Parole a proposito. Contro le derive stataliste e militariste (una raccolta di testi dalla Germania)
Riceviamo e più che volentieri pubblichiamo questa raccolta (non esaustiva) di testi anarchici usciti in Germania sulla guerra in Ucraina (e non solo), contro ogni appoggio agli Stati e alle opposte fazioni della classe dominante. Ringraziamo le compagne e i compagni che, reagendo anche a un nostro testo su certe derive militariste, si sono assunti l’impegno di tradurli in italiano. Se abbiamo dato l’idea di trarre delle “conclusioni generalizzanti”, siamo ben contenti che queste prese di posizioni coerentemente disfattiste e internazionaliste riportino a una dimensione più consona le nostre preoccupazioni.
Qui la versione in pdf:
Parole a proposito. Contro le derive stataliste e militariste.
Parole a proposito. Contro le derive stataliste e militariste
In seguito alla pubblicazione del testo Toccato il fondo si può sempre scavare. Sulle derive stataliste e militariste (https://ilrovescio.info/2024/03/26/toccato-il-fondo-si-puo-sempre-scavare-sulle-derive-stataliste-e-militariste/) pubblicato su Il Rovescio in riferimento ad una chiamata da parte di presunti “anarchici tedeschi” per una manifestazione in solidarietà con l’Ucraina e contro il cessate il fuoco, sembra essere sorta spontanea, ahinoi, la domanda: «ma che sta a succede in Germania?». Per questo motivo abbiamo deciso di tradurre in lingua italiana e diffondere i testi che seguono, nel tentativo di fare un poco di chiarezza date le conclusioni alquanto affrettate che immaginano gli anarchici e le anarchiche che vivono in territorio tedesco con l’elmetto in testa, schierati a fianco dell’esercito Ucraino e della NATO in questa guerra tra blocchi imperialisti.
I testi in questione parlano da soli e hanno bisogno di ben pochi preamboli, alcuni aspetti vanno però esplicitati.
Questa breve raccolta non è e non vuole essere esaustiva. Non sappiamo, e non abbiamo la presunzione di sapere, quanti e quali altri testi, dichiarazioni, comunicati siano stati diffusi e pubblicati in lingua tedesca riguardo la questione guerra in Ucraina. Non sappiamo, né abbiamo la presunzione di sapere, quanti compagni e compagne abbiano affrontato l’argomento e scelto di prendere una posizione netta contro la guerra, contro entrambi gli schieramenti e contro la partecipazione di supposti anarchici a quella che, in maniera grave e inquietante, viene definita resistenza Ucraina, a fianco della NATO, in difesa dello Stato ucraino, nei ranghi dei loro eserciti.
Precisiamo inoltre che i seguenti testi sono usciti in diversi momenti, alcuni subito dopo l’evento che viene fatto coincidere con lo scoppio della guerra, ovvero l’invasione russa, e che sono stati redatti da singoli e/o gruppi appartenenti a realtà differenti, in alcuni casi molto distanti fra loro, ma con idee chiare nei confronti del conflitto fra Ucraina/Nato e Federazione Russa e rispetto a una certa coerenza anarchica e anti-autoritaria. Alcuni di questi testi erano e sono tutt’ora online, altri sono stati stampati su pubblicazioni cartacee al di fuori di logiche informatiche. Le note presenti alla fine dei contributi sono state aggiunte da noi.
In merito alla chiamata per la suddetta manifestazione in solidarietà con l’Ucraina, abbiamo tradotto un testo di risposta (immediata) redatto da alcuni autonomi antimilitaristi tedeschi, che spiega brevemente chi sono gli autori dell’appello in questione, ovvero l´ABC di Dresda (Anarchist Black Cross – Croce Nera Anarchica).
Questo gruppo sin dall‘inizio del conflitto ha portato avanti una campagna di solidarietà volta a sostenere economicamente, con provviste ed equipaggiamento di vario genere la popolazione ucraina e i soldati, antagonisti e presunti anarchici, al fronte. Questa particolare solidarietà incondizionata e acritica dell’ABC Dresda nei confronti dell’esercito ucraino – ergo della NATO – ha provocato non pochi attriti, polemiche e scontri tra l‘area anarchica presente in territorio tedesco ed altri gruppuscoli e singoli individui che tutt’ora condividono e sostengono sia la prassi che le “analisi” dell‘ABC Dresda.
Il movimento anarchico di lingua tedesca è assai variegato – come ovunque d’altronde – e, di conseguenza, sussistono posizioni differenti. Posizioni che sostengono e giustificano l’interventismo, lo Stato, la guerra, sono però inaccettabili, inconciliabili con l’Anarchismo e utili solo allo sporco gioco di padroni e governi.
Osservare con occhio critico i pochi contributi che di tanto in tanto vengono tradotti dal tedesco e pubblicati in lingua italiana è indispensabile e necessario, ma crediamo che basarsi su un singolo testo di particolare clamore, perché particolarmente scellerato, per trarne delle conclusioni generalizzanti, possa rivelarsi fuorviante.
A tal proposito cogliamo l‘occasione per rilanciare alcune chiamate che riteniamo degne di nota e importanti per ciò che concerne l’opposizione alla guerre tra Stati, alla militarizzazione dei territori e delle coscienze, alle borghesie dei Paesi in cui ci si trova e alle loro politiche, in un’ottica internazionalista:
Incontro ACAT nella foresta di Hambach dal 30 maggio al 2 giugno (https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/03/29/chiamata-per-l-incontro-annuale-anarchico-e-caotico-alljahrliches-chaotisch-anarchistisches-treffen-germania-foresta-di-hambach-30-maggio-2-giugno-2024/)
Fiera dell’editoria anarchica a Berlino dal 5 all’8 settembre (https://anarchistischebuechermesse.noblogs.org/?page_id=148)
Campagna informale “Switch Off” (https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/12/21/switch-off-the-system-of-destruction-spegnere-il-sistema-della-devastazione-germania-2023)
«Le guerre e la militarizzazione sono prodotte qui.
Vengono preparate e progettate qui.
Esse apportano lucrosi profitti, nella maggior parte dei casi, qui.
Ed è perciò anche qui che chi vuole agire può prendere di mira la produzione della guerra.»
Contro la guerra e chi la supporta.
Contro la pace.
Per la rivoluzione sociale.
anarchici e anarchiche
20.04.2024
Tutti pronti per la guerra
Al giorno d’oggi veniamo informati degli omicidi di massa in corso tramite un flebile lampeggiare dello schermo dello smartphone e di un inavvertibile “bling” che ci segnala un nuovo messaggio in arrivo. Scorriamo le notizie, le immagini di corpi maciullati, di bambini affamati e di persone che cercano i loro cari tra le macerie e subito dopo ci godiamo i risultati del calcio e le previsioni del tempo. Leggiamo dei numeri delle vittime, di milioni di persone che fuggono dalla morte e che nel frattempo vengono bombardate e un attimo dopo pensiamo alla giornata lavorativa di domani, alle vacanze imminenti e alle possibili mete di villeggiatura. Il potere ci addestra alla dissonanza cognitiva, a indurirci, a smussare, a bloccare e, in ogni caso, a continuare a funzionare. Quando l’omicidio di massa diventa una notizia qualunque nei mass media, quando diventa normalità e noi la scorriamo senza mezzi termini, viene attaccata la nostra sostanza di esseri umani, la nostra capacità di empatia, la nostra sensibilità. E quindi anche la nostra capacità di indignarci e di opporci a questa normalità bellica.
Come se in tutti questi anni, dal crollo del blocco orientale a oggi, fossimo stati ingannati da una menzogna propagandistica riguardo la fine della Guerra Fredda, vecchi e nuovi fronti si formano e si militarizzano. Come sempre, l’Occidente si presenta come portatore dei valori della democrazia e dell’illuminismo, come protettore della libertà, delle minoranze e della proprietà privata. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando si proclamava la “fine della storia”, quando l’onnipotenza dell’Occidente prevaleva incontrastata dopo il 1990 e si proponeva un illusorio pacifico paradiso delle merci. Ora la retorica è cambiata e la posta in gioco è apertamente stabilita: la “difesa della prosperità”1.
