni più ampie
rispetto a quanto suggerisce il dato, pur estremamente serio, dei suicidi;
dall’altro lato, che le azioni del personale penitenziario consentono, pur
in una situazione di frequente difficoltà operativa, di salvare la vita di
tante persone disperate.

Com’è possibile che non ci sia alcun esame delle condizioni fisiche e
psicologiche di chi viene arrestato? Solo una questione di personale che
manca oppure di scarsa sensibilità da parte della polizia penitenziaria?

Al momento dell’arresto, la persona viene sempre sottoposta alla visita di
un medico, che deve valutare anche il rischio suicidario. Ovviamente, non
sempre è agevole intercettare il suo disagio, che talvolta viene
dissimulato. Nei casi più preoccupanti, la persona viene subito segnalata
agli operatori del trattamento, che effettuano con lei frequenti colloqui e
che cercano di attivare, con urgenza, i servizi sanitari territoriali, i
quali, dopo la riforma del 2008, sono competenti in materia.

Certo è che casi come quello recentissimo di Bari, un detenuto con problemi
psichici di 42 anni pestato da tre agenti come ha raccontato Repubblica,
nonché le ormai storiche immagini di Santa Maria Capua Vetere, ma anche i
morti di Modena, non depongono affatto bene sugli agenti. Lei li difende
comunque?

Io difendo le decine di migliaia di appartenenti al Corpo che, ogni
giorno, lavorano in condizioni spesso difficili, onorando il loro
giuramento di fedeltà alla Costituzione e alle leggi. Non posso, certo,
difendere chi, invece, tradendo quel giuramento, si rende responsabile di
gravi violazioni di norme anche di rilievo penale. Ricordo però che, nel
nostro ordinamento, vige la presunzione di non colpevolezza e che eventuali
responsabilità individuali devono essere accertate dalla magistratura,
verso la quale nutriamo piena fiducia, come ribadito nella nota congiunta
con il ministro Nordio.

Se gli agenti fossero più “umani” non potrebbero salvare delle vite?

L’umanità del nostro personale è fuori discussione e i nostri operatori
ogni giorno salvano la vita a tante persone che rischiano di soccombere
davanti alle tante fragilità, personali e familiari, che segnano la loro
vita.

Per evitare i suicidi possono bastare un maggior numero di psicologi, oltre
ai 200 che avete assunto?

L’esperienza di questi giorni dimostra che non possiamo mai abbassare la
guardia e che le misure adottate devono essere rafforzate, alzando
ulteriormente i livelli di attenzione e di presa in carico di un disagio
che è sempre più diffuso già nella società esterna e che, in carcere, si
amplifica. Sono fondamentali le politiche del personale che stiamo portando
avanti, a livello sia di formazione professionale, sia di assunzioni, per
lungo tempo rimaste ferme.

Però, da settembre, non sembra che la sua circolare alle singole carceri
per raccomandare attenzione, abbia prodotto risultati, da 57 i suicidi sono
diventati 77…

Di fronte a questi dati così negativi, noi non ci arrendiamo e
continuiamo, con determinazione, a portare avanti la nostra complessa
missione istituzionale. Sarà fondamentale consolidare i rapporti di
collaborazione e di reciproco intervento con il mondo della sanità. So che
anche il ministro Nordio condivide questa necessità.

Senta, i nostri penitenziari non possono cambiare da un giorno all’altro.
Sovraffollamento, scarafaggi, operatori arrabbiati perché non guadagnano
abbastanza. Nordio parla dei suicidi come di “un’emergenza drammatica”. Ma
non sono le carceri in se stesse a essere “drammatiche”?

Il ministro Nordio ha mostrato, fin dal suo insediamento, una particolare
sensibilità verso il tema del carcere, che ci pone di fronte a questioni di
straordinaria complessità, non risolvibili con un colpo di bacchetta
magica, anche perché parliamo di circa 200 istituti. Sono tuttavia
fiducioso che l’attenzione subito manifestata possa dare, nel tempo, dei
risultati positivi.

Il rinvio in blocco fino a fine anno della riforma penale dell’ex ministra
Cartabia, compreso tutto l’ampio capitolo sulla “nuova” giustizia, da
quella riparativa, al potenziamento della tenuità del fatto, alla
possibilità di non scontare in carcere le pene fino a 4 anni, non rischia,
come ha detto Gherardo Colombo, di avere conseguenze drammatiche proprio
sui penitenziari al limite del collasso?

La scelta politica del rinvio è stata determinata, secondo quanto emerge
dalla relazione illustrativa del recente provvedimento, dalla necessità di
alcuni accorgimenti di natura tecnico-organizzativa, adottati i quali la
riforma dovrebbe entrare a regime. Ciò potrebbe favorire un sempre più
mirato ricorso al carcere per le situazioni che lo rendano realmente
necessario in ragione della gravità dei reati e della pericolosità dei loro
autori.