Parole vive contro un sistema di morte [aggiornato]

Parole vive contro un sistema di morte

Di fronte all’orrore di Gaza, e all’evidenza inaggirabile che il “proprio” governo – o la “propria” Università – sta collaborando con un genocidio, parole che fino a pochi mesi fa sarebbero sembrate “estremistiche” o lontane risuonano nei cuori di molti che partecipano alle manifestazioni in solidarietà con gli oppressi palestinesi. Se è difficile tradurre certi sentimenti in azioni conseguenti, è impossibile rimuoverli dalla coscienza. Capita così che dei partecipanti ai cortei per Gaza si prendano la briga di trascrivere alcuni interventi di compagne e compagni, per poi farli girare nei propri “canali di comunicazione”. Ecco perché pubblichiamo questi discorsi a braccio tenuti in alcune recenti manifestazioni trentine: perché qualcuno li ha trascritti; perché le lotte sono fatte sì di pensieri più meditati e articolati, ma anche di parole insufficienti e vive, che solo un’incontenibile rivolta può trasformare nel silenzio dei giusti.

I valori dell’Occidente li stiamo vedendo in questo momento…

Rispetto all’orrore a cui siamo di fronte nella striscia di Gaza è davvero difficile trovare le parole; anzi si può dire che è impossibile trovare delle parole adeguate, e uno potrebbe anche chiedersi a cosa serve continuare a cercare queste parole.

Forse non si cambiano gli equilibri del mondo, anzi, è sicuro che soltanto con delle parole non si cambiano, ma queste sono necessarie almeno per noi, per non sprofondare nella disumanità, e poi speriamo che avesse ragione Simone Weil quando diceva, in un’epoca altrettanto buia, negli anni ’30, che sugli orrori del mondo circolano tantissime parole false e vuote e cercare di essere precisi nel linguaggio, cercare di avere un’etica delle parole, anche se sembra strano, può salvare delle vite. Speriamo che avesse ragione. Speriamo che cercare di nominare l’orrore e il male serva a qualche cosa.

Attorno al 10-11 ottobre, ricorderemo tutti, l’esercito israeliano aveva invitato, si fa per dire, la popolazione della striscia di Gaza a spostarsi verso Sud perché di lì a poco sarebbero cominciati i bombardamenti. Un avviso che come ormai in uso almeno dall’epoca dell’operazione Piombo Fuso è stato fatto attraverso degli sms. Una popolazione intera a cui si comunicava con un messaggino sul cellulare che doveva spostarsi verso il Sud della Striscia per non rimanere sotto le bombe. Così si fa, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, si comunica con un sms che si hanno 24 ore di tempo per levarsi da un territorio dove cominceranno a cadere delle bombe. Il risultato fu che più di un milione di persone si sono spostate verso il Sud. Ma, con una infamia senza pari, anche spostandosi a Sud la popolazione di Gaza non ha evitato le bombe e oggi siamo di fronte a un ulteriore passo in avanti di questo orrore: il progetto dichiarato da Netanyahu di intervenire anche a Rafah, nella zona della striscia di Gaza al confine con l’Egitto, l’invito ai civili di andarsene perché cominceranno le operazioni militari. Andarsene dove? Il confine con l’Egitto è chiuso, e anche se fosse aperto, per una resistenza storica impressionante, ben difficilmente la popolazione di Gaza andrebbe verso l’Egitto perché sa che questo vorrebbe dire non tornare mai più nella terra di Palestina. E quindi andare dove, verso il mare? Pensiamo che il governo di Israele ha avuto la sfacciataggine brutale, infame, addirittura di presentare all’Onu un piano che prevede la deportazione di tutta la popolazione della Striscia, 2 milioni e 300 mila persone, su un’isola artificiale. Prima si parlava del deserto del Sinai, prima si sono stretti possibili accordi con la Repubblica Democratica del Congo per deportare in Africa la popolazione palestinese. A questo siamo arrivati, al piano esplicito di deportare un’intera popolazione, di metterla di fronte a due scelte entrambe infernali, o andarsene oppure essere ammazzata in massa. E questo non lo diciamo solo noi, anche quelli di noi che certo non hanno fiducia nell’Onu, che non hanno fiducia negli Stati, perché abbiamo visto a cosa hanno portato decine e decine di risoluzione dell’Onu, per quanto riguarda la Palestina, a niente, ad una estensione senza precedenti degli insediamenti coloniali. Ma ipotizzando che in questa società esista ancora qualcuno di quella specie in via di estinzione che sono i sinceri democratici, ebbene ai sinceri democratici si potrebbe far notare che formalmente lo Stato di Israele è alla sbarra presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia per genocidio.