Come in una gara, l’Occidente (NATO e UE) e l’Oriente (Russia e Cina) stanno stringendo nuovi accordi commerciali e militari in tutto il mondo: da un lato accordi sull’idrogeno in tre continenti ed esportazioni di armi a gruppi d’interesse (ad esempio l’Arabia Saudita), dall’altro una nuova alleanza commerciale (BRICS) che supera di gran lunga il potere delle alleanze occidentali (G7). La parentesi in cui si sosteneva di voler perseguire il “cambiamento attraverso il commercio” (la politica russa dell’Europa degli anni ’00) è finita e ciascuna delle parti sta chiaramente e militarmente difendendo i propri interessi. L‘operazione NATO “Steadfast Defender”, della durata di quattro mesi, la più grande dalla presunta fine della Guerra Fredda, inizierà a metà febbraio 2024. La Germania sarà l’ospite e il fulcro di un enorme intervento ai confini della Russia e della Bielorussia – dalla Norvegia alla Romania, la NATO si sta posizionando ed esercitando per un’eventuale operazione emergenziale. Nella sua “Manovra Quadriga”, la Bundeswehr [ndt. Esercito tedesco] si esercita ancora una volta a dispiegare truppe e materiali. Il Maggiore Generale Gerald Funke, comandante della logistica della Bundeswehr, ha giustamente riassunto: «La logistica non vince le guerre, ma senza la logistica le guerre sono perse».
L’Occidente, soprattutto la Francia, sta perdendo influenza in varie parti del mondo, come in Africa occidentale e in Sudan, dove negli ultimi tre anni si sono susseguiti nove colpi di Stato militari e gli Stati occidentali hanno dovuto ritirare i loro soldati. Allo stesso tempo Putin sta cercando di capitalizzare questa nuova situazione, usando una retorica chiaramente articolata contro il colonialismo occidentale nel bel mezzo della sua guerra per l’Ucraina. Un Putin le cui truppe stanno occupando l’Ucraina e che allo stesso tempo afferma di lottare contro un «sistema neo-coloniale» che sta saccheggiando il mondo «in nome del dominio del dollaro e dei dettami tecnologici», promettendo di rafforzare un «ordine globale multipolare»… E dall’altra parte una NATO che si vanta come sempre di combattere il “male” e di difendere la democrazia, le minoranze e i diritti umani.
Una guerra di parole, una guerra di opinioni, una guerra per le menti e la sovranità interpretativa. Nel frattempo assistiamo alla pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, all’espulsione di massa di centinaia di migliaia di afghani dal Pakistan al regno dei Talebani, al lancio di munizioni a grappolo (vietate a livello internazionale) da parte di Russia e Ucraina, all’annegamento di oltre 700 rifugiati il 14 giugno 2023, spinti al largo dalla guardia costiera greca. I ricordi dell’incarcerazione di massa, della tortura e della sterilizzazione degli Uiguri o della pulizia etnica della minoranza musulmana dei Rohingya in Myanmar (fino a 43.000 morti) sono svaniti nel ritmo frenetico della vita.
E ora la tragedia di Gaza. In poche settimane più morti civili che nei due anni di guerra in Ucraina. Due milioni di persone in fuga – e Israele e l’Occidente discutono apertamente della distribuzione forzata di tutti i rifugiati palestinesi in vari Paesi europei (o in Congo). Di fronte a questa sofferenza inconcepibile, alcuni cercano di denunciare tutto questo utilizzando la parola genocidio, rinfacciandolo all’Occidente. Ma le parole hanno perso il loro significato e non impressionano più. Nessuno si scandalizza più, scandalizzarsi sembra essere proibito, potrebbe rivelare un’appartenenza politica e questo risulterebbe scorretto. Come in uno sketch già pronto, tutti sanno immediatamente cosa è giusto, con chi solidarizzare e possiedono opinioni inamovibili. Opinioni che sempre più spesso sono costituite solo da parole d’ordine, dietro le quali non ci sono mai analisi ben discusse, ma il cui uso rende chiara la propria posizione: queste parole si possono usare, altre no. Si è solidali con queste persone qui, ma non con quelle altre lì. Indipendentemente dall’evoluzione degli eventi, si ha un’opinione, si assume una posizione fissa all’interno della polarizzazione. Tutto il resto è “scorretto” – come in tempi di pandemia, il dibattito pubblico è ora solo un’egemonia militarizzata di termini di lotta. Una popolazione civile viene dichiarata “terrorista” nella sua interezza, una guerra è una “operazione difensiva” per “difendere” e “distruggere” quei “terroristi” nella loro interezza. Ogni istituzione, ogni individuo proclama pubblicamente e freneticamente la propria “solidarietà”. E chi lo fa con le persone sbagliate viene cancellato. Si richiede una nuova legge che punisca l’incitamento contro Israele con almeno 6 mesi di carcere, subito prima delle perquisizioni domiciliari per dei post sui social media. Due anni fa dovevano andare in prigione “i negazionisti del Coronavirus”, cioè coloro che mettevano in dubbio l’esistenza (o la pericolosità) del virus, e ora “gli antisemiti” che mettono in dubbio il diritto all’esistenza di Israele (o la guerra). Ancora una volta, l’ignoranza ci viene venduta come forza e la guerra come pace.
Questa volta la repressione contro coloro che scendono in piazza per sfidare tutto questo, mentre nel contempo i loro familiari o i loro amici vengono bombardati, sembra ancora più sdegnata. Questa volta la maggioranza di coloro che scendono in piazza per protestare contro il genocidio non sono bianchi, ma «barbari», tutti «antisemiti che andrebbero deportati»2. E così assistiamo a un’altra mostruosità: che coloro che amministrano lo Stato tedesco, la sua industria militare e le sue linee ferroviarie, che hanno permesso il più atroce genocidio dei tempi moderni, spiegano al mondo cosa sia l’antisemitismo e vogliono etichettare e deportare come antisemiti tutti coloro che pronunciano la parola genocidio.
Il linguaggio è chiaro: si chiede alla Germania di sostenere Israele a prescindere dall’azione militare che verrà intrapresa. Che si tratti di ortodossi, laici o sefarditi, in Israele si conoscono solo gli israeliani e ora sono in guerra. Un intero Paese mobilitato. Una militarizzazione anche interna. Un Paese in guerra non ammette contraddizioni. I droni controllati dall’intelligenza artificiale effettuano attacchi, i sistemi di armamento automatici e intelligenti dappertutto, gli attacchi aerei in Iraq, Siria, Iran, Libano e nella Gaza completamente distrutta. Gaza deve essere rasa al suolo, letteralmente. Gli Stati Uniti iniziano una guerra contro gli Houthi in Yemen e la prossima tragedia è dietro l’angolo in quel Paese dove 22 milioni di persone dipendono dalla consegna di aiuti. Nel frattempo, sia in Russia che in Ucraina, soprattutto le donne protestano per ottenere il congedo degli uomini al fronte. Il numero dei disertori russi (circa 820.000-920.000) è in costante aumento. Fuggono all’estero (Kazakistan, Serbia, Turchia, Armenia), dove la loro permanenza dipende dalla disponibilità economica, poiché le prospettive di asilo in Europa sono scarse. Parallelamente altrettanti 175.000 uomini in età da servizio militare sono fuggiti dall’Ucraina, soprattutto verso l’UE. L’Ucraina sta conducendo circa 5.000 procedimenti penali per renitenza alla leva e diserzione, 8.000 procedimenti per attraversamento illegale del confine e altre 3.000 persone sono state arrestate dalle guardie di frontiera ucraine con documenti falsi. In aggiunta, almeno 15 persone sono morte nel 2022 mentre cercavano di attraversare di nascosto il confine rumeno. L’apparato militare ucraino ha bisogno di nuova carne da macello e la Germania sta prendendo in considerazione il “rimpatrio” degli ucraini che rifiutano le offerte di lavoro qui. Allo stesso tempo, l’Ucraina sta pensando di rendere la leva militare obbligatoria solo per i poveri, in modo che i ricchi possano ufficialmente (e non più “sottobanco”) comprarsi la via d’uscita. Il mondo è un bagno di sangue, un bagno di sangue di poveri e sfruttati. L’Occidente cerca di tenere a bada questo massacro, di esternalizzarlo e di nasconderlo, ma è sempre tutto più palese: la Germania deve ora diventare “idonea alla guerra”, una “svolta epocale“3 è imminente e il Ministro della Guerra tedesco sta valutando la reintroduzione della leva militare. La pubblicità bellica cerca ancora di attirarci volontariamente verso la professione del soldato, la divisa da killer viene pubblicizzata con l’hashtag “#save”, ma molto presto anche questa volontarietà cesserà. Dal Covid in poi, la guerra è penetrata nei discorsi, nel vocabolario e nel linguaggio, e presto invaderà anche i nostri sicuri giardini di casa, non solo offrendo ai giovani l’opportunità, ma anche obbligandoli (questa volta includendo tutti i generi?) a trasformarsi in carne da cannone in mimetica pronti a morire. Non è improbabile che, come in Russia, vedremo bruciare alcuni uffici di reclutamento. Secondo i media russi, dall’invasione dell’Ucraina ne sono stati attaccati con il fuoco 220.
