Tuoni e lampi di rabbia. Brevi annotazioni dalla Francia

Riceviamo e pubblichiamo queste puntuali annotazioni sulle sommosse che stanno scuotendo l’ordine sociale in Francia. Vive la racaille!

Tuoni e lampi di rabbia. Brevi annotazioni dalla Francia

I. Apparatus. A partire «dagli anni Novanta si è manifestata appieno una serie di cambiamenti sociali covati lentamente nel periodo precedente, cambiamenti che hanno messo in risalto l’avvento di una nuova epoca parecchio più inquietante della precedente. Il passaggio da un’economia basata sulla produzione a un’altra fondata sui servizi, il dominio delle finanze sugli Stati, la deregolamentazione dei mercati (incluso quello del lavoro), l’invasione delle nuove tecnologie con conseguente artificializzazione dell’ambiente vitale, l’auge dei mezzi di comunicazione unilaterale, la completa mercificazione e privatizzazione del vivere, l’ascesa di forme di controllo sociale totalitarie sono realtà sopravvenute sotto la pressione di nuove necessità, quelle imposte da un mondo in cui regnano condizioni economiche globalizzanti. Tali condizioni possono ridursi a tre: l’efficacia tecnica, l’accelerazione della mobilità e l’eterno presente» (Miguel Amorós). Ebbene, a onor del vero, in Francia, questo processo è sempre stato accompagnato da movimenti di protesta e lotte, rivolte e violenze urbane.

Inoltre oggi, in un contesto di Guerra, Crisi climatica, Carovita e Ristrutturazione del Capitale i risultati nefasti delle politiche neoliberiste sono sotto gli occhi di chiunque. Gli immigrati, gli esclusi, gli emarginati, i poveri, sono e restano per questo Apparato tecno-scientifico-militare solo “materiale di scarto”; dunque, come la questione ambientale diventa questione tecnica, la questione sociale diviene mera questione penale. In Francia l’impianto socialdemocratico, lo «sviluppo dell’economia digitale», la «France hyper-innovante», la «start-up nation», fanno il paio con le merci saccheggiate, i casseurs e la guerra civile molecolare.

II. Contraddizioni. Corrosa la fase dello Stato sociale assistenziale, del dialogo e della mediazione sociale, del riformismo e dell’Amministrazione “amica” e vicina al disagiato e all’emarginato, esaurito il ruolo del recuperatore e del sociologo, il “prestigio” del mediatore e del mullah, non resta che l’atomizzazione socio-culturale. Allora, se da una parte sta prendendo sempre più forma la “città intelligente”, con i suoi sensori e le sue fibre ottiche, le sue telecamere e i suoi apparecchi di riconoscimento facciale, dall’altra abbiamo così l’utente col suo iPhone ma spossessato dei mezzi linguistici, depauperato e rimbecillito. Siamo di fronte ad un mix letale ed esplosivo le cui componenti sono fatte di neocolonialismo ed ecologismo di facciata, politiche integrazioniste e razzismo di Stato, telelavoro e nuove forme di sfruttamento, nuove merci scintillanti ed esclusione, ideologia produttivista e personale sanitario precario, Transizione ecologica e messa al bando dei movimenti ecologisti (vedi il gruppo de Les Soulèvements de la Terre messo fuori legge la scorsa settimana). L’intuizione del «dislivello prometeico» (Günther Anders), per cui «la nostra propria metamorfosi è in ritardo; la nostra anima è rimasta molto indietro in confronto al punto a cui è arrivata la metamorfosi dei nostri prodotti, ossia del nostro mondo», è lapalissiana adesso. Fluidità, flessibilità, assenza di relazioni stabili, separazione generalizzata, violenza “muta” e irrazionale, stress, frenesia, malcontento e psicofarmaci: questa l’essenza dell’ambiente urbano nell’attuale società; che abiti in periferia o al centro, in una metropoli o in un piccolo Comune, questo è il modus vivendi del neocittadino. Già nel 1967 Guy Debord, né La società dello spettacolo, sottolineava il fatto che «Il momento presente è già quello dell’autodistruzione del centro urbano. […] i momenti di riorganizzazione incompiuta del tessuto urbano si polarizzano in modo precario intorno alle “fabbriche di distribuzione” che sono i supermarket giganti costruiti su un terreno nudo, su uno zoccolo di parking; e questi templi del consumo rapido sono essi stessi in fuga nel movimento centrifugo che li respinge lontano, man mano che divengono a loro volta dei centri secondari sovraccarichi, dato che hanno portato a una parziale composizione dell’agglomerato. Ma l’organizzazione tecnica del consumo non è che al primo posto nell’ambito della dissoluzione generale, che ha portato in questo modo la città a consumare se stessa».