Per la prima volta nella storia lo Stato di Israele, e per la prima volta negli ultimi decenni uno Stato, deve rispondere del crimine di possibile genocidio, di intento di genocidio, di politiche genocidarie. E se si legge le sentenza della Corte internazionale di giustizia, ma bisogna andarsele a cercare perché i giornali e le TV italiane parlano di tutto tranne che di questo, c’è scritto a chiare lettere che chi continua a collaborare con lo Stato di Israele fornendo aiuti militari, tecnologie, accordi commerciali, è in senso stretto complice di un genocidio.

A questo siamo arrivati, che perfino la Corte internazionale di giustizia dice apertamente che lo Stato italiano, Leonardo-Finmeccanica e tutte le multinazionali italiane che continuano a fare affari con lo Stato di Israele sono complici di genocidio. Di cosa si dovrebbe parlare sui luoghi di lavoro, nelle piazze, nelle case, nelle scuole, nei bar, se non di questo? Lo Stato di cui i cittadini democratici sono i cittadini e i sudditi è formalmente accusato di essere complice di un genocidio a meno che non interrompa le collaborazioni, cosa che non ha nessuna intenzione di fare. Pensate che ci sono in questo momento grosse aziende del comparto tecnologico industriale, dal Giappone al Belgio, che per evitare di finire a processo per complicità di genocidio, non certo per una improvvisa sensibilità etica, hanno deciso di interrompere le collaborazioni con lo Stato di Israele, ma non lo Stato italiano, non Leonardo-Finmecannica, non la fondazione Bruno Kessler, non il rettore dell’Università di Trento Deflorian: questi continuano a fare affari perché dietro le bombe che piovono sulla striscia di Gaza e che stanno provocando un massacro, un infanticidio, ci sono anche le armi italiane, ci sono gli elicotteri italiani, ci sono i carri armati italiani. E questa complicità è una complicità senza ritorno, incancellabile, più di 30000 persone ammazzate, più di 12000 bambini assassinati e quelli che non sono stati assassinati sono senza arti, vengono operati senza anestesia, alla luce dei cellulari perché continua il blocco totale dei rifornimenti.

E qualche giorno fa in questa piazza si festeggiava il grande cuore del volontariato trentino, elogiato dal presidente Mattarella, che era qua a Trento, qualche giorno dopo che lo Stato italiano assieme a tanti altri governi occidentali aveva appena deciso di smettere di finanziare l’Ufficio delle nazioni unite che si occupa dei rifugiati palestinesi. Quindi quei pochi che a livello istituzionale continuano a far passare qualcosa nella Striscia si sono ritrovati senza fondi. Quindi da un lato si elogia il volontariato e dall’altra si lascia un’intera popolazione senza cibo, senza acqua, senza elettricità. Questa è complicità in genocidio, e di cos’altro si dovrebbe parlare? Si è levata una voce del cosiddetto nobile volontariato trentino per dire “vieni a elogiare noi ma hai appena tolto i fondi a gente che si occupa di portare da mangiare e da bere a un’intera popolazione”?

Quel silenzio è un silenzio che peserà nella storia, questa gente cosa dirà domani ai palestinesi che chiederanno “dove eravate quando morivamo sotto le bombe, quando morivamo perché non c’era più niente da mangiare, dove eravate…?”.

Cosa si potrà rispondere, “eravamo in piazza ad aspettare l’elogio di un presidente di uno Stato complice con un governo che vi stava massacrando”?

Ecco delle parole precise contro le parole vuote.

E per parlare di un aspetto secondario ma indicativo, il festival di Sanremo, il festival della canzone italiana, l’edizione di quest’anno che avviene durante un genocidio, un silenzio totale, qualcuno di questi canterini ha detto “…in questi giorni con quello che sta succedendo…”. Cosa sta succedendo? Non veniva nominata, la parola Palestina era impronunciabile, appelli generici alla pace, discorsi generici sui conflitti senza nominare quello che sta capitando a qualche migliaio di chilometri da quel palco, e uno di questi cantanti che in un testo che nessuno ha capito ha parlato di ospedali bombardati è stato attaccato dalla comunità ebraica di Milano in quanto portatore di messaggi antisemiti. Anche parlare del bombardamento degli ospedali ormai è antisemitismo. A questo siamo arrivati, a questa complicità, a questa complicità totale.

