Facciamo deragliare la locomotiva della guerra!

Diffondiamo questo volantone realizzato a Trento dall’assemblea contro la guerra.

Qui la versione impaginata in pdf:

FACCIAMO DERAGLIARE LA LOCOMOTIVA DELLA GUERRA

Facciamo deragliare la locomotiva della guerra!

È in atto una pericolosissima tendenza all’estensione e all’intensificazione della guerra che consuma con tragica rapidità la capacità di esprimere una vasta opposizione ad un tragico piano inclinato che scivola verso il già sperimentato macello dei popoli. La Russia non firmerà nessun trattato “ineguale” con l’Occidente, così come l’Occidente non lo firmerà con la Russia.

Il momento è grave. Se all’inzio del conflitto in Ucraina Biden affermava che non si potevano inviare carri armati e caccia bombardieri all’esercito di Kiev – pena il rischio della Terza Guerra mondiale –, a sedici mesi di distanza, dopo aver fornito missili ad ampia gittata e mezzi corazzati, nonché programmato l’impiego di proiettili all’uranio impoverito, la NATO si organizza per mandare anche gli F-16.

Mentre la popolazione ucraina continua ad essere colpita dalle bombe russe e quella del Donbass dalle bombe della NATO, le esercitazioni militari si fanno sempre più imponenti (in Italia, in Germania, nell’Est europeo, nell’Indo-Pacifico). I piani di riarmo crescono a scapito di salari, pensioni, sanità. La propaganda bellica diventa ancora più subdola e feroce.

Nell’incontro del G7 a Hiroshima (un luogo drammaticamente simbolico della furia distruttrice degli armamenti), i governi occidentali hanno dichiarato senza mezzi termini il rifiuto di ogni mediazione e la volontà di sconfiggere sul campo la maggiore potenza nucleare del mondo. Più di recente, l’ex segretario generale dell’Alleanza Atlantica Rasmussen ha ipotizzato l’intervento in Ucraina da parte dell’esercito polacco (cioè di truppe regolari della NATO, non solo di istruttori e di contractor, come avvenuto fin qui). Intanto il ministro russo Lavrov afferma che il Cremlino è pronto a scontrarsi direttamente con la NATO, e politologi russi piuttosto ascoltati suggeriscono l’impiego di armi atomiche tattiche in Europa come avvertimento per l’intero Occidente.

«Guerra mondiale non si nasce, si diventa». Per capirlo bisogna smetterla di farsi abbindolare dai fini dichiarati e osservare i mezzi impiegati, perché è la loro concatenazione concreta – non certo le chiacchiere di copertura – a determinare le conseguenze per l’intera umanità. Più smisurati sono i mezzi – e cosa c’è di più smisurato della bomba atomica? –, più essi divorano i fini in nome dei quali vengono usati. La distruzione atomica è strumento di niente, perché essa distrugge, insieme alla vita umana sulla Terra, ogni finalità nel mondo.

Ma anche senza arrivare fino alle armi nucleari, tutte le tecnologie che vengono impiegate sui campi e sui cieli della guerra tornano indietro contro di noi. Già la guerra in Iraq del 2003 è stata una gigantesca fuga in avanti in materia di intelligenza artificiale e logistica del conflitto, tracciamento dei dati ed elaborazione dei sistemi automatici di arma. «Va ricordato che l’Iraq per la NSA [National Security Agency] è stato anche il campo di sperimentazione delle tecniche di sorveglianza di massa della popolazione che si è poi “adattato” al furto, per motivi militari e di mercato, dei dati di 20 milioni di persone in Germania (vicenda conosciuta come “scandalo Snowden”). […] l’intelligenza artificiale gioca un ruolo decisivo che non ha nulla a che vedere con un immaginifico processo di sterilizzazione del conflitto verso una guerra tra macchine. Il ruolo decisivo dell’IA porta invece verso nuovi, e più devastanti, livelli di distruzione materiale e umana entro una rivoluzione del mondo militare pari a quelle portate dall’invenzione della polvere da sparo e del nucleare» (https://codice-rosso.net/intelligenza-artificiale-e-guerra-ieri-iraq-oggi-ucraina/).