III. Révolte. A partire dall’esecuzione del giovane Nahel a Nanterre, un giovane di 17 anni fermato in macchina ed ucciso da due poliziotti, numerose rivolte hanno attraversato quasi tutte le città di Francia. Molti casi simili a questo negli ultimi anni hanno fatto discutere la cosiddetta “opinione pubblica”. Infatti dal 2017 la legge del codice di sicurezza interna prevede che polizia e gendarmi possano utilizzare le proprie armi in caso di «assoluta necessità e in maniera strettamente proporzionata in caso di rifiuto di ottemperare». Questa volta il problema è stato che se in un primo momento i poliziotti di Nanterre hanno detto che era per «assoluta necessità», subito dopo è circolato un video dove si vedeva chiaramente il poliziotto, posto sul lato del finestrino, quindi non propriamente in pericolo, che apriva deliberatamente il fuoco sul giovane uccidendolo. Subito la madre, tramite i social, indiceva una «manifestazione bianca» e invitava alla rivolta. Tale manifestazione, partecipata da più di 6000 persone, finiva in scontri generalizzandosi poi nelle ore consecutive a tutto l’Esagono. Macron ha convocato da subito varie cellule interministeriali di crisi per ristabilire l’ordine. Si è invocato lo Stato d’emergenza se i fuochi di rivolta non cessavano. Risultato: l’intensificarsi degli scontri per intensità ed estensione dappertutto. Il resto è cronaca della sommossa… Tanti magazzini presi d’assalto e centri commerciali saccheggiati. Commissariati incendiati. A L’Haÿ-les Rose attaccata l’abitazione del sindaco con una macchina infuocata. Bombole del gas usate negli incroci stradali come lanciafiamme, il mobilio urbano completamente devastato e i pali delle telecamere tirati giù con i flex elettrici. Gente armata di Kalachnikov e di fucili a pompa a Marsiglia e a Limas. Qualche sbirro sembrerebbe essere stato preso di mira salvandosi grazie al giubbotto antiproiettile. «C’est une guérilla urbaine»: a Marsiglia il presidente del sindacato degli imprenditori chiede il coprifuoco alle 20,00. Ancora: auto usate come arieti per aprire le saracinesche dei centri commerciali. Parigi, Lione, Marsiglia, e tante altre città…. più volte viene sottolineata dagli specialisti l’insidia di piccoli gruppi di ribelli mobili, veloci e ben organizzati. Analizzando storicamente la figura del «Partigiano», Carl Schmitt sosteneva che «egli [il partigiano] provoca addirittura una frenesia tecnocratica. Il paradosso della sua presenza palesa un contrasto: quello della perfezione tecnico-industriale dell’equipaggiamento di un esercito regolare moderno di fronte alla preindustriale, agraria primitività dei partigiani che pure combattono con efficacia. Un contrasto che aveva già provocato le crisi d’ira di Napoleone contro il guerrillero spagnolo, e che doveva aumentare con il progressivo sviluppo della tecnologia». Sullo stesso tenore sui media ci si interroga sul grado di offensività delle sommosse e si parla di «spirale di violenza inaudita», forse addirittura maggiore rispetto alle rivolte del 2005. Bofonchia al giornalista così un delegato nazionale CRS (Syndicat Alliance): «La strategia è essere presenti con una forza molto consistente, anche se è complicato, perché abbiamo ridotto molto gli effettivi, soprattutto tra i CRS [l’equivalente della Celere]. Ma l’obiettivo è occupare il campo nel modo più ampio possibile».