Noi oggi qua in pochi e in poche siamo tra quelli che non vogliono rimanere in silenzio, che vogliono dire apertamente “quello che sta succedendo è una infamia”, è una infamia senza precedenti, non perché i morti ammazzati dalle bombe siano ahinoi una novità, ma perché mai negli ultimi decenni si è rivendicato in modo così esplicito e totale il massacro di una intera popolazione, mai negli ultimi decenni un intero popolo è stato definito un popoli di animali dalle sembianze umane, un popolo di subumani. E allora, a proposito di memoria, il termine tedesco “subumano” è Untermenschen, che era un concetto cardine del suprematismo bianco nazista. Queste parole ritornano perché ritorna una violenza paragonabile, trattare una intera popolazione come una popolazione di inferiori e di subumani, una popolazione bombardata quotidianamente, una popolazione che rischia un gigantesco sciopero della fame, uno sciopero della fame di due milioni di persone.

E allora essere in piazza anche in pochi è un dovere, un dovere imprescindibile, un dovere a cui non ci si può sottrarre perché se no si sprofonda nella disumanità e invece bisogna risalire la china dell’indifferenza, dell’ignavia, organizzarsi, raccogliere gli appelli che arrivano, in particolare dai palestinesi. In particolare per il 23 febbraio, giornata di uno sciopero generale contro il genocidio di Gaza. Ed è per questo che ogni lunedì c’è una assemblea a Sociologia a Trento, dalle 17,30, per organizzarsi in vista del 23 e di tante altre scadenze.

E poi volevo dire un’ultima cosa a proposito di quello che succede nello Yemen. Non siamo soltanto di fronte ad una complicità da parte dello Stato italiano sotto forma di forniture militari, tecnologiche, di affari commerciali con lo Stato di Israele, no, siamo alla partecipazione attiva al genocidio perché nell’operazione in corso nel mar Rosso c’è questo in gioco, per difendere i traffici internazionali, per permettere alle navi israeliane di continuare a circolare indisturbate nel golfo di Aden lo Stato italiano mobilita le proprie forze armate e le proprie navi, ancora non partecipa direttamente ai bombardamenti nello Yemen ma è lì, è li a dire allo Stato di Israele “fai il tuo sporco lavoro, perché chi nella regione si alza contro il tuo genocidio, noi siamo pronti a bombardarlo”.

E allora sarà il caso di dire qualcosa sugli Houthi, che questi giornalisti venduti continuano a presentare come dei “ribelli”, come se fossero un gruppetto, così, nato dal nulla. Ebbene, guardate, perché per fortuna ci sono dei canali di controinformazione, le manifestazioni che ci sono state nei giorni scorsi nello Yemen, sono manifestazioni di massa, sono manifestazioni di un milione, un milione e mezzo di persone, una folla che non si è mai vista alle nostre latitudini, una folla a perdita d’occhio che è in piazza con le bandiere palestinesi contro il genocidio del popolo palestinese. Dietro le azioni contro le navi israeliane c’è la forza di un intero popolo. E deve far ben riflettere il fatto che l’unico Paese che non solo non collabora con Israele ma che si mette di traverso è uno dei Paesi più poveri del mondo, mentre i Paesi più ricchi continuano a fare affari con lo Stato di Israele, continuano a collaborare con un genocidio. Ecco allora che ritorna il rimosso della storia coloniale. Quello che oggi fa lo Stato italiano non è che continuare una tradizione coloniale, prima liberale e poi fascista, che considera i popoli di colore, i popoli del Medio Oriente come inferiori. Certo oggi non possono dire a scuola, in tv che esiste una razza superiore, ma poco importa dirlo se quello che fai significa esattamente questo, significa che c’è un popolo intero che può essere massacrato perché non ha il colore della pelle come il nostro e significa che i valori occidentali oggi hanno l’odore e il sapore del fosforo bianco, hanno il peso delle bombe che cadono sulla striscia di Gaza.

L’intero Occidente capitalista è complice e noi siamo i disertori di questo Occidente, della sua storia, delle sue infamie, dei suoi valori putridi. I valori dell’Occidente li stiamo vedendo in questo momento, si danza e si balla mentre è in corso un genocidio.

Hora hora Falastin, Palestina libera.

(Intervento ad un corteo contro il colonialismo italiano e in solidarietà alla Palestina – Trento, 10 febbraio 2024)