Déjà-vu: la sinistra parla continuamente di anti-imperialismo e i cosiddetti anarchici fanno ricorso alla definizione di imperialismo fornita da Lenin. Le bandiere nazionali sono state spolverate, i «fronti di liberazione popolare» sono tornati di moda e la «guerra del popolo» è ora chiamata «lotta di liberazione nazionale».
Osserviamo come, con la vecchia logica anti-imperialista, i piccoli Stati o i non-ancora-Stati e i loro partiti siano sostenuti incondizionatamente con l’ausilio della retorica anti-coloniale. Si discute in termini di identità, identità collettive, e come parte di quella determinata categoria non è permesso dire o criticare questo o quello. I nemici dei nostri nemici diventano improvvisamente nostri amici, o almeno alleati necessari, e il fascino della resistenza armata garantisce la stipula di queste dubbie collaborazioni. L’importante è opporsi all’Occidente: a molti non importa da che parte stare. Ci viene detto che non è il momento delle critiche e le ostilità contro i gruppi autoritari si fanno sempre più sfumate. Prima un nostro Stato, ci viene detto, poi ne parleremo. Come un’immagine speculare del razzismo, la critica viene etichettata come razzista e un razzismo al contrario viene razionalmente e storicamente giustificato, cosa che rende il massacro di civili quantomeno ragionevole. La sofferenza di alcuni viene usata per spiegare perché anche loro compiono massacri. E così vediamo come la logica della guerra di Stato, dei danni collaterali, del pensiero etnico di una sola cultura, un solo popolo, un solo Stato, così come il compromesso e la concessione a strutture profondamente autoritarie, reazionarie e para-statali, stia guadagnando terreno.
Noi sosteniamo che la logica militare della guerra e dei danni collaterali non può essere combattuta facendola propria. Le strutture autoritarie e patriarcali non possono essere superate tollerandole o semplicemente rappresentandole in maniera più gradevole. E uno Stato non può mai essere liberatorio. L’imperialismo globale è il capitalismo, l’economia che tenta di penetrare ovunque e sfruttare tutto. Il colonialismo occidentale è presente in tutta la cultura industriale che vuole sottomettere la natura e tutti i “selvaggi”. Ogni Stato è una potenza occupante, che espropria la sua popolazione, militarizza il suo territorio ed estende continuamente il suo controllo.
La rivolta generalizzata si verifica non quando la questione è discussa secondo linee “pro-questo“, “pro-quello”, secondo autogoverni e domini stranieri, ma secondo la questione dell’oppressione e dello sfruttamento, indipendentemente dalla lingua parlata dagli sfruttatori e dalla cultura a cui appartengono. Quando i soldati disertano, quando le rivolte sociali scoppiano contro tutti i governanti, dove la resistenza non è dominata da gruppi autoritari.
Più di mezzo secolo fa, il filosofo Günther Anders inventò il concetto di cecità all’apocalisse.4 Questo termine è nato dalle osservazioni di Anders sulla corsa agli armamenti nucleari da parte delle superpotenze durante la cosiddetta Guerra Fredda. La distruzione del futuro insita nelle armi nucleari non era e non è solo una minaccia e un pericolo potenziale – no, le armi nucleari non rappresentano una minaccia che può concretizzarsi; la distruzione del futuro causata dalle armi nucleari è altrettanto reale ed esiste già, esattamente come le migliaia di testate nucleari pronte a essere sganciate. L’apocalisse è quindi già una realtà, non un evento che potrebbe verificarsi in futuro, perché i mezzi per far esplodere decine di volte e irradiare l’umanità esistono, la conoscenza di come produrli non può essere revocata e quindi un gruppo di Stati e alleanze militari avrebbe la possibilità di spazzare via la terra e il futuro ovunque – e con ciò si minacciano a vicenda continuamente. Questa condizione è apocalittica di per sé e non volerla vedere, sentire o etichettare come tale è cecità da apocalisse, secondo Anders. Allontanarsi dalla cecità apocalittica significherebbe assumersi la responsabilità. La responsabilità di stroncare coloro che minacciano le nostre vite e quelle delle generazioni future. Minacciando di morte coloro che ci minacciano costantemente attraverso omicidi di massa. Rendersi conto della presenza dell’apocalisse significa dover agire.
La possibilità di una guerra mondiale nucleare e del conseguente annientamento dell’umanità e del futuro esiste oggi come ieri. Si potrebbe forse dire più che mai, visto che negli ultimi tempi è scoppiato un conflitto militare dopo l’altro, si sono susseguite pulizie etniche, attacchi suicidi, genocidi, attacchi mirati con droni e bombardamenti a tappeto e che la corsa agli armamenti da parte degli Stati, la militarizzazione, le minacce reciproche e l’isolazionismo sono ormai una realtà globale. Forse abbiamo sottovalutato l’onnipotenza del nazionalismo, che sta trasformando gli individui di tutto il mondo in soldati obbedienti e ciechi seguaci di ordini. Nel frattempo gli anarchici osservano l’escalation globale dei conflitti militari, per metà scioccati e per metà pietrificati, e discutono della dubbia solidarietà con questo o quel gruppo – dobbiamo ammettere che queste discussioni spesso non hanno alcuna influenza e certamente nessuna conseguenza esistenziale sulla realtà delle nostre vite. La vacillante economia capitalista sta riprendendo velocità grazie al motore economico della guerra e mentre la guerra infuria qua e là, le casse suonano nella zona di pace. La guerra e la pace sono due parti della stessa medaglia; la pace capitalista ha bisogno della guerra, così come la guerra ha bisogno della produzione regolare di attrezzature belliche.
La possibilità di una terza guerra mondiale viene discussa a molte tavole in questo Paese. Ancora in modo abbastanza astratto, forse provvisorio, ma sempre più spesso. Cosa succederà se la Cina invaderà Taiwan? Gli Stati Uniti lo Yemen? Se l’Ucraina entrerà nell’UE come previsto – o se gli Stati Uniti cambieranno governo e smetteranno di fornire armi a Kiev? Tutte speculazioni astratte e geopolitiche? Ci sono, tuttavia, alcune altre cose che non sono astratte, sono questioni molto concrete e tangibili tra i/le compagni/e e non dovremmo dimenticarle: la repressione nei tempi del militarismo, quando un Paese entra attivamente in guerra. La necessità per lo Stato di agire contro il nemico interno. La fragilità delle linee di rifornimento al fronte. L’uso militare delle infrastrutture civili per il trasporto e per l’energia. Sono cose molto concrete su cui riflettere. Ma forse sono cose che non dovrebbero essere discusse al tavolo della cucina, bensì durante una rinfrescante passeggiata invernale.
Note
1 “Prosperity Guardian” è il nome affibbiato all’operazione militare della coalizione occidentale volta a garantire la sicurezza delle navi mercantili nel Mar Rosso, ormai diventate obbiettivo dei regolari attacchi da parte degli Huthi
2 Proposta avanzata da un politico della AfD
3 Con questi termini il cancelliere Scholz si espresse durante un discorso all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina
4 Günther Anders. L’uomo è antiquato (I). Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale.
[Pubblicato in Antisistema – Aperiodico anarchico, numero 2, primavera 2024 – Link al sito: https://antisistema.blackblogs.org/]
Benvenuti al circo – Lunga vita al tendone militare
Con il titolo “Unisciti al blocco anarchico il 24 febbraio 2024 a Berlino!”, i militaristi hanno invitato la gente a partecipare a una manifestazione a favore dell’Ucraina davanti all’ambasciata russa. Questo post è rimasto a lungo su Indymedia. Poi è stato cancellato. Ora è riapparso. Perché?
Queste persone che gravitano attorno all’ABC-Dresden [Anarchist Black Cross – Dresden / Croce Nera Anarchica – Dresda] e che continuano a definirsi anarchici, sono ben note per la loro posizione che intende condividere le trincee con i fascisti ucraini – tra gli altri. Rappresentano e difendono il nazionalismo ucraino, lo Stato, i suoi servizi segreti e la sua repressione. Sono a favore della fornitura di armi e di ulteriori corse agli armamenti, anche se affermano il contrario.