IV. Ordre. Sul fronte del controllo e della repressione: arresti di massa sono in corso da quattro notti in tutta la Francia per fermare l’ondata di rabbia contro la violenza della polizia. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nella seconda notte, da mercoledì a giovedì: 150 arresti. Nella terza notte, da giovedì a venerdì: 875 arresti. Nella quarta notte, da venerdì a sabato: 1311 arresti. Durante la quinta notte, da sabato a domenica, sono state arrestate 719 persone. In totale, 3055 persone sono state quindi messe in cella, a volte violentemente, spesso in modo casuale, perché si trovavano in un quartiere dove interviene la polizia, o vicino a una finestra rotta. Allo stesso tempo, la polizia sta identificando le persone dai video pubblicati su Snapchat. 45000 i poliziotti e i gendarmi impiegati nelle strade; si segnala l’intervento sul campo della Raid (Ricerca, Assistenza, Intervento, Deterrenza), questa unité d’élite, la più «prestigiosa della Polizia Nazionale», nata nei primi anni ’80, artefice tra l’altro dell’arresto di alcuni militanti di Action Direct. Agenti «antiterrorismo» mascherati e flash ball. Le immagini ridondanti della RAID con i suoi blindati, per le strade di Marsiglia o nella regione parigina, mandate in diretta TV per 48 ore potrebbero sembrare le immagini di una città caduta in mano a una dittatura militare sudamericana. «Macron, parlando di Snapchat e TikTok, ritenuti responsabili di “assembramenti violenti”, ha annunciato: “Adotteremo diverse misure nelle prossime ore […] prima in relazione a queste piattaforme, al fine di organizzare il ritiro dei contenuti più sensibili”. In ogni caso si stanno monitorando tutti i video che riguardano le proteste e si vogliono chiudere gli account interessati. Sembrerebbe infatti che già i capi di Meta, Snapchat, Twitter e TikTok sono stati convocati dal governo francese. Il potere prevede persino di interrompere completamente Internet in determinate aree. Venerdì ha chiesto agli operatori di telecomunicazioni Orange, Bouygues, SFR e Free se fosse “tecnicamente possibile” per loro tagliare i dati mobili, 4G e 5G, in alcuni quartieri della Francia. Queste aziende hanno risposto che era “tecnicamente irrealizzabile venerdì sera”, ma “fattibile dopo”, esprimendo tuttavia alcune riserve, in particolare sull’applicazione della comunicazione delle forze dell’ordine che risentirebbe anche di questi tagli localizzati, e chiedendo un quadro giuridico per tali interruzioni di rete che impedirebbe anche le chiamate di emergenza nei quartieri interessati. Dalla parte del PCF, il segretario nazionale Fabien Roussel ha chiesto questo sabato “lo stato di emergenza sui social piuttosto che sulle popolazioni” e ha proposto di “tagliare” i social “quando fa caldo nel Paese”» («Contre Attaque Nantes»). Anche questa volta, forse più che mai, i dispositivi tecnologici e i social network hanno avuto un ruolo importante nella comunicazione e nel coordinamento delle azioni, ma è evidente che comunque questi dispositivi hanno vari rovesci della medaglia (il controllo su tutti, per esempio). Elisabeth Borne, poi, ha annunciato venerdì 30 giugno il dispiegamento di veicoli corazzati della gendarmeria, tra cui quattordici veicoli corazzati a ruote (VBRG) e i Centaures, il successore ufficiale del blindato gommato della gendarmeria in servizio dal 1974, impegnato per la prima volta nei teatri operativi dell’Île-de-France e delle province. Si tratta di un imponente veicolo blindato 4×4 del peso di 14,5 tonnellate (due in più del VBRG) prodotto dalla società Soframe, specializzata nei settori della difesa e della sicurezza. «È lungo 6,2 metri, largo 2,45 metri e alto 2,5 metri. E, a differenza del suo predecessore, ha capacità di spinta e sgombero uniformi, grazie alle lame montate su cilindri pneumatici, installate nella parte anteriore del veicolo. Infine, questi veicoli dispongono di moderne attrezzature optroniche e capacità telecomandate, in termini di sparo e lancio di granate», si legge sul sito del Ministero dell’Interno.