Il primo genocidio automatizzato della storia

Siamo di fronte all’ufficio del rettore dell’Università di Trento, Deflorian, che fa parte del consiglio tecnico-scientifico di Med.or, una fondazione di Leonardo, il più grande produttore di armi in Italia e uno dei principali a livello internazionale, che ha avuto un salto in avanti impressionante in termini di guadagni e in termini di quotazione in borsa negli ultimi anni grazie alla guerra in Ucraina tra la Nato e la Federazione russa e adesso in Medio Oriente. La fondazione Med.or si occupa proprio delle collaborazioni tra Leonardo-Finmeccanica e i Paesi del Medio Oriente, che tradotto significa principalmente Israele. Quando si dice che Deflorian ha le mani sporche di sangue non è un’iperbole, noi dobbiamo cominciare a prendere sul serio le cose che diciamo, perché sono esatte, precise, inaggirabili e questo anche a fronte della decisione della Corte internazionale di giustizia, quindi non stiamo parlando di un organo anarchico o bolscevico, la Corte internazionale di giustizia in questo momento mette sotto processo lo Stato di Israele con l’accusa di possibile genocidio, non soltanto per quello che pratica ai danni della popolazione della striscia di Gaza, ma perché le innumerevoli dichiarazioni di ministri del governo Netanyahu esprimono senza nessuna ambiguità un intento di genocidio; non è solo l’infamia delle pratiche di morte, ma il fatto di dichiarare apertamente che si vuole o espellere o ammazzare in massa un’intera popolazione; e se lo Stato d’Israele in questo momento è considerato un imputato in un processo di genocidio, questo vuol dire in senso stretto, non retorico, non allusivo, non lontano, che chi continua a collaborare con lo Stato di Israele, chi gli fornisce armi, tecnologie, strutture commerciali, collaborazioni con gli atenei è complice di un genocidio. Cosa vuol dire per gli studenti andare a scuola e seguire le lezioni quando il rettore in persona è complice di un genocidio? Questo hanno detto i Giovani Palestinesi in Italia nei mesi scorsi, è grazie al loro appello che ci sono state università occupate come qui a Trento, a Genova, a Milano, a Firenze, a Torino e in tante altre città italiane. Se si sono rotti gli argini e ci sono state delle iniziative per cercare di spezzare le collaborazioni, questo è soprattutto grazie ai Giovani Palestinesi, ed è grazie ai Giovani Palestinesi che in tante città si è scesi in piazza nonostante l’infame, inaccettabile divieto imposto dal ministero degli Interni di manifestare durante giornata della Memoria, ed è ancora grazie a loro se alcune sigle del sindacalismo di base hanno raccolto l’appello a uno sciopero generale per il 23 febbraio. Questa gioventù della diaspora palestinese è la punta più avanzata oggi della coscienza anticoloniale, dell’importanza di unire la lotta di classe, il discorso contro le guerre e contro il colonialismo. Questi ragazzi dicevano ai lavoratori di bloccare la produzione di merci, bloccare la logistica, come abbiamo fatto al porto di Genova a novembre, agli studenti di bloccare la fabbrica del consenso ideologico, perché per tanti ragazzi, anche se sono una minoranza nel cosiddetto corpo studentesco-universitario, quello che sta succedendo in Palestina è il loro Vietnam. Quando la coscienza di un orrore che si apre davanti ai tuoi occhi ti impedisce di far finta di niente… Questi ragazzi palestinesi dicevano: “Se i vostri libri di storia non vi portano oggi a schierarvi col popolo palestinese li potete buttare giù dalla finestra”. Se all’età della gioventù, del coraggio, della speranza, non si scende in piazza, non si blocca la didattica, non si denunciano le responsabilità delle proprie università vuol dire che si è già vecchi, perché la gioventù è una categoria dello spirito, si è giovani quando non ci si gira dall’altra parte, quando si mette del proprio per contrastare le ingiustizie del mondo ed è fondamentale andare avanti nel denunciare le collaborazioni. Degli studenti in Inghilterra sono riusciti a far recidere i contratti fra i loro college e Leonardo, in Inghilterra sono finite due collaborazioni di Leonardo con i college, ma questo ancora non sta avvenendo in Italia, vuol dire che la mobilitazione deve andare avanti, deve individuare degli obiettivi più precisi e noi viviamo in questo territorio e sta a noi spezzare le “nostre” collaborazioni, a partire dall’università e in particolare dalla Fondazione Bruno Kessler. La Fondazione Bruno Kessler è uno dei primi enti non statali ad aver avviato rapporti di collaborazione con lo Stato di Israele fin dal 2003. Anni fa, quando eravamo in pochi a sottolineare queste collaborazioni, ci dicevano: “Sì, ma non producono formalmente bombe, non fabbricano formalmente carri armati, si occupano di intelligenza artificiale”. Appunto. Abbiamo visto l’uso che sta facendo il governo israeliano dell’intelligenza artificiale, siamo al primo genocidio automatizzato della storia, i bombardamenti sono a controllo remoto, a controllo algoritmico, e visto che non si fanno mancare niente, come infamia e prostituzione del linguaggio, questo programma si chiama Gospel, l’operazione si chiama Vangelo. Massacrare un intero popolo si chiama “Vangelo”, e questo massacro viene pianificato davanti ai computer con i joystick come se fosse un videogioco, quindi una buona parte dei bombardamenti sono programmati, non sono effetti collaterali, quella scuola, quella città, quell’ospedale, tutto è pianificato per rendere impossibile la riproduzione della vita, e rendere impossibile la riproduzione della vita di un intero popolo si chiama genocidio. A marzo qui a Trento si terrà il G7 dell’intelligenza artificiale. Perché a Trento? Perché l’Fbk è una delle avanguardie dello sviluppo dell’intelligenza artificiale in Italia. Siccome dicono sempre “dipende dall’uso che se fa”, come se l’incarcerazione tecnologica della società potesse avere usi di emancipazione; bene, diciamo, visto che è già in atto l’uso dell’intelligenza artificiale per bombardare una popolazione, avete il coraggio di dire che almeno questo uso è inaccettabile, disumano ed infame? E guardate che non è un caso che qualche giorno fa Dellai in persona, uno si chiedeva dove fosse finito il vecchio presidente del Trentino, della Giunta, ha scritto un corsivo sull’“Adige” per elogiare la Fondazione Bruno Kessler, perché è quotata in borsa, perché ha presentato il proprio piano di sviluppo nella sede della Borsa di Milano, e l’altro ieri un consigliere della fondazione Mach ha detto… sì, la fondazione Bruno Kessler è un fiore all’occhiello, certo questo sviluppo che chiamano sostenibile dal punto di vista ambientale ridurrà le persone che lavorano in agricoltura; il governo francese è stato molto più chiaro, i circa 600 mila attuali agricoltori contadini con la digitalizzazione delle campagne diventeranno 300 mila, quindi una disoccupazione di massa creata dall’intelligenza artificiale. Contrastare la Fondazione Bruno Kessler è un atto di autodifesa per un territorio vivibile, umano, non in mano interamente alla tecnocrazia e ai gruppi capitalistici, ma oggi è un dovere nei confronti del popolo palestinese. La Fondazione Bruno Kessler è il principale collaboratore in Trentino di un genocidio, quindi essa è complice – formalmente, politicamente, eticamente e persino giuridicamente – di un genocidio.