In un altro appello, attualmente reperibile sul sito barrikade.info, l’ambiente dell’ABC–Dresden ha postato quanto segue: «Solidarietà non con lo Stato ucraino, ma con il popolo ucraino, che ha dimostrato cosa significa resistenza». Frasi vuote, sparate a caso e poi seguite da: «E quale bandiera potrebbe esprimere questa solidarietà meglio della bandiera nera?». Ah, sì? Non il panno funebre? E così nel post su barrikade.info questa bandiera nera sventola in un paesaggio dipinto coi colori della bandiera nazionale ucraina. La commedia nel tendone militare. https://barrikade.info/article/6327
Come se i camerati nelle trincee ucraine fossero (o potessero essere) in qualche modo riconosciuti come anarchici. Sono soldati piuttosto profani che fanno ciò che i loro superiori statali ordinano loro di fare. Altrimenti è la galera o altro. E quelli nella bella foto sotto il cielo azzurro e nel campo di grano giallo muoiono come muore il loro collega russo dall’altra parte della trincea. Citiamo coloro per i quali l’ABC-Dresden “e dintorni” raccolgono denaro (che a volte viene rubato in grandi quantità): «Dmytro, Finbar e Cooper, morti nei combattimenti vicino a Bakhmut il 19 aprile, erano effettivamente lì insieme ai membri della Fratellanza (nota nostra: fascisti ucraini). Ma secondo gli stessi ragazzi, i loro amici e il nostro compagno, che era nella loro stessa divisione, non si sono mai uniti a questa organizzazione. La partecipazione congiunta al combattimento e all’addestramento fu una decisione temporanea imposta loro dai comandanti dell’esercito. Questi combattenti si erano riuniti appositamente per formare una divisione anarchica, ma dovevano arrangiarsi con risorse estremamente limitate. Dopo essere arrivati in gruppo in un campo di addestramento, è stato detto loro che si sarebbero addestrati a fianco dei membri della Fratellanza e che in seguito sarebbero partiti insieme per la loro prossima missione. Per il bene del loro obiettivo, gli anarchici erano disposti ad affrontare qualsiasi sfida, quindi non si lasciarono fermare dalla sgradevole necessità di una convivenza temporanea, poiché il comfort personale è insignificante rispetto alle sfide del movimento anarchico».
Certo, poiché l’“anarchico” altruista è un vero “anarchico”, egli mangia dalla stessa ciotola del fascista. La comodità personale deve essere messa da parte per la causa…
Seriamente. Penoso tentativo di indorare la pillola. Gli amici dei soldati Dmytro, Finbar e Cooper descrivono bene quello che fanno e confermano le voci sui combattimenti al fianco dei fascisti. Non volevano, ma hanno dovuto farlo. In quale baratro sono caduti gli ex anarchici? Nell’esercito parla l’uniforme, parla lo Stato, contano gli ordini e l’obbedienza. «Nessuna solidarietà con lo Stato ucraino», ma indossare la loro uniforme e uccidere o essere uccisi per loro conto? Ci dispiace davvero per Dmytro, Finbar e Cooper, che sono morti come soldati in guerra. Di certo non sono morti come anarchici che lottavano per la rivoluzione sociale. E non una singola loro pallottola ha fermato la guerra. Tragico.
La chiamata per la manifestazione di Berlino, per tornare alla questione, è/era un’idiozia senza senso che sfociava nella «solidarietà con l’intera società ucraina che resiste da due anni». Chi è l’intera (!?) “società ucraina”? All’interno di questa società ucraina, ci sono modi molto diversi di affrontare la guerra di aggressione della Russia. Ma questo non rientra nella visione del mondo in bianco e nero dei nostri guerrieri. Un solo esempio: solo nell’UE ci sono 650.000 uomini ucraini idonei al servizio militare che ovviamente non vogliono combattere. 200.000 di loro vivono in Germania. Lo Stato ucraino sta attualmente esercitando pressioni su di loro affinché vadano al fronte.
L’ ABC-Dresden e le persone che le gravitano attorno hanno attaccato i partecipanti all’incontro anarchico di Saint-Imier, in Svizzera, non tollerando le loro posizioni antimilitariste e anarchiche. Non hanno accettato alcuna contraddizione e si sono arroccati su una politica identitaria che li trascina dritti in trincea. Conseguentemente, sostengono i loro “compagni” al fronte raccogliendo denaro. Essi sono parte integrante della logica e della dinamica generale della guerra, che essi stessi non analizzano. Non capiscono nulla di ciò di cui parlano gli antimilitaristi quando criticano le loro posizioni in quanto anti-emancipatorie, patriarcali, nazionaliste e militariste.
Le “alternative” dominanti sono: a favore dell’Ucraina o a favore della Russia. Se una parte della sinistra (comunisti, anti-imperialisti) è dalla parte della Russia, l’ABC-Dresden è solo schifosamente dall’altra parte, la parte della NATO. Tutta merda.
Questo significa che l’ABC-Dresden si schiera da una parte precisa del conflitto e alimenta la logica militarista facendo passare la sua adesione alla guerra come partecipazione ad una guerra giusta, per una causa giusta.
Critichiamo e condanniamo l’attacco della Russia senza entrare in una Realpolitik che improvvisamente indossa l’uniforme ucraina per uccidere o esservi uccisi. Critichiamo la vigliaccheria con cui si sostengono gli assassini al fronte senza nemmeno andarci di persona al fronte.
In Svizzera (Berna), sul sito barrikade.info pubblicizzano uno dei loro eventi con un colorato look floreale. Parlano di assassinii e avvolgono il loro militarismo nei fiorellini. Forse così si fa più bella figura? In realtà è solo perverso. Chi parla in termini politici non può farsi distrarre da immagini colorate. Chi cerca la morte in un prato fiorito, la trova. Così è stato in tutte le guerre. Joan Beaz: Il vento soffia sulle tombe. Pensiamo inoltre che Barrikade dovrebbe evitare di spendersi per posizioni a favore della guerra.
L’ABC-Dresden e i suoi sostenitori usano una retorica ben nota per respingere le critiche (1. la perfida sinistra occidentale, anche se ci sono forti critiche provenienti anche dall’est; 2. lo status di vittima, anche se altre “vittime” della guerra hanno preso una posizione completamente diversa e l’hanno rivendicata in maniera diretta, faccia a faccia con l’ABC-Dresden; 3. L’ABC-Dresden confonde i gruppi di sinistra con i gruppi anarchici e ciò è determinante per la conseguente accettazione della pratica autoritaria; 4. il pensiero militarizzato, perché patriarcale, che detta le parole e le azioni) e questo ha delle conseguenze. È come un boomerang anarchico che gli torna indietro.
L’ABC-Dresden rappresenta semplicemente un’estensione (insignificante) degli interessi tedeschi e della politica della NATO, a prescindere da ciò che affermano.
Lo ribadiamo: l’ABC-Dresden pretende di non parlare o essere a favore dello Stato, ma al contempo sostiene strutture militari che sono soggette al comando e all’obbedienza allo Stato. Un militare ha a che fare con la pretesa pratica antiautoritaria dell’ABC-Dresden tanto quanto lo stupro ha a che fare con il sesso. Certe persone (donne incluse) si illudono di poterlo affermare comunque, perché una volta facevano parte del movimento antiautoritario e addirittura sono ancora più o meno organizzate in tal modo, tralasciando le gerarchie informali. Il senso dell’ABC-Dresden sta soprattutto nel rendere accessibile a persone con un certo senso critico la logica della guerra. Niente di più. Sono sullo stesso fronte degli Antideutsche [Ndt. la sinistra filo-israeliana tedesca], degli anti-imperalisti e della sinistra comunista, anche se su posizioni diverse. Ma questo è il bello della logica della guerra: c’è abbastanza scelta e spazio per tutti, da tutte le parti.
L’ABC-Dresden è solo uno Zeitgeist che si muove sotto diverse spoglie, stravolgendo tutti i concetti. Niente di speciale, in realtà. Naturalmente crea confusione e fa il gioco di chi è al potere. Nella AfD [Ndt. Alternativ für Deutschland] sono maestri nel campo della distorsione della realtà, i vari Wagenknecht sono bravi in questo, così come il governo, che blatera di pace utilizzando ancora più armi. L’ABC-Dresden in questa tragedia rappresenta il braccio armato dei Verdi. Quante contraddizioni.