V. Mémoire. Leggo sulla rivista di controinformazione francese «Clash», dell’estate del 1982: «La borghesia imperialista ha bisogno del consenso delle masse per avere la forza di mantenere il suo dominio sui popoli che saccheggia. Nessuna borghesia imperialista senza consenso nelle metropoli, nessun consenso senza democrazia: la democrazia è il normale modo di funzionare nelle metropoli imperialiste. È la garanzia e la verifica dell’adesione delle “grandi masse” al sistema. Ma questa democrazia è possibile solo se c’è consenso, se tutte le parti sociali rispettano le regole del gioco. La principale di queste regole è l’accordo sull’imperialismo, e tutti i maggiori partiti hanno dato il loro consenso. Non è significativo che il voto che riscosse l’unanimità alla Camera dei deputati dalla fine della guerra fu quello che diede pieni poteri al governo Guy Mollet per riportare l’ordine in Algeria e inviare in massa il contingente nel 1956?». Ora sarebbe urgente aggiornare il ragionamento appena citato rispetto alle nuove missioni militari francesi all’estero e all’apertura del nuovo fronte interno, così come sarebbe interessante collegare le politiche estrattiviste al controllo delle “colonie interne”, anche perché, ci ricorda Jean-Marc Rouillan, «In un sistema condannato agli squilibri, in ogni paese capitalista spinto in sempre più conflitti esterni ed interni, non ci può essere né pacificazione né ritirata della lotta di classe. Sulle rovine del fordismo, messa alle strette dalla caduta dei tassi di profitto, la borghesia non ha avuto altra scelta che realizzare un nuovo modello di accumulazione e abbattere le conquiste delle lotte sociali come le missioni del welfare state. Questi sconvolgimenti non si sono mai svolti pacificamente, dando luogo ad una feroce repressione (militare-poliziesca ed economica), alla quale i proletari hanno storicamente risposto con la resistenza insurrezionale».

VI. Una pillola intellegibile. Una mattina, questo inverno, entriamo nella sala comunale francese per una formazione, e ci sediamo di fronte ad un fermo immagine di una facciata del Comune di Bordeaux messo a fuoco durante le proteste contro la Riforma delle pensioni. Il formatore (che già dalla prima lezione ci aveva avvertito che le cose dette in quell’aula sarebbero dovute rimanere lì), un uomo dal pìglio intelligente, zelante, sostiene che l’Istituzione che rappresenta lo Stato più vicino al cittadino non è il Comune ma la Prefettura (in effetti la figura del prefetto, nata nel 1800 con Napoleone Bonaparte, è il rappresentante dello Stato in un Dipartimento e in una Regione). Continuava poi la sua lezione spiegando che per comprendere la figura del Prefetto in Francia occorre distinguere, preliminarmente, due nozioni tipiche del diritto amministrativo di questo paese: la decentralizzazione e la deconcentrazione: la prima corrisponde all’attribuzione di una certa autonomia ad una collettività che si amministra liberamente attraverso consigli elettivi e sotto il controllo del governo; la seconda si caratterizza per l’intervento di una autorità statale non centrale. Il prefetto, in tale ordinamento, risulta quindi una tipica forma di deconcentrazione dello Stato: assume infatti il ruolo di rappresentante dello Stato nel territorio del Dipartimento, le cui procedure di nomina sono disciplinate dalla Costituzione. Quindi il formatore continuava il suo discorso, da educazione civica, sui diritti e sui doveri del cittadino e delle Istituzioni democratiche. Evidentemente nella sua demagogica idea, comunque condivisa nella mente purtroppo ancora da molti qui in Francia, c’è una parte di “Stato buono”, che poi saremo anche “noi”, che deve rispettare e far rispettare il fondamento della Repubblica: Liberté, Égalité, Fraternité. Princìpi sempre validi ed eterni ma più che altro, concludeva il funzionario, raggiungibili a lungo termine (quanto lungo, boh?). Resta comunque il dubbio se il suo discorso sulla responsabilità delle Prefetture fosse una indicazione intellegibile…

