“Perché usciamo da USI-CIT”: un comunicato

Se diatribe, scissioni e autodimissioni interne al sindacalismo di base (anche libertario) non ci hanno mai appassionato, pubblichiamo questo comunicato perché le questioni che solleva (dall’Emergenza Covid alla guerra in Ucraina, dal genocidio a Gaza alla solidarietà con compagne e compagni prigionieri) sono tra quelle decisive. E chiunque venga messo all’angolo per aver espresso posizioni coerenti sul rapporto mezzi-fini (non si difende la salute pubblica con la coercizione, le strutture e gli strumenti della guerra producono solo altra guerra, i colonizzati sono sempre in stato di legittima resistenza, l’appoggio ai compagni prigionieri deve prescindere dal grado di affinità con le loro idee e pratiche) ha la nostra piena solidarietà. L’USI ha già conosciuto nella sua storia scissioni in merito alla guerra (tra la corrente interventista di de Ambris e Di Vittorio e la corrente internazionalista anarchica). In tempi di guerra (al virus, tra imperialismi, contro le masse colonizzate), i veleni dello Stato e del nemico di classe s’insinuano anche intorno a noi. Consoli il motto di Max Stirner: “Troverò sempre compagni disposti ad unirsi a me senza prestare giuramento sotto alcuna bandiera” (foss’anche quella rossa e nera).
PERCHÉ USCIAMO DA USI-CIT
Le sezioni USI-CIT di Ancona, Venezia, Perugia/Trasimeno, Macerata (a questi si aggiunge l’individualità Elvino Petrossi di Trieste) intendono rendere pubblica la loro uscita da USI-CIT e le motivazioni che hanno portato a questa decisione.
Constatiamo che è in atto una già avanzata trasformazione del sindacato verso una deriva accentratrice e autoritaria che sta cancellando l’identità libertaria e solidaristica dell’USI e dell’anarcosindacalismo. Un clima di guerra interna e di non rispetto sta causando l’uscita della componente che in questi anni ha espresso posizioni diverse da chi oggi dirige il sindacato.
Già negli ultimi mesi, e anche recentemente altri compagni, realtà locali e il sindacato di settore Unione Contadina, sono usciti da USI-CIT mentre è stata di fatto espulsa la sezione della Sanità milanese (San Paolo S. Carlo) in modo illegittimo e fuori dalle norme statutarie (espulsione camuffata da inesistenti e mai formulate autodimissioni). Di fatto, anche le sezioni scriventi questo comunicato erano in regime di pre-espulsione in quanto private, dallo scorso luglio, di ogni contatto e informazione con l’organizzazione nazionale. Anche in questo caso, in spregio delle norme statutarie che prevedono che tutte le sezioni (anche quelle che dissentono) devono essere informate dal nazionale sulle scadenze e dinamiche del sindacato.
I motivi dell’aggravarsi di questa situazione risalgono al periodo dell’epidemia covid quando in Italia furono attuate le più rigide pratiche di chiusura degli spazi di libertà che con il green pass e l’obbligo vaccinale portano alla sospensione e alla perdita del lavoro di chi non accetta di rinunciare alla libertà di scelta sanitaria e rinchiudono in una forma di apartheid alcune milioni di persone non vaccinate privandole di ogni elementare diritto come quello di salire in un autobus, in un treno, entrare in un locale, in un negozio, in un ufficio, in banca, alle poste.
Si è trattato di una delle più grandi forme di repressione e controllo sociale del dopoguerra, priva di ogni ragione scientifica o sanitaria (come bene sta venendo oggi fuori) coincisa con la militarizzazione del territorio e di ogni aspetto di vita quotidiana. Sistematica la repressione del dissenso che raggiunse la sua punta più alta con il violento sgombero del porto di Trieste occupato per quattro giorni dai lavoratori e cittadini contro il green pass.