L’anarchismo viene scambiato per diritto al militarismo, alla violenza di Stato e all’assassinio per fini nazionalistici.
Contro ogni guerra.
Abc dell’anarchia.
[Pubblicato il 23 febbraio 2024 in https://de.indymedia.org/node/342044]
Lettera aperta agli organizzatori e ai partecipanti dell’ABC [AanarchistBlackCross] Festival di Vienna ovvero: perché quest’anno non parteciperemo all’ABC Festival
Cari organizzatori e partecipanti all’ABC Festival Vienna 2023,
Quest’anno avremmo dovuto presentare la discussione “Distruggiamo il Leviatano – Sull’incompatibilità tra anarchia e civiltà”, ma siamo stati costretti a cancellarla con poco preavviso e non parteciperemo più al Festival nemmeno stavolta. Siamo rimasti scioccati nel leggere nel programma dell’evento che agli “attivisti” della rete “Solidarity Collectives”1 è stato offerto un palco ad un evento esplicitamente anarchico. Siamo rimasti scioccati perché nonostante questa rete venga presentata come “anti-autoritaria”, una cosa ci è chiara: l’Anarchismo non può avere niente a che fare con il sostegno diretto o indiretto agli Stati, al nazionalismo e ai militari.
Non da meno, del resto, è l’immagine di sé rivendicata da questi “attivisti” e dai loro sostenitori, corroborata da numerose dichiarazioni, conferenze e azioni dei membri dei “Solidarity Collectives”. L’organizzazione del sostegno alle componenti (presunte “anarchiche”) delle forze armate ucraine, che in maniera spudorata (e anche ridicola, se consideriamo il fatto che gli anarchici realisticamente non hanno i mezzi e le connessioni necessarie per un intervento del genere) pretende di portare rifornimenti al fronte («fornire agli attivisti anti-autoritari che si sono uniti alle unità militari tutto ciò di cui hanno bisogno» – citazione dal sito web dei Solidarity Collectives) è incompatibile con le idee anarchiche! Il fatto che la stessa rete ammetta apertamente di voler condurre la propaganda di guerra in ambienti anarchici («La gente discute della “questione ucraina” in tutto il mondo. Spiegare perché tutte le forze anti-autoritarie, nonostante tutto, dovrebbero sostenere il movimento di resistenza ucraino è oggi il nostro compito principale. Pertanto, siamo sempre disponibili a partecipare a conferenze, dibattiti o a condividere la nostra visione con i giornalisti») è solo la punta dell’iceberg. Siamo disgustati dal fatto che gli “attivisti” dei “Solidarity Collectives”, a cui verrà offerta una passerella all’ABC Festival, si siano scagliati ripetutamente contro i disertori durante interviste, eventi e soprattutto nella vastità di internet, che abbiano diffuso posizioni nazionaliste dichiarando i russi nemici legittimi e in quanto tali incitando direttamente e indirettamente al loro abbattimento, che abbiano negato la resistenza antimilitarista alla guerra in Russia (il che contribuisce in particolare all’intensificazione di questi risentimenti nazionalisti), che l’alleanza militare con le forze ucraine di estrema destra e fasciste sia stata non solo relativizzata, ma anche difesa, che sia il governo ucraino che il conglomerato di governi occidentali che partecipano alla guerra sul territorio ucraino sotto la bandiera della NATO siano stati scusati e considerati come mali minori, sebbene gli anarchici in questi Stati siano stati e siano tutt’ora imprigionati, torturati, mutilati e uccisi. Crediamo che l’intervento anarchico contro la guerra possa assumere diverse forme. Può andare dal sostegno ai disertori al sabotaggio (armato) contro le infrastrutture di guerra, fino alla lotta armata contro tutti i poteri statali, solo per citare alcuni esempi. Tuttavia è per noi fondamentale che le alleanze – anche se temporanee –con qualsiasi Stato siano rigorosamente rifiutate, che come anarchici e anarchiche ci si schieri dalla parte di tutte le popolazioni oppresse e che non ci si lasci fomentare contro le popolazioni di altri Paesi dalla propaganda nazionalista – e che certamente non ci si impegni in prima persona – e che le nostre attività non mirino al mero aiuto umanistico/umanitario, il quale è ad esclusivo vantaggio dello Stato e del dominio e non a una loro distruzione. In ogni caso, entrare nelle file delle forze armate, non per istigare ammutinamenti, far rivivere la pratica del fragging [ndt. rivolgere le armi contro i comandanti] o semplicemente per ottenere armi al fine di disertare con esse e indirizzarle da quel momento in poi contro tutti gli Stati, ma al contrario per partecipare alla difesa di un territorio a favore della potenza statale occupante e dominante quel territorio, secondo noi questo non è conciliabile con le idee anarchiche e, inoltre, la storia di tutte le guerre (così come il “buon senso”) conferma che questa “strategia” non ha alcuna possibilità di successo. Nell’ultimo anno, sfortunatamente, abbiamo potuto constatare troppo spesso come gli anarchici e le anarchiche abbiano comunque partecipato a questo sostegno pro-nazionalista all’Ucraina nella guerra contro la Russia. Abbiamo avuto numerose discussioni con i sostenitori di questo movimento guerrafondaio “anarchico” e ci siamo resi conto che, conformemente all’intenzione dichiarata da parte dei “Solidarity Collectives”, non è nell’interesse di questi guerrafondai “anarchici” discutere il loro punto di vista, ma che il loro unico scopo è quello di convincere le forze anti-autoritarie a sostenere loro e quindi la guerra («Spiegare perché tutte le forze anti-autoritarie, nonostante tutto, dovrebbero sostenere il movimento di resistenza ucraino è il nostro compito principale oggi» – dal sito web dei “Solidarity Collectives”). Alla luce di questa strategia e dell’esperienza acquisita durante le discussioni passate, siamo convinti che gli anarchici non debbano offrire alcuno spazio a queste persone che vogliono imporre idee autoritarie (guerrafondaie) tra gli anarchici stessi.
Coloro che utilizzano mezzi manipolatori (ad esempio una retorica vittimista, informazioni selettive e distorte, immagini della miseria della guerra che vengono poi utilizzate per giustificare la guerra stessa, e un’accusa più che paradossale di “privilegio” nei confronti di chiunque non condivida la loro opinione) per soffocare il dibattito e quindi cercare di mobilitare gli anarchici per la guerra non hanno posto in un evento anarchico, a nostro avviso.
Per queste ragioni, abbiamo deciso di cancellare la nostra partecipazione all’ABC festival di quest’anno perché non vogliamo alimentare questa dinamica (anche se può avvenire contemporaneamente in un numero sempre maggiore di spazi presumibilmente anarchici).
Siamo al fianco di tutti coloro che sono stati colpiti dalla guerra, indipendentemente dallo Stato che occupa il loro territorio, sia esso l’Ucraina o la Russia, così come in tutto il mondo, e dichiariamo la nostra solidarietà a tutti coloro che lottano con intenzioni libertarie contro il massacro compiuto nell’interesse delle varie fazioni capitalistiche dominanti, siano esse anarchiche o meno!
Nessuna solidarietà con coloro che vogliono massacrare per la loro Patria, il loro “popolo” o il presunto male minore democratico, indipendentemente dal fatto che si definiscano “anarchici” o meno!
Note
1 Collettivi di Solidarietà: organizzazione che si occupa di fornire supporto ai “combattenti anti-autoritari” nelle file dell’esercito ucraino e alla popolazione ucraina.
[Pubblicato il 25 aprile 2023 in https://de.indymedia.org/node/275050]
Contro le guerre del capitalismo, la nostra risposta è la guerra sociale
Contro la NATO, contro l’UE, contro l’Ucraina, contro la Russia, per la distruzione dello Stato capitale.
Tutti conoscono la famosa frase di Von Clausewitz, ovvero che la guerra è di fatto la prosecuzione della politica con altri mezzi. La guerra non è un atto di pazzi avventuristi o un atto irrazionale, come viene invece spesso bollata da qualcuno con l’intento di screditare le guerre altrui, perché all’interno del capitalismo la guerra non può essere separata dal capitalismo stesso. Da quando l’uomo ha iniziato a coniare monete con i volti dei governanti, concepite come un’interazione civilizzata per evitare di uccidersi a vicenda in cerca di cibo, in accordo con la logica capitalista, tutti i conflitti tra l’organizzazione politica dell’economia, cioè i suoi amministratori territoriali, gli Stati, sono stati risolti in questo modo laddove non era possibile ricavarne un reciproco vantaggio. La guerra non può essere separata dal capitalismo e tutte le fasi di pace sono finalizzate solo a preparare la prossima guerra e, per quanto riguarda noi masse mortali, sostituibili e sfruttabili, a subirla. Le guerre non si combattono solo tra Stati nazione, ma anche laddove il dominio del capitale non riesce a prevalere tramite la pace sociale, salvaguardandosi da qualsiasi tensione all’interno del proprio territorio, a suon di salve di cannone. Non è necessario alcun bonapartismo in tal senso, se la democrazia non riesce a raggiungere questo obiettivo, lascia il posto al fascismo, che è l’altra faccia della stessa medaglia.