VII. Pour parler. Gli attuali fatti di insubordinazione generalizzata segnalano a mio avviso, ancora una volta, irrequietezza, vivacità (è malato un corpo sociale che di fronte al sopruso non batte ciglio) e solidarietà della popolazione sul territorio francese. Impelagato in un immaginario colonizzato e mercificato (razzia dei prodotti tecnologici e dei capi di abbigliamento firmato), attanagliato dai dispositivi e dalle dinamiche da social (in tantissimi a riprendersi durante gli scontri nelle dirette streaming), affranto dal vuoto interiore (casi di distruzione di asili nido pubblici, biblioteche di quartiere o alloggi popolari con la gente dentro), il proletariato giovanile francese sta lì a dirci a gran voce che comunque non è più disposto a mandar giù la dose di quotidiana violenza fatta di soprusi, sfruttamento e ingiustizie. Ben consapevole che non sarà una “Riforma più giusta” – magari quella della Polizia di Stato sostituita dalla polizia predittiva (P. K. Dick) che grazie ai nuovi software e all’intelligenza artificiale potrà prevedere i crimini – o un cambio di Governo a cambiare la sua condizione umiliata, il nuovo escluso non ha nessuna fiducia in questo Sistema mafioso e politico. D’altronde si vuol semplicemente vivere la propria vita negata e quando la misura è colma si inizia a parlare il linguaggio universale della distruzione. Solo allora ci si vendica di ogni sogno ucciso in strada da un’esecuzione poliziesca. In fondo, per i più, le belle parole della neolingua totalitaria – Resilenza, Sostenibilità, Green, Democrazia Partecipativa – sono solo tante altre arnaques… Chissà invece se il Tecno-Ribelle (E. Jünger) del XXI secolo stia di già rifiutando in nuce il principio dei dominanti per il quale «dato che il mondo è considerato principalmente come materia prima, anche il pezzo di mondo “uomo” deve essere considerato tale» (G. Anders).

Ad ogni modo, in un’epoca come la nostra, dove i benpensanti reclamano più Diritti e Leggi e i bottegai più Autorità e Galere, i tuoni ed i lampi che provengono dal territorio francese echeggiano ora ovunque e fanno da monito sia ai dominanti che ai rassegnati d’Europa. Resta da capire in tutto ciò dov’è l’opzione rivoluzionaria, che fine abbia fatto l’orizzonte utopico, come districarsi concretamente da questo tipo di organizzazione sociale per riconoscersi davvero in una Comunità Umana. Finora la «collettività che si amministra liberamente attraverso consigli elettivi» – o quella dei “Beni Comuni”, se si preferisce – continua a restare un cadavere nella bocca degli amministratori e delle anime belle, nella migliore delle ipotesi; qualcosa di misconosciuto, estraneo ed oppressivo, nella peggiore. Intanto l’insorto francese, con le sue contraddizioni e le sue pulsioni, è lì a ricordarci che la violenza poliziesca di Nanterre è la norma della Giustizia borghese e che, per contro, la Giustizia degli Ultimi continua a chiamarsi violenza.

Simone Le Marteau,

Haute-Savoie, primi di luglio 2023