(Intervento davanti al Rettorato – Trento, 10 febbraio 2024)

Il passato incompiuto e il coraggio necessario

È sempre il presente che ha uno sguardo trasformativo sul passato. Il passato non è immobile in una cassaforte, è sempre lì a disposizione delle nuove generazioni e questo lo diceva un grandissimo intellettuale ebreo che era Walter Beniamin, sono le lotte del presente che riattivano le scintille di speranza del passato, perché il passato, nei propri tentativi di emancipazione, di uguaglianza, di utopia, è rimasto incompiuto, ma quell’incompiuto non è seppellito per sempre, può essere riattivato oggi. Nella solidarietà con il popolo palestinese noi facciamo i conti con la nostra storia, con il nostro colonialismo, questo è forse l’aspetto più interessante di questi dibattiti itineranti che sono le manifestazioni, ma bisogna fare il passo ulteriore di spezzare le collaborazioni. Da questo punto di vista bisogna fare dei passi avanti, le collaborazioni tra l’Università, l’Fbk, la Provincia di Trento e lo Stato d’Israele devono essere ricostruite in modo molto più preciso e ovunque questi signori mettano la faccia in pubblico, da Fugatti ai dirigenti di Fbk o della Mach, ci deve essere qualcuno che dice “voi oggi siete complici di un genocidio e oggi si parla di questo”, questo è riattivare la memoria, perché senza questa riattivazione, leggere in solitaria anche dei libri notevolissimi non ci fa avanzare molto. E quindi si tratta di organizzarci, di spezzare queste collaborazioni e poter dire, anche in pochi, in poche, abbiamo fatto quello che potevamo. In realtà possiamo fare molto di più, ciascuno di noi lo sa che non sta facendo tutto quello che può, ma si tratta anche di creare occasioni per noi e per gli altri per essere più coraggiosi di quanto non siamo, perché il coraggio, contrariamente a una certa retorica macista e patriarcale, non è una questione di muscoli, è una questione di coscienza, è una questione di occasioni. I Cinesi, che hanno una visione molto diversa dalla nostra, i cinesi antichi, nei cui poemi il soggetto non è l’eroe come nella tragedia greca, l’eroe che da solo cambia il destino dell’umanità, molto spesso i soggetti protagonisti sono le pianure, il vento, gli elementi impersonali. E per gli antichi cinesi cos’è il coraggio? Non è una virtù individuale e basta, è quel processo collettivo che ti porta in cima a un albero, ti fa buttar per terra la scala e poi devi per forza saltare, noi di questo abbiamo bisogno, di un processo collettivo da costruire insieme che tiri fuori tutto il coraggio che abbiamo, non in senso macista, ma nel senso umano, emancipatorio, utopico. Siamo su questa terra per cosa? La vita è breve, dobbiamo dircelo, prima o poi si muore ed è abbastanza seccante, cos’è che possiamo lasciare alle altre generazioni? Un segno, un segno di dignità, di libertà, di emancipazione, aver dato il proprio contributo per una terra meno ignobile, infame, insanguinata, questo è il messaggio della resistenza palestinese e guardate che è impressionante che dopo quattro mesi di massacro sistematico, algoritmico, nelle piazze si urli “Gaza Gaza vincerà”. Che razza di vittoria c’è nelle teste, quando c’è un bombardamento? È la vittoria integrale dello spirito, è quell’immortalità che non è il regno dei cieli, è il fatto che tu resisti con tutte le tue forze perché non sei solo al mondo, sei di passaggio e questo passaggio va compiuto nel migliore dei modi. Come diceva il grande Leopardi, provare almeno per un quarto d’ora a non avere pensieri ignobili e non compiere azioni detestabili, cioè condurre nel migliore dei modi quella fatica che è il vivere.