L’invasione da parte dell’esercito russo e la dichiarazione di guerra della Russia nei confronti dell’Ucraina non è né una sorpresa, anche se ha colto tutti di sorpresa, né un atto di un pazzo o di un governo folle, la narrazione si limita a renderlo più comprensibile patologizzando il cattivo del film. In questo modo la questione sociale del capitale viene oscurata, messa in sordina, al fine di separarla dall’organizzazione della società del capitale, come se si trattasse di un tumore, come se l’una non avesse nulla a che fare con l’altra. Non dimentichiamo chi ha sganciato le prime bombe atomiche e, ideologicamente parlando, in nome di chi.
Anche se dopo il crollo dell’Unione Sovietica è stata proclamata la fine della storia, almeno dai filosofi della borghesia, questa fine annuncia di fatto la vittoria infinita del capitale, le cui fazioni continuano a competere l’una contro l’altra. Queste diverse fazioni, che sostengono altresì ideologie differenti, possono essere considerate qualitativamente come un unico blocco, come garanti del mantenimento del capitalismo, tuttavia, come già detto, perseguono i propri interessi e questi conducono a conflitti che, come pochi giorni fa, possono sfociare direttamente in guerre. Tutto ciò ci chiarisce ancora una volta che le fazioni del capitale continuano ad allearsi tra loro in blocchi per proteggere i propri interessi, ma nulla di tutto ciò è permanente e nemmeno definitivo. Ognuna di queste fazioni deve spremere dai lavoratori quanto più plusvalore possibile e, grazie alle varie rivoluzioni industriali, dove questa spremitura viene massimizzata, è necessario sempre meno lavoro umano, il che a sua volta porta a nuove e ulteriori crisi economiche. Questo sviluppo si è intensificato negli ultimi decenni e si sta verificando sempre più frequentemente, almeno rispetto alle crisi economiche precedenti e agli intervalli di tempo tra di esse. Tutte le fazioni del capitale devono quindi garantirsi le proprie posizioni il più rapidamente e il più efficacemente possibile, conquistarne di nuove e assicurarsi il controllo. Questo è ciò che sta facendo l’Unione Europea, attraverso la creazione di un enorme mercato interno e la garanzia per la classe dominante di un’area/territorio sempre più grande. Tuttavia, quest’area/territorio persegue certamente anche la stabilità interna, non senza conflitti, al fine di garantire la massimizzazione dello sfruttamento e deve quindi essere in grado di difendersi anche come blocco.
Tutti questi processi e strategie messi in atto da diverse nazioni e fazioni non sono mai armoniosi e la loro durata non è mai certa, perché ognuna di esse persegue e difende innanzitutto i propri interessi. Si pensi, ad esempio, all’uscita del Regno Unito dall’UE. L’UE ha dovuto espandersi e, a causa dei confini geografici con cui deve fare i conti, ha potuto farlo solo verso est, dove una fazione decaduta, l’Unione Sovietica, è stata in grado di ricostruirsi più piccola e sotto il nome di Federazione Russa, che pensa e agisce secondo le medesime logiche.
L’attuale conflitto, camuffato dalla maschera del nazionalismo e dell’amor di patria, rappresenta un’evoluzione di questo tipo, in cui anche gli alleati dell’UE, sia economici che militari, ovvero la NATO, giocano un ruolo importante. Perché anche se l’Unione Sovietica è ormai storia, la ragione principale di questa alleanza militare è ancora il presupposto che il principale nemico del mondo occidentale, cioè della fazione capitalista democratica, rispettosa dei diritti delle persone, rispettosa dell’ambiente, filantropica, rispettosa degli animali, ecc., sia la Russia. Forse ciò è dovuto all’ancora considerevole arsenale di armi nucleari, che anche l’Occidente possiede.
Questa guerra, come le sue origini, che raramente si differenziano da quelle degli altri conflitti, è condotta a mo’ di teatrino con un linguaggio diverso. Non viene raccontato che si tratta sempre e solo di conflitti economici, ma, a seconda della rispettiva ideologia, della protezione della democrazia, della lotta contro il fascismo, del salvataggio di fratelli e sorelle oppressi, dell’opposizione a un pazzo e a un’oligarchia, ecc.
Tutto questo è molto utile affinché le persone, di solito lavoratori, cioè persone che vendono la loro forza lavoro per non morire di fame, siano spinte ad uccidersi a vicenda in nome della classe dominante, la borghesia. Gli orrori della guerra, le sofferenze che provoca, i morti, le fughe, gli embarghi economici (Swift), le famiglie e i mezzi di sostentamento distrutti, sono sempre pagati dalle stesse persone in ogni conflitto. Non da coloro che le guerre le iniziano, ma da coloro che le subiscono.
Tuttavia, non bisogna dimenticare l’ipocrisia e lo spietato pragmatismo del capitale: i più duri critici della Federazione Russa, cioè la fazione occidentale del capitale, continuano ad intrattenere rapporti commerciali con essa.
Niente di nuovo in tutto ciò e non c’è stato bisogno di chiedere consiglio all’oracolo per arrivarci. Ma a quanto pare va ripetuto perché l’ideologizzazione riecheggia in molti luoghi e questa guerra viene in qualche modo giustificata. Esistono vari modi per farlo, abbiamo citato l’amor di patria, questa Union Sacrée che unisce tutti, la borghesia unisce i lavoratori, convinti come sono che subirebbero la stessa sorte, che il nemico sia lo stesso, mentre alla fine è solo questione di chi ti sfrutta. La classe dirigente ucraina è così sicura di sé che distribuisce persino armi tra la popolazione senza preoccuparsi del fatto che tali armi le si possano rivoltare contro, e questo nonostante i lavoratori di quel paese (come del resto anche quelli di qui) abbiano tutte le ragioni per farlo. La questione non è solo che il proletariato si arma, ma che cosa fa poi con le armi. E proprio mentre la popolazione ucraina è invitata a fabbricare molotov, su internet non sono mai circolati così tanti video che spiegano come costruire diversi tipi di bombe molotov. Persino i generali riservisti dell’esercito tedesco sottolineano in interviste televisive quanto sia utile aggiungere Polistirolo (il nome vero è polistirene, Polistirolo è il nome della marca) al liquido delle bottiglie incendiarie, per renderle più efficaci.
Tra poco interverranno i veterani della guerra sovietico-finlandese in qualità di esperti di Molotov. Niente sembra più seducente del richiamo alle bandiere in difesa della nazione, che corrisponde sempre alla difesa della borghesia di un determinato territorio.
Eppure ciò sembra una banalità che non interessa più a nessuno. Il che non è un male, e questa non è una lamentela, ma piuttosto una constatazione.
Un’altra guerra è iniziata e questa, come molti altri eventi simili negli ultimi decenni, stravolgerà il futuro, o almeno il misero presente così come lo conosciamo. La Germania ha già annunciato il riarmo dell’esercito mediante somme spaventose e altri Paesi seguiranno l’esempio, non si tratterà di casi isolati. Probabilmente ci troveremo di fronte a un dibattito sulla possibilità che altri Paesi arricchiscano il proprio arsenale con armi nucleari. Ad oggi, nove Paesi – Stati Uniti, Federazione Russa, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Repubblica Popolare di Corea, Repubblica Popolare Cinese e Israele – possiedono ufficialmente un totale di oltre 13.000 testate nucleari. Di queste, quasi 12.000 sono nelle mani degli Stati Uniti e della Federazione Russa. A prescindere da tutto, nel bel mezzo di un’enorme crisi economica, molti Paesi riorganizzeranno i loro bilanci per aumentare le spese militari. Nelle industrie e nelle aziende già si stappano le bottiglie e non bisogna illudersi: questo riarmo servirà principalmente ai nostri nemici per l’amministrazione del proprio territorio.
