Il mare e l’acquario
Riceviamo e diffondiamo:
Il mare e l’acquario
Adoro il mare per i rumori e i silenzi che produce.
In tempesta urla e ci scaraventa addosso il vomito di ciò che gli riversiamo dentro;
parla e ammonisce lo stolto che crede di dominarlo e di conoscerlo a fondo; devasta con piacere i confini dentro i quali l’uomo ha creduto di relegarlo non curante della sua natura.
Nei giorni di quiete, generoso, permette di godere la sua immensità; guardingo osserva la risposta che gli viene data.
I suoi abitanti vivono in una dimensione altra, dove suoni e rumori assumono contorni differenti e dove l’uomo immergendosi sperimenta la quiete, per scelta, al fine di rigenerarsi di energia nuova e tornare in superficie.
Questo è il mare, grossolanamente descritto e mai rispettato.
Il minus habens dopo averlo saccheggiato in ogni dove, lo ha invaso, sporcato, contenuto, commercializzato, capitalizzato, riprodotto a vetrina con acquari a pagamento, non curante della sofferenza dei pesci.
Applausi, foto, articoli di giornale, libri, gite guidate.
Il pubblico si accalca per vedere lo squalo, innocuo perché in gabbia.
Viene attuata una divisione per pericolosità dei prigionieri acquatici, a sottolineare le potenzialità dei predatori e permettere agli altri pesci di poter essere guardati anziché mangiati, dicono: organizzazione fallace perché sono tutti prigionieri e tutti vorrebbero essere altrove, ma la pletora degli incoscienti può ammirare, giudicare, fotografare sentendosi protetta, in ultimo – non per importanza – creare profitto. Funziona.
Organizzazione della società acquatica e il tutto senza rumore.
Il rumore crea sempre inconvenienti, richiama attenzioni, crea socialità e genera solidarietà.
Creare un acquario nelle patrie galere ha studi e radici ben profonde e una similitudine non casuale.
Deprivazione sensoriale, assenza di rumori e di pubblico, quiete imposta e non cercata con eliminazione di contatti, niente svaghi per la mente con finalità di annientamento;
ai non anfibi deve bastare sapere che il predatore è isolato, per l’incolumità di tutti gli altri, dentro e fuori dall’acqua e purtroppo gli applausi non si risparmiano; non mancano le foto dell’animale prima di essere rinchiuso, la narrazione distorta della storia e a volte capita che a tempo debito, in assenza di pesci, questi luoghi nefasti diventino meta di gite guidate divenendo storia.
I prigionieri vengono messi in cattività arbitrariamente, e il termine dovrebbe illuminare l’intelletto…
Mentre i pesci devastati girano in tondo nella speranza di trovare un varco, si danno le medesime opzioni al prigioniero in metrature ben più ristrette a seconda delle dimensioni che vogliamo tenere in considerazione. Se ritenuti squali non vengono messi insieme agli altri pesci e le condizioni di sopravvivenza peggiorano drasticamente;
al massimo possono essere messi insieme ad altri squali, su esplicita richiesta che difficilmente avviene, ben consci che il detto mal comune mezzo gaudio è prassi infame.
Viene osservata la resistenza a girare in tondo, a sopportare il silenzio, ad accettare la sussistenza, ad osservare le pareti e tollerare la luce artificiale, a subire ogni forma di censura e arbitraria prevaricazione.
Ben si conosce il significato della vita in cattività che si erge all’insegna dell’abuso, quindi si tenta di spacciare per baluardo democratico la sussistenza contemplando anche quella forzata, che, ve ne fosse bisogno, spazza via ogni dubbio arrivando a non rispettare la scelta del prigioniero sempre al fine di poter esibire un vessillo paraculo. Fortunato?
I pesci vengono lasciati morire in pace, non servono azioni mirate da ricondurre alla democrazia vigente.
Ma attenzione, con l’acquario non si pensa di dominare solo i pesci, bensì il mare, l’acqua, senza la quale il gioco è impossibile; l’acqua è il mondo dei pesci, e questi la conoscono, l’apprezzano, la difendono e ne vanno al riparo quando è il momento, per poi tornare a fluire insieme.
Possono rinchiudere i pesci ma non dominare il loro mondo; immenso e dilagante, devasta con la sua forza prorompente tutto ciò che incontra sul suo cammino quando trova il varco che gli è stato precluso. Non ha fretta, il mare, e non ha necessità di mostrare la sua forza quale esibizione di potere dominante: sa di vincere al momento opportuno.
Accanirsi sui pesci rivoltosi è la scelta più semplice quanto subdola e vigliacca, ma la paura più profonda per chi si diletta a costruire acquari è quella dell’acqua.
Mostrano di aver catturato i pesci perché non possono fare altro, ma sanno bene che il mare è libero e indomabile per natura e, pur prigionieri, i pesci continuano a nuotare, alcuni meglio di altri: non potranno mai impedirlo e non riusciranno mai a catturare il mare.
I pesci sono il mare che abitano e in qualsiasi acqua sopravvivono se vogliono, senza dimenticare il mare e continuando ad appartenergli; non diverranno mai altro.
È presunzione del potere chiedere a un pesce di scalare un albero, miraggio meschino che illustra la miseria mentale del pretendente.
Solidarietà ai pesci nell’acquario. Che possano tornare presto in quel mare aperto che… li attende tumultuoso per la pesca subita!
pensiero individualista