(Intevento in piazza a Trento – 10 febbraio 2024)

Giornalisti terroristi

Con poco preavviso siamo qui in tante e in tanti. Una parte sempre crescente della società si schiera in modo chiaro e netto contro il genocidio in corso a Gaza ed è proprio per questo che la propaganda della Rai, la propaganda di Stato a sostegno del massacro del popolo palestinese, diventa ogni giorno più grottesca e anche più feroce. Credo che raramente negli ultimi anni si sia assistito a uno scarto tale tra l’opinione pubblica e i giornalisti, le televisioni, i quotidiani, e forse negli ultimi giorni si è raggiunto l’apice della vergogna. È bastato che un cantante a Sanremo facesse riferimento al “bombardamento di un ospedale per tracciare delle linee immaginarie” senza neanche citare esplicitamente Gaza, che il presidente della comunità ebraica di Milano ha parlato di propaganda di odio e ha chiesto l’intervento dei vertici della Rai, poi quando il riferimento è stato esplicito, “Stop al genocidio”, e chiunque anche i sassi hanno capito che si stava parlando di Gaza, ci si è messo anche l’ambasciatore israeliano in Italia e in modo servile, vergognoso, vomitevole, l’amministratore delegato della Rai ha diramato un comunicato secondo il quale la Rai ha espresso e continua ad esprimere solidarietà alle comunità ebraiche e al popolo israeliano, non un accenno, non una parola, non un riferimento al massacro in corso: a questo siamo arrivati, a un servilismo totale, i sionisti ordinano di vietare i cortei di solidarietà con la Palestina nella Giornata della Memoria e il ministro degli Interni esegue; un ambasciatore, il presidente di una comunità sionista chiedono di silenziare quelle poche voci nel festival canterino e subito arriva un comunicato di solidarietà, non con la popolazione di Gaza ma con Israele, una cosa vomitevole, siamo arrivati a 30 mila civili uccisi, 12 mila bambini, la distruzione sistematica delle case in tutta la striscia di Gaza e oggi stiamo forse toccando il picco dell’orrore con lo Stato di Israele che si prepara ad attaccare Rafah; prima ha spostato milioni di persone della striscia di Gaza verso il Sud, adesso a Rafah ci sono oltre un milione di persone che vivono nelle tende, con pochissimo cibo, con pochissima acqua, senza cure, e l’invito, si fa per dire, l’ordine, è quello di evacuare, non si sa bene dove perché il confine con l’Egitto è blindato, c’è il filo spinato, ci sono i carri armati, e dall’altra parte c’è il mare. Dove dovrebbe andare la popolazione della striscia di Gaza? Questo vuol dire intento genocida, questo vuol dire costringere una popolazione a scegliere se morire sotto le bombe oppure essere trasferita di forza, il tutto accompagnato da una propaganda feroce, senza precedenti, Israele che propone al Consiglio di sicurezza dell’Onu di deportare tutti i gazawi su un’isola artificiale, prima si era pensato di deportarli nel deserto egiziano del Sinai, o addirittura di prendere accordi con la Repubblica Democratica del Congo per spostare in Africa due milioni di persone, questo è genocidio, quando si attaccano le basi stesse di riproduzione della vita, quando si costringe una intera popolazione sotto le bombe, la si lascia senza cibo, senza acqua, senza carburante, qua vuol dire che siamo arrivati davvero alla soluzione finale senza virgolette della questione palestinese.