Qualsiasi dibattito a favore del riarmo delle autorità di sicurezza e militari può ora essere tranquillamente portato avanti senza proteste grazie allo spauracchio russo, magari poi di quello cinese, o di chissà chi, e l’Union Sacrée è compiuta, tutte le forze democratiche diventano espressione dei doveri patriottici.
Ora nulla appare più urgente della pace, della fine delle azioni militari, perché, ed è vero, le persone soffrono a causa dei massacri provocati da qualsiasi guerra. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la pace non è altro che la pace del dominio del capitale e che questa è una guerra contro l’umanità, che ogni giorno deve lottare per la propria sopravvivenza, anche se ha la facoltà di scegliere la dipendenza salariale. Ma nulla è certo in questa realtà e nella dittatura del capitale nessun lavoro costituisce una garanzia, si può sempre perdere, si può essere vittima di un incidente – sia esso fisico o mentale – e la guerra può scoppiare in qualsiasi momento. La convinzione che le cose non vadano così è solo la credenza che lo Stato gestisca tutto nell’interesse del popolo, ma così non è, serve solo i propri interessi e non c’è alcuno spazio per il popolo. Occorre sfruttarli nel modo più efficace possibile e tenerli in vita affinché non si ribellino continuamente e questa concreta realtà deve essere venduta loro come la migliore possibile, a seconda della rispettiva fazione e del rispettivo Paese. La forma – ideologia – attualmente di maggior successo è la democrazia e tale deve rimanere nell’interesse della classe dominante, da qui la demonizzazione di Putin e della Russia che, secondo i media e molti presunti detrattori, è governata da un’oligarchia. La borghesia rimane la borghesia, sia in Russia che qui, ma è interessante presentare quella di lì come una versione peggiore di quella di qui, per questo viene chiamata oligarchia. Altro esempio di competizione tra le fazioni del capitale.
Parlare di pace significa quindi parlarne in termini legati alla classe dominante. Come nella Rivoluzione francese, i proclamati postulati universalistici di libertà, fraternità e uguaglianza si sono affermati esclusivamente in quanto libertà, fraternità e uguaglianza per la nuova classe dirigente emergente, la borghesia.
Di recente, alcuni conoscenti hanno affermato che come rivoluzionari era preferibile vivere in Ucraina, piuttosto che in Russia. Abbiamo risposto che si tratta solo di una questione di fedeltà allo Stato, cosa che in Ucraina sembra essere stata dimostrata in diversi casi.
Questo ci porta dritti alla questione successiva, che ha inevitabilmente caratterizzato questa guerra, ma che non rappresenta un fatto inedito. L’atteggiamento dei presunti anarchici e anarchiche in Ucraina, per come si sono posti fin dall’inizio della guerra. Atteggiamenti e dichiarazioni molto inquietanti, che non vogliamo generalizzare, perché non ne conosciamo la reale diffusione in termini quantitativi. Si tratta di diversi testi, interviste e resoconti che si sono fatti largo tramite il gruppo anarchico nordamericano Crimethinc. e che si sono cristallizzati, mancando ulteriori informazioni. Tuttavia, trattandosi di pochi articoli e non essendo possibile verificarne la paternità, la provenienza e le posizioni dei redattori, non sappiamo se si tratti di posizioni condivise da molti anarchici e anarchiche in Ucraina.
Ciò che ci preoccupa ancora una volta, ma che tuttavia non ci sorprende, è che in questo conflitto i cosiddetti anarchici si schierino al fianco di due opposte fazioni borghesi. Da un lato con pretesti come la democrazia, la sovranità nazionale, a fianco dei nazisti e dei nazionalisti ucraini, dalla parte della nazione ucraina, della NATO e degli interessi imperialisti, dei loro partner e soci, e dall’altro lato, con pretesti di antifascismo, di sovranità nazionale, a fianco dei nazionalisti russi, dalla parte della nazione russa, dei suoi partner e soci e dei suoi interessi imperialisti.
Questo si può desumere, che sia vero o meno, gonfiato o esagerato, da vari articoli pubblicati o apparsi su Crimethinc. e su altri siti anarchici. Si parla di una sorta di Union Sacrée, in cui tutti combattono insieme contro l’aggressore russo, difendendo il capitale nazionale contro il capitale straniero. Si parla apertamente della necessità di vivere in una nazione ucraina piuttosto che sotto il dominio russo, diretto o indiretto. Il tutto condito con inviti a unirsi all’esercito o a varie milizie nazionaliste e fasciste. Come possono gli anarchici parlare di difesa del proprio Stato, se non abbiamo né patria né Stato?
Tutto ciò, anche se con una portata differente, ci ricorda troppo il Manifesto dei Sedici, un manifesto pubblicato da quindici anarchici che si schierarono a favore della guerra contro l’Impero tedesco nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale. Il più famoso dei firmatari fu Piotr Kropotkin, proveniente dalla Russia. L’aperto sostegno agli Alleati e all’Intesa da parte di alcuni, portò a uno scontro all’interno dell’Anarchismo che solo dieci anni più tardi si sarebbe ripresentato in occasione del dibattito sul piattaformismo.
Il movimento anarchico internazionale respinse questo manifesto. Ciò significa che gran parte del movimento lo criticò e lo accusò di tradire i principi anarchici. Che non si trattava di una guerra tra l’imperialismo tedesco e il movimento operaio internazionale, ma di una guerra tra Stati capitalisti, condotta sulla pelle della classe operaia.
Tra i critici del Manifesto figuravano Malatesta, Goldman, Berkman, Faure, Fabbri, Mühsam, Rocker e molti altri volti noti.
Forse esageriamo nel ricordare, e non nel paragonare, quello che ci ha colpito, perché, come già detto, è inquietante e controrivoluzionario quando gli anarchici iniziano a unirsi a una delle fazioni del capitale. Perché se loro, come altri presunti rivoluzionari, iniziano a difendere lo Stato-capitale, per cosa stiamo combattendo se non per la conservazione di ciò che vogliamo distruggere, che è la causa di tutte le sofferenze dell’umanità e di tutte le specie su questo pianeta?
Tale domanda va intesa in modo retorico, tuttavia, dopo la pandemia di Coronavirus, la difesa dello Stato come garante della salute e del benessere si è diffusa non solo all’interno della sinistra del capitale, ma anche nei circoli anarchici, che si sono così uniti a questa sinistra. Ed ecco che alcuni di questi circoli, correnti e/o gruppi giustificano l’ideologia dominante, la democrazia, come una forma più ragionevole di dominio capitalista e ogni citazione di Bakunin1 a questo proposito passa in secondo piano e non ci permette più di capire cosa vogliamo fare, ovvero porre fine al capitalismo e allo Stato.
Quali sono le nostre proposte? Quelle che milioni di persone prima di noi hanno difeso e cercato di mettere in pratica. Siamo convinti che non abbia senso schierarsi da nessuna parte in questa guerra capitalista. Non siamo carne da macello per la NATO, l’UE, la Russia o chiunque altro, a prescindere da quanto progressista e filantropica si presenti questa o quella fazione del capitale. Il nostro obiettivo è liberare l’umanità dal giogo della schiavitù salariale e dello Stato e dobbiamo percorrere questa e solo questa strada. Tutti gli sforzi del movimento anarchico devono essere volti a promuovere un’insurrezione che porti alla rivoluzione sociale. Guerra sociale e guerra di classe ovunque e senza sosta. Che i nostri sforzi contro la guerra capitalista devono sempre essere per la guerra contro la classe dominante, che solo le masse sfruttate possono porre fine a questo e a qualunque altro massacro, che condividiamo di più con i nostri presunti avversari – camuffati dalla maschera del nazionalismo – poiché siamo tutti sfruttati sotto lo stesso dominio del capitale.
Abbasso la guerra capitalista e la pace capitalista!
Insurrezione, rivolta, rivoluzione sociale!
Per una comunità libera, senza classi e senza Stato!
Per l’anarchia!