Ogni giorno in più di guerra in Ucraina non provoca solo altri morti tra civili e militari; non distrugge solo altre case e infrastrutture; ma permette agli Stati, agli industriali e ai tecnocrati di affinare tutto il loro arsenale anti-ecologico, anti-sociale, anti-umano.

Che grande affare, la guerra

La ricostruzione dell’Ucraina rappresenta una grossa occasione per i capitali occidentali, talmente importante che si sono già adesso affrettati a spartirsi la torta, senza neanche aspettare che si arrivi a una tregua.

Consulente del governo ucraino è il fondo finanziario Black Rock, ma anche l’Italia gioca un ruolo di primo piano.

A Roma, il 26 aprile, durante la “Conferenza Bilaterale per la Ricostruzione dell’Ucraina” si sono seduti al tavolo i rappresentati delle principali aziende del capitalismo italiano (in generale sono state coinvolte 650 imprese): Eni, Enel, Webuild, Mermec, Mercegaglia, Ferrovie dello Stato, Leonardo. In buona sostanza: energia, siderurgia, trasporti, costruzioni e armi. Confindustria ha aperto in tal senso una propria sede a Kiev già nel gennaio 2023. Il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso non avrebbe potuto essere più esplicito: «La ricostruzione in Ucraina sarà il più grande motore di crescita nell’Unione Europea».

L’Ucraina del futuro assomiglia tragicamente a quella presente: una marca di confine dell’Europa a trazione NATO, da cui estrarre materie prime. Gas e ferro, ma anche manodopera a basso costo (senza dimenticare il mercato della “maternità surrogata”, che vede l’Ucraina tra i primi paesi al mondo per “uteri in affitto”).

Da tempo l’emigrazione ucraina in Italia fornisce braccia, soprattutto per la cura degli anziani (su centoquarantamila immigrati e emigrate ucraini, il 65% lavorano come colf e badanti).

Ma nel «cantiere del pianeta» – come qualcuno ha ribattezzato il Paese – si stanno anche sperimentando nuove forme di governance, nel nome dell’Emergenza – in questo caso bellica. Una delle prime misure varate allo scoppio della guerra è stata la soppressione del diritto di sciopero, l’estensione degli straordinari e la possibilità per gli imprenditori di licenziare senza contrattazione coi sindacati. Perfettamente coerente, pertanto, il riferimento manifesto della dirigenza ucraina a uno Stato che dalla sua origine si basa sulla mobilitazione permanente della cittadinanza contro il nemico, esterno e interno: quello israeliano. Zelensky ha infatti dichiarato che, stante l’impossibilità di uno sviluppo in senso «liberale europeo», l’Ucraina del dopoguerra avrà come modello per le politiche di sicurezza lo Stato d’Israele… cioè quello della detenzione amministrativa dei prigionieri palestinesi, degli omicidi mirati, dei check-point ecc.

Le politiche “lacrime e sangue” sperimentate in Ucraina sono le stesse propagandate da Confindustria in Italia, dove è stato riabilitato il lavoro minorile non retribuito, attraverso i PCTO (ex-Alternanza Scuola-Lavoro introdotta da Renzi). Chi si è opposto ai PCTO, in seguito a morti sul lavoro di propri coetanei durante questa attività, ha incontrato nell’ultimo anno una forte repressione statale. A Torino quattro studenti sono rimasti per sette mesi ai domiciliari in attesa di giudizio, accusati dei tafferugli davanti alla sede di Confindustria durante un corteo.

E da quando è scoppiata la guerra si sono fatti, se possibile, ancora più imponenti per dispiegamento di forze antisommossa gli inteventi polizieschi per sgomberare i picchetti dei lavoratori della logistica, il settore più combattivo in Italia nell’ultima decade. L’ultimo esempio è la vertenza nei magazzini di Mondo Convenienza, con il pestaggio dei lavoratori in sciopero. Anche questa è economia di guerra: il progressivo restringimento di ogni margine di dissenso e di lotta, con la militarizzazione del conflitto sindacale.