La nostra colpa come sezioni e compagne/i del sindacato USI-CIT è stata quella di lottare in prima fila portando alta la bandiera degli ideali libertari (all’interno di un grande e variegato movimento) per opporci alla militarizzazione, agli obblighi sanitari, alle limitazioni della libertà.
Emarginati nel sindacato che faceva sue le scelte reazionarie e liberticide del governo e delle multinazionali, additati come complottisti, o addirittura combattuti in quanto presunti “amici dei fascisti” da quelli che dovevano essere i nostri compagni.
Da chi non ha capito o, quel che è peggio, non ha voluto capire per ipocrisia e opportunismo che cosa veniva imbastito dal potere attraverso i suoi media:
da un lato una propaganda della paura come non si era mai vista, destinata alle masse in genere; dall’altra una propaganda di una falsa “solidarietà” costruita su misura per la gente di sinistra, così da disorientare e dividere i movimenti anti-capitalisti e impedire che dessero un contributo più significativo alla mobilitazione contro restrizioni e green pass.
Una propaganda che ha spinto tanta “compagneria” a tapparsi entrambe le orecchie per non sentire gli applausi di Confindustria al lasciapassare sanitario, e a chiudere entrambi gli occhi per non vedere che le piazze contro il green pass erano per lo più composte da lavoratori salariati, mentre la gran parte dei commercianti e praticamente tutti gli industriali si sfilavano dalle mobilitazioni, ben contenti di poter tornare a lavorare.
In tutto questo USI CIT ha negato la solidarietà a iscritte e iscritti del nostro sindacato che sono stati sospese/i dal lavoro, anzi le ha criminalizzate.
Dopo la pandemia altre questioni hanno prodotto divisione e contrasto all’interno di USI CIT a partire dalla guerra dove accanto a un antimilitarismo di facciata trovavano tolleranza anche posizioni ambigue (pur se minoritarie) di alcune sezioni e “dirigenti” nazionali sulla guerra in Ucraina (simpatia e solidarietà con i falsi “anarchici” ed antagonisti inquadrati nell’esercito nazionalista ucraino dove operano i reparti neonazisti) e sullo sterminio del popolo palestinese (USI CIT unico sindacato di base a rifiutare l’adesione allo sciopero generale nazionale per la Palestina). Sappiamo che anche in CIT alcune sezioni europee hanno identiche posizioni ambigue sulla guerra in Ucraina.
In effetti la stessa propaganda del periodo dell’epidemia covid si è ripetuta tale e quale con la guerra in Ucraina con le figure fittizie dei filo-putiniani al posto di quelle altrettanto fittizie dei no-vax in odore di fascismo e trumpismo, e il mito di una inesistente resistenza ucraina al posto di quello di un’altrettanto inesistente solidarietà collettiva.
I motivi del dissenso con l’attuale linea dell’USI CIT e con i suoi metodi vanno ricercati anche sulla questione degli anarchici in carcere, repressi o privati delle loro libertà. Con una mozione nel suo ultimo congresso USI CIT si è espressa contro la possibilità di dare solidarietà e sostegno alle nostre prigioniere e ai nostri prigionieri.
Per tutto questo, e tanto altro ancora, lasciamo l’USI CIT. Certamente non è scelta facile dato che alcune/i di noi hanno rifondato questo sindacato negli anni settanta e contribuito alle sue lotte e alla sua storia, altre/i sono venuti dopo portando avanti con entusiasmo metodi e ideali del sindacalismo rivoluzionario e libertario.
Insieme ad altri compagni (con cui manteniamo saldo e solidale collegamento) rimaniamo all’interno del percorso dell’anarcosindacalismo e ci organizzeremo nel modo che riterremo più opportuno per portare avanti le nostre lotte e le nostre idee senza più subire dirigenze e controlli sulla nostra autonomia.
USI CIT sezione Ancona
USI CIT sezione Venezia
USI CIT sezione Perugia/Trasimeno
USI CIT sezione Macerata
Elvino Petrossi (della sezione USI CIT Trieste)