Note
1Il riferimento è al testo “La guerra e gli anarchici: Prospettive anti-autoritarie in Ucraina”, pubblicato su Crimethinc (https://crimethinc.com/2022/02/15/guerra-e-anarchici-prospettive-antiautoritarie-in-ucraina), dove, per avvalorare le proprie tesi, citano la frase che scrisse Bakunin “Siamo fermamente convinti che la repubblica più imperfetta sia mille volte migliore della monarchia più illuminata”
Soligruppe für Gefangene
[Pubblicato il 28 febbraio 2022 in https://panopticon.noblogs.org/post/2022/03/02/gegen-die-kriege-des-kapitalismus-lautet-unsere-antwort-sozialer-krieg/]
Contro la guerra e la mobilitazione militare
Note preliminari sull’invasione dell’Ucraina
Lo Stato russo sta cercando di conquistare l’Ucraina. Lo stesso Stato russo che solo poche settimane fa ha appoggiato la repressione del movimento per la libertà in Bielorussia e ha schiacciato con i carri armati la rivolta in Kazakistan. Putin sta cercando di estendere il suo dominio autocratico e di schiacciare ogni movimento di ribellione o di resistenza sia all’interno che all’esterno. Ma se tutti i democratici occidentali ora intonano in coro la difesa della libertà e della pace, ciò è solo un’ipocrisia ben orchestrata: gli stessi democratici che impongono politiche di potere coloniale e di sfruttamento con le loro “missioni di pace”, ovvero guerre di aggressione, droni, bombe e occupazioni di Paesi, che forniscono armi a dittatori e torturatori e sono direttamente o indirettamente responsabili di massacri di rifugiati e insorti, ora invocano la pace.
La sacra pace in Europa, che peraltro non ha mai funzionato in questi 70 anni e ha sempre significato guerra nel Sud del mondo – attraverso guerre per procura, forniture di armi, frontiere e colonialismo. Se l’Occidente sostiene senza riserve l’Ucraina è perché si tratta di un suo alleato.
Entrambe le parti di questa guerra ci disgustano: invece di schierarci da un lato in questo conflitto, ci opponiamo a tutti gli eserciti e alle loro guerre – aborriamo non solo i loro massacri, ma anche la loro obbedienza cadaverica, il loro nazionalismo, il fetore delle caserme, la disciplina e le gerarchie.
Se gli anarchici e le anarchiche ucraine decidono, con le armi in pugno, di difendersi – loro stesse e le persone a loro vicine, non difendere lo Stato ucraino – allora siamo solidali con loro. Ma una posizione anarchica contro la guerra – anche contro una guerra di aggressione imperialista – non deve degenerare nella difesa di uno Stato e della sua democrazia – o diventare una pedina dello stesso. Non scegliamo lo schieramento del male minore o quello dei governanti più democratici – perché queste stesse democrazie sono interessate solo alla propria espansione di potere e si basano anch’esse sulla repressione e sull’imperialismo. L’essenza di ogni Stato è la guerra: esso occupa il territorio e diventa l’unico legittimo detentore del monopolio della violenza – difende i suoi confini e controlla la popolazione chiamata a servirlo.
In questo senso, il nostro pensiero e la nostra solidarietà vanno anche a tutti coloro che oggi fuggono dal reclutamento forzato, a tutti coloro che disertano, che si rifiutano di sparare al nemico perché indossa l’uniforme sbagliata o parla la lingua sbagliata. Questa solidarietà, che supera i confini imposti dal nazionalismo e che porta alla fraternizzazione, può essere rivoluzionaria. Perché quando le persone nel territorio dello Stato russo scendono in piazza contro la guerra e i residenti in Ucraina fuggono dal reclutamento forzato, questa è una dinamica che si libera di tutta la merda nazionalista che lo Stato cerca di impiantare nei nostri cuori e nelle nostre menti e le cui uniche conseguenze sono la mentalità da gregge, il culto della leadership e della mascolinità, il martirio, i massacri, le fosse comuni e i genocidi.
Questo nazionalismo tende a dividere le persone in carne da cannone e in nemici da eliminare – ciò significa che non vediamo più individui, ma solo eserciti, uniformi, nazioni, gruppi etnici, credenti – alleati o nemici. Tuttavia, quando le persone disertano la logica bellica dello Stato con o senza armi, quando gli individui con o senza armi si difendono da qualsiasi occupazione statale, quando le persone aiutano e sostengono i rifugiati e i disertori, quando gli individui fraternizzano al di là dei confini e delle linee di guerra – allora qualcosa può essere contrapposto al bagno di sangue dello Stato.
Se lo Stato, i suoi generali e i suoi politici conoscono solo il linguaggio dell’oppressione, gli oppressi conoscono il linguaggio dell’empatia e della solidarietà. Alla fine la guerra è sempre voluta dai ricchi e dai potenti, perché sono gli unici a beneficiare del potere e del denaro – a chi viene massacrato dal regime è sempre destinato il ruolo di asservito, sfruttato ed emarginato. I ricconi ucraini sono stati i primi a lasciare il Paese con jet privati.
Mentre l’Occidente fornisce armi all’esercito ucraino, la macchina della propaganda e degli armamenti è in piena attività anche sul fronte interno: l’esercito tedesco deve essere riarmato – la popolazione deve essere mobilitata contro la Russia. Mentre le bombe esplodono a poche centinaia di chilometri di distanza, qui prevale la “pace” militarista: nuove armi, nuove attrezzature, nuovi soldati devono essere comprati, prodotti e addestrati. Dopo lo stato di emergenza del Coronavirus, la popolazione è di nuovo terrorizzata ed è chiaro chi deve seguire e chi le può offrire protezione: il Padre Stato, armato fino ai denti.
E esattamente allo stesso modo, ci troviamo di fronte a una mobilitazione “culturale” fin dai primi giorni di guerra. Ci viene ricordato che l’Ucraina non è vicina a noi solo in termini di chilometri, ma anche culturalmente. La fazione culturale, dalla sinistra liberale a quella radicale, sa immediatamente come sostenere la guerra contro l’espansione del nemico russo in Patria. Quel margine di libertà subculturale in materia di stili di vita – che la democrazia offre così generosamente e che negli ultimi due anni è stato così massicciamente limitato o relegato alla sfera digitale – viene evocato per far emergere e cementare nei cuori della popolazione un sentimento di unione con l’alleato e di separazione con il nemico. In fondo, senza il sostegno culturale del punto di vista educativo della sinistra-liberal, l’ulteriore militarizzazione materiale dell’Occidente, già annunciata all’inizio della guerra, non potrebbe essere attuata così facilmente.
Questa propaganda di guerra militarista e culturale può e deve essere interrotta e sabotata. Nelle settimane e nei mesi a venire, probabilmente, ci troveremo di fronte a una retorica e a una vera e propria propaganda di guerra, la quale mirerà a utilizzare tutti i mezzi per garantire che la popolazione sostenga fermamente lo sforzo bellico dell’Occidente: «Noi democratici sosteniamo l’Ucraina con tutti i mezzi, perché si sta difendendo dalla malvagia dittatura russa». Questo sarà il tenore. Tuttavia alla NATO non interessa una maggiore o minore libertà per la popolazione ucraina, le interessano le zone geopolitiche difensive, i mercati e le sfere d’influenza, per le quali è disposta a mettere in moto miliardi di euro e munizioni.
Alla guerra tra due Stati opponiamo il nostro antimilitarismo; un movimento contro la guerra che non si proponga di solidarizzare con una nazione o uno Stato, ma che rifiuti qualsiasi guerra tra Stati. Indipendentemente dal territorio in cui viviamo, possiamo rompere, disertare e sabotare la propaganda, la logistica e la logica della guerra: rompere la mobilitazione nazionale e continentale, rifiutare la mentalità da superiori e reclute, attaccare il riarmo interno e la militarizzazione, sabotare le linee di rifornimento militare e bloccare l’industria degli armamenti.
E intanto gli eventi in Ucraina ci confondono: mentre il bilancio delle vittime civili sale alle stelle, ci giungono voci che la popolazione civile viene armata. Se il caos degli eventi dovesse evolversi in direzione di una guerriglia o di una guerra partigiana, ciò potrebbe – non è affatto inevitabile – aprire opportunità per i rivoluzionari. Ad esempio gli anarchici e le anarchiche che si trovano sul territorio dello Stato russo ipotizzano che un fallimento della guerra di aggressione potrebbe sfociare in insurrezioni e rivolte in Russia.
Di fronte ai continui spargimenti di sangue, tuttavia, siamo consapevoli che la guerra e la militarizzazione di solito generano solo altra guerra e altra militarizzazione e che la sofferenza e la miseria oscurano le opportunità di liberazione sociale… in questo senso, i nostri pensieri sono rivolti alle persone che sul posto stanno analizzando i propri orizzonti senza piegarsi agli ordini e alle ideologie di uno Stato.
27 febbraio 2022
[Pubblicato in In der Tat – giornale anarchico, numero 14, primavera 2022]