Il nemico è sempre lo stesso

Le guerre sono state sempre il mezzo per accumulare ricchezze a danno dei Paesi sconfitti, e per fare profitto con la loro ricostruzione, ma anche a danno dei Paesi vincitori, delle loro classi più povere che pagano la guerra con le loro condizioni di vita materiali. Il passaggio al capitalismo estrattivista digitale e tecnocratico (gas, litio e cobalto rappresentano il nuovo oro) fa crescere un neocolonialismo che provoca una neo-schiavitù nei Paesi dove si trovano queste risorse e dove i Paesi dominanti dislocano appositamente le loro missioni militari, che sono missioni militari neocoloniali. Il 98% delle missioni coincide con le aree estrattive di petrolio e gas (e dove anche il ruolo di Eni è trainante).

Questo capitalismo, sempre più basato sulla guerra, rapina le classi più povere dell’occidente ed anche il Sud e il non-occidente del mondo. Ma le guerre e il colonialismo sono anche interni. Bisogna ampliare il concetto di guerra, senza avere paura di perdersi nelle riflessioni, perché tanto il nemico è sempre lo stesso!

Non c’è capitale senza oppressione di classe, di razza e di sesso, e senza Stato che abbia la forza e i mezzi per condurre questa oppressione, queste guerre interne che sono materiali e culturali.

Sanzionare i salvataggi in mare, definire gli immigrati “carico residuale”, legalizzare l’omissione di soccorso è guerra contro gli immigrati. L’inflazione e il carovita sono guerra contro le condizioni di vita materiali delle persone e dei lavoratori salariati. I contratti collettivi di lavoro sono scaduti, il salario reale è al minimo storico, in un mercato del lavoro cha ha elevato a regola naturalizzata lo sfruttamento avido e cinico dell’uomo. Negare un reddito ai disoccupati, ai precari, a chi pur lavorando non arriva a fine mese: non è guerra questa? Il caro affitti, affinché i proprietari possano trarre il massimo dei profitti, è guerra interna contro i poveri e i precari. È la guerra economica che è in corso da decenni! Mentre aumentano le spese militari diminuiscono i fondi per la sanità e la scuola pubblica, per la non autosufficienza dei disabili, per l’assistenza ai poveri. Anche questa è guerra.

In poche parole: le ingiustizie sociali sono guerra! Lo 0,13% degli italiani più ricchi (80.000 individui) possiede da solo quello che possiede il 60% degli italiani più poveri (36 milioni di individui). Non può esistere alcuna pace senza giustizia sociale.

È guerra quello che è successo in Emilia. È la guerra al clima e al territorio, sempre più sfruttato, cementificato, i fiumi rinchiusi in argini impossibili. L’Emilia-Romagna è una delle regioni d’Italia in cui sono più alti i valori di consumo di suolo che è impermeabilizzato dallo sfruttamento agricolo intensivo e da un processo di continuo schiacciamento da mezzi pesanti necessari a questo tipo di industria agricola. Anche questa è guerra. E per rendere ancora più esplicita la militarizzaione dei territori e degli spiriti arriva la nomina del generale degli Aplini Figluolo a Commissario per la ricostruzione post-alluvione. E non dimentichiamo che poco prima della destinazione di finanziamenti all’Emilia, è arrivata sul tavolo del Parlamento italiano la proposta del commissario per il Mercato unico, di adoperare i fondi del PNRR per aumentare la produzione di munizioni da destinare all’Ucraina. Questa è guerra ed è guerra violenta.

E per non lasciare indietro nessuno, quello che è successo a Milano, la violenza verso una donna trans, è guerra contro i corpi e le sessualità eccedenti e dissidenti.

Il potere è guerra, guerra continuata con altri mezzi all’interno di ogni Paese: basti vedere la conversione poliziesca del militare e la conversione militare del poliziesco, oggi diventata una tecno-polizia pervasiva, una polizia post-moderna che usa la tecnologia dell’intelligenza artificiale per realizzare un mondo di ipersorveglianza.