Ma dalla Palestina arriva una resistenza indomita che sta infiammando le piazze di tutto il mondo, ogni oppresso, ogni sfruttata si riconosce oggi nella resistenza palestinese. La Rai di questo genocidio è complice. Persino un giornalista di “Repubblica” che ha deciso di andarsene da quella redazione di bellicisti, guerrafondai e sostenitori del genocidio ha detto delle parole alle quali c’è poco da aggiungere, ha detto “ogni guerra, ogni massacro, ogni genocidio, ha bisogno di una scorta mediatica, noi siamo quella scorta”, voi siete questa scorta, voi state proteggendo un governo del Ku Klux Klan, un governo colonialista, un governo genocida. Non un servizio sul fatto che Israele è alla sbarra della Corte internazionale di giustizia per genocidio, genocidio che non si esprime solo attraverso gli atti, le azioni, le bombe, i massacri, ma con gli intenti espliciti, decine di dichiarazioni di ministri che parlano apertamente di radere al suolo Gaza, che definiscono una intera popolazione una popolazione di animali, di subumani, di Untermenschen, come diceva la propaganda nazista e voi non avete neanche fatto un servizio con uno straccio di giurista per parlare di questo processo, questo vuol dire che voi siete, non solo di fronte alle nostre coscienze, ma anche allo straccio del diritto internazionale di cui così spesso vi riempite la bocca, complici di un genocidio e dovrete rispondere non alle vostre consunte coscienze, perché se ce l’aveste direste qualcosa o cambiereste mestiere, ma ai vostri figli, alle future generazioni, a quella parte di società che non ha bisogno di aspettare i nuovi manuali di storia per sapere che nel 2024 c’è stata una nuova Nakba. A cosa serve la memoria storica? Per denunciare i massacri e i genocidi di settant’anni fa, quella che fa dire “Mai più”, quando di fronte ai genocidi di oggi non solo ci si gira dall’altra parte ma si diramano comunicati di solidarietà alla potenza genocida? Fate talmente schifo che un urlo vi dovrebbe seppellire, giornalisti terroristi.

(intervento sotto la Rai – Trento, 13 febbraio 2024)

Nell’essere solidali con i palestinesi noi siamo solidali con un processo rivoluzionario che deve liberare anche noi qui