Quale resistenza?

Uno degli inquinanti ideologici per paralizzare un movimento internazionale capace di ostacolare l’invio di armi e di imporre dal basso il cessate il fuoco è stato senz’altro il parallelo mediatico tra la resistenza ucraina” e la lotta partigiana contro il nazi-fascismo. Si tratta di un parallelo storicamente, politicamente ed eticamente inaccettabile. Lasciando perdere le profonde differenze di contesto storico (e quel piccolo dettaglio che è la presenza dei gruppi nazisti dentro l’esercito ucraino…), l’inaccetabilità del parallelo attiene proprio al rapporto tra mezzi e fini, cioè al per cosa e al come si combatte. I partigiani erano disertori che combattevano contro l’esercito ufficiale del “proprio” Stato, mentre quello ucraino è un esercito regolare controllato dal governo in carica. La partecipazione alla lotta armata partigiana era libera e volontaria (erano i soldati della Repubblica di Salò a venir arruolati con la minaccia della fucilazione), mentre in Ucraina vige la legge marziale e chi si rifiuta di combattere finisce in carcere. L’autonomia politico-militare delle formazioni partigiane era legata anche ai mezzi di combattimento impiegati: fucili, mitragliatrici, bombe a mano e bombe incendiarie possono essere usati senza un apparato coercitivo centralizzato, laddove droni collegati ai satelliti, lancia razzi, carri armati, missili a lunga gittata riflettono una precisa gerarchia di comando, che è quella della NATO. Ogni mese in Ucraina si spara una quantità di minuzioni che i 31 Paesi della NATO schierati con l’esercito di Kiev producono in un anno. Più si esauriscono queste scorte, più si rilanciano i piani di riarmo; più centrale diventa la produzione bellica nell’economia, più l’intera società occidentale viene militarizzata. I piani di riarmo – cui si affiancano in diversi Paesi i propositi di reintrodurre la leva obbligatoria – si allargano per un motivo tanto semplice quanto drammatico: la guerra in Ucraina è il primo conflitto simmetrico (cioè tra potenze di pari livello militare) che la NATO si trova ad affrontare da quando esiste. Ed è esattamente questa sua natura – riflesso e concausa della crisi dell’egemonia statunitense sul mondo – che rende necessario capire la logica propria dei mezzi di combattimento impiegati, evitando errati paragoni storici.

I partigiani e le partigiane non hanno mai attaccato la popolazione in Germania (né quella in larga parte filo-tedesca del Sudtirolo), mentre le formazioni militari ucraine colpiscono civili sia in Russia sia in Donbass. La differenza è radicale. Sono le armi fornite dalla NATO (in particolare i missili a lungo raggio) ad aver portato morte e distruzione in zone del Donbass dove i bombardamenti ucraini – cominciati nel 2014 – non erano mai arrivati. «Cosa dovrebbero fare allora gli ucraini, alzare le mani?» è la domanda con cui intendono porci sotto ricatto morale. Ebbene, rispondiamo che è soltanto ribellandosi a chi li sta portando al massacro ch’essi possono conquistare la pace, senza per questo accettare nuovi padroni. Un esercito occupante può essere sconfitto dall’insubordinazione sociale, mentre la più grande potenza nucleare del mondo non può essere sconfitta sul piano della forza simmetrica (fronte contro fronte), pena una distruzione senza fine o addirittura la catastrofe atomica.

Disertare e puntare i fucili contro i propri ufficiali: è con questi atti che i soldati tedeschi e russi hanno fatto finire la guerra nel 1917-18. Quello che possiamo fare noi, poveri e senza-potere del campo occidentale, è smascherare i bellicisti di casa nostra, rompere il fronte, fraternizzare attivamente con tutti i disertori. Se la Prima Guerra mondiale è stata trasformata sul finire in un movimento rivoluzionario, oggi dobbiamo insubordinarci prima che scoppi la Terza Guerra mondiale. Il presunto realismo dei potenti e degli Stati ci sta trascinando nell’irrealtà assoluta: la possibile fine della specie. L’unico “realismo” è liberarci da tutti gli oppressori, all’Est come all’Ovest. Ecco il compito delle nuove partigiane e dei nuovi partigiani.

Diventiamo eccezione

La “regola” imposta ha vinto. Ha vinto nel momento in cui abbiamo accettato di “sentirci dentro” questa “regola”… ha vinto quando abbiamo pensato che basta andare a depositare, ogni qualvolta ce lo chiedono, la nostra scheda elettorale per sentirci cittadini consapevoli e responsabili. Qualcuno forse l’aveva capito ma non ha fiatato, altri ingenuamente hanno creduto nel confronto sperando, elettoralmente, nella presa del palazzo.

E così la “regola” ha addomesticato e assorbito quasi tutti, mentre ha emarginato gli irriducibili costretti alla clandestinità sociale, ha fatto terra bruciata tutto intorno, impedendo la nascita e lo sviluppo di giovani estranei alla logica politico-aziendale e alle scuole di addestramento capitalistico.

È arrivato il momento di affrontare la restaurazione in atto, affermare di non voler cedere al suicidio morale e politico o per paura o per vigliaccheria o per opportunismo o per difendere quel miserabile poco di benessere che si è raggiunto.

In ballo c’è molto di più e di più terribile: non sono solo i cambiamenti climatici a dettare l’agenda politica, non è solo il TAV-TAC in procinto di devastazione sociale, ambientale, sanitaria, c’è soprattutto la guerra in casa e fuori casa a ridefinire il proprio agire sulla scala dei valori della dignità umana e politica.

Non più ai margini di una società avvilente e consumistica, allora. Si tratta di sviluppare energie creative già esistenti, di riconoscergli uno spazio di azione proprio, alternativo a niente, semplicemente originale, certamente non nuovo.

Vite a perdere

Salari bassi, precarietà permanente, tempi frenetici, solitudine e mera strumentalità delle relazioni. La vita è insopportabile per l’assenza di senso e di futuro, per la vittoria di un destino infame senza il contrasto di una prospettiva ribelle – per lo meno reattiva – che è necessario elaborare e fare vivere.

La periferia della vita è un aggregato di persone e potrà tornare ad essere quartiere/comunità se tornerà ad esserci qualcuno che ti chiama compagna/compagno, sorella/fratello, amica/amico. E così tornerà anche la memoria degna degli anni di idee e di lotte che ci hanno preceduti. Idee e lotte che sono un arsenale disponibile a chi fuori da ogni rassegnazione subalterna sceglie di usarle oggi per lottare contro la guerra, l’ingiustizia sociale e ambientale.

Intanto il tempo corre. Le rovine delle città bombardate nella Seconda guerra mondiale sono tragicamente modeste rispetto all’orrore e alle conseguenze di lunga durata che può realizzare una guerra atomica. È moralmente e culturalmente ineludibile protestare, opporsi, manifestare, impegnarsi, incontrarsi, discutere, fare propaganda, associarsi per una lotta di lunga durata contro la guerra. L’ignavia e l’indifferenza sono un’infame complicità.

Qualsiasi guerra dei milionari, qualsiasi sia la bandiera, è una guerra contro i poveri, contro i popoli, contro l’umanità. La guerra dei poveri e degli oppressi, di qualsiasi colore, contro i ricchi e gli oppressori, di qualsiasi colore, è l’unica guerra giusta! Organizziamoci dovunque contro la guerra dei milionari di ogni paese!

Trento, giugno 2023

Assemblea contro la guerra

(Questo testo raccoglie e aggiorna alcuni degli interventi fatti durante la manifestazione antimilitarista che si è svolta a Trento lo scorso 27 maggio, in occasione del Festival dell’Economia. Quel corteo è stato il primo appuntamento pubblico lanciato dall’Assemblea contro la guerra)