Siamo davanti al rettorato, eravamo qui anche questa mattina tra studenti e lavoratori con un picchetto-blocco per denunciare le responsabilità di Deflorian, il rettore, le responsabilità delle collaborazioni con lo Stato di Israele da parte dell’Università di Trento, della fondazione Fbk e più in generale di un insieme di centri di ricerca in Trentino. Per capire la portata di queste collaborazioni e per capire che non è un’iperbole, non è un’esagerazione, dire che queste collaborazioni sono complici di un genocidio, bisogna capire che cos’è il sistema tecno-militare israeliano e che cos’è un colonialismo di insediamento. È fondamentale dare alla coscienza della nostra solidarietà con il popolo palestinese tutta la comprensione dei processi storici. Il processo sionista è un progetto di avamposto dell’imperialismo occidentale in Medio Oriente, ma ha anche la specificità di un colonialismo di insediamento. È importante ribadire questo concetto. Non tutti i colonialismi sono uguali, benché siano tutti disumani ed infami. Esiste un colonialismo di rapina che saccheggia le risorse dei territori, quello che pratica tutto il capitalismo, compreso quello italiano, in Africa e in giro per il mondo. Il colonialismo di insediamento è invece quando dei coloni, che storicamente sono sempre occidentali, si istallano in un territorio cacciando la popolazione nativa. È quello che è successo negli Stati Uniti la cui storia è fondata sul genocidio delle popolazioni amerindiane, è quello che è successo in Canada, è quello che è successo in Australia. La differenza col sistema coloniale di insediamento israeliano è che quest’ultimo arriva settant’anni dopo e oggi è l’unico sistema coloniale di insediamento che non si è ancora concluso; infatti lo Stato di Israele è l’unico Stato al mondo a non avere dei confini definiti perché le frontiere avanzano di continuo attraverso la violenza dei coloni; quella violenza che oggi è illegale anche secondo le stesse leggi del governo israeliano, domani diventa la base per una ulteriore espansione coloniale. È esattamente quello che i cowboy facevano con gli indiani d’America: le violenze dei cowboy contro gli indiani erano illegali per il governo di Washington, ma quando quelle violenze cacciavano i popoli nativi dalle loro terre quelle terre diventavano parte degli Stati Uniti. È lo stesso sistema che è in corso oggi e se questo sistema non si è ancora concluso è per la straordinaria, invincibile resistenza del popolo palestinese, una resistenza che non è fatta soltanto di azioni dirette, di autorganizzazione, è fatta anche semplicemente del rifiuto di andarsene. C’è una parola palestinese che è Sumud, che vuol dire resistenza, attaccamento, resilienza, quella vera, non quella schifosa propagandata da Draghi, non andarsene dalla propria terra, resistere, continuare a raccogliere le olive e questa resistenza quotidiana fa si che dall’altra parte la violenza sia brutale ed è una violenza di eliminazione, l’eliminazione è un principio organizzativo che prescinde dai colori di questo o quel governo, ed è di fronte a questa resistenza che questo principio di eliminazione oggi sta diventando genocida. O vengono deportati fuori dalla Palestina oppure vengono ammazzati, queste sono le due alternative terribili lasciate ai palestinesi, eppure loro non se ne vanno. Tutto quello che il sistema tecno-militare israeliano sperimenta sui corpi, sulle vite, sui territori palestinesi poi lo vende alle polizie, agli eserciti, agli Stati di tutto il mondo. Le armi cosiddette non letali, dai gas CS alle granate assordanti sperimentate in Cisgiordania, poi sono state vendute all’Egitto, alla Francia e all’Italia. Tutto quello che prima non era possibile usare contro i manifestanti è stato sdoganato prima in Cisgiordania e poi ce lo siamo ritrovati a Genova, a Parigi, ad Amburgo, e lo stesso vale per i droni, per i check-point automatizzati, per i muri elettronici, addirittura per la sensoristica che viene utilizzata in agricoltura: prima c’è un sistema di difesa militare che si chiama Iron Dome, poi lo stesso sistema viene utilizzato per l’irrigazione “intelligente” dei campi. E tutto questo è basato sul furto della terra dei palestinesi; i palestinesi non sono dei semplici proletari, come tutti noi, che il capitalismo israeliano vuole sfruttare, sono dei nativi, una popolazione di lì che il colonialismo israeliano vuole cacciare, questa è la differenza, ed è per questo che la liberazione dal sionismo non può che essere un processo rivoluzionario. Al di là di quello che c’è nelle teste di questo o di quel gruppo della resistenza, lo smantellamento del sistema coloniale israeliano significa un urto impressionante contro tutto l’imperialismo occidentale. Nell’essere solidali con i palestinesi noi siamo solidali con un processo rivoluzionario che deve liberare anche noi qui, e quindi, per chiudere, quando Fbk, quando la fondazione Mach, quando l’università di Trento forniscono intelligenza artificiale, conoscenze per i droni, sensoristica per i muri, conoscenze architettoniche per quanto riguarda le postazioni panottiche dei coloni, forniscono strumenti ad un colonialismo assassino, oggi genocida. Tutto quello che viene fornito ad Israele Israele lo trasforma in oppressione, in guerra, in morti ammazzati, in bambini sterminati. Chi continua a collaborare con Israele oggi è eticamente, politicamente, socialmente, e perfino giuridicamente, per quello che valgono le deliberazioni della Corte internazionale di giustizia, complice di un genocidio.

A tutti bisogna dire “Deflorian è complice di genocidio” e questo signore da quattro mesi non mette la propria faccia in pubblico perché teme di essere contestato, perché di fronte alla documentazione schiacciante della sua collaborazione come facente parte di Med.or del gruppo Leonardo, principale produttore di armi italiano, di fronte a responsabilità inaggirabili (abbiamo “nomi, cognomi e indirizzi”, progetti di ricerca, chi collabora, come si chiamano i dirigenti, come si chiamano i ricercatori), lui non può affrontare nessun discorso pubblico perché sarebbe messo di fronte alle sue responsabilità, e infatti tace e fateci caso, dopo quattro mesi di manifestazione, non c’è una riga sui giornali che dica che “secondo noi”, potrebbero anche usare questa formula pilatesca, non che lo dicano loro, ma che i manifestanti in solidarietà con la Palestina accusano Deflorian, l’Fbk, l’Università di Trento di complicità in genocidio. Giornalisti venduti, senza un briciolo di coscienza, abbiate il coraggio di dire che qui a Trento, qui in questa provincia c’è chi collabora con lo sterminio di oltre 30000 persone (già avvenuto) e di 15000 bambini. Noi siamo quelli che possono guardarsi allo specchio dicendo “non ho fatto tutto quello che potevo ma non mi sono girato dall’altra parte”, mentre Deflorian potrà dire soltanto “ho le mani sporche di sangue”.

Hora hora Falastin.

(intervento davanti al Rettorato – Trento, 23 febbraio, durante il corteo dello sciopero generale)