Momenti topici

Europa, ottobre 2022.

«Il vaccino anti-Covid Pfizer “non è stato testato per prevenire l’infezione” anche perché “nessuno ce lo ha chiesto” e in ogni caso “non c’era tempo”. Sono le testuali parole pronunciate da Janine Small nel corso dell’audizione tenuta lunedì 10 ottobre al Parlamento europeo. Janine Small è stata sentita dopo il rifiuto di Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, di rilasciare dichiarazioni alla commissione d’inchiesta istituita da Bruxelles per indagare sulla trattativa riservata per una partita di vaccini». Effettivamente, perché mai degli «Enti regolatori» dovrebbero chiedere a un produttore di vaccini che questi ultimi prevengano infezioni e contagi. Sarebbe come chiedere a un produttore di formaggio che quest’ultimo sia fatto con il latte. Se il prodotto sa di formaggio e in fondo un poco sazia, dov’è il problema? Quanto al non c’era tempo”, la signora Small mente sapendo di mentire. Il test non è stato fatto perché l’industria farmaceutica sperimenta solo ciò che è sicura di trovare. E Pfizer sa dagli inizi degli anni Duemila che i sieri a m-RNA non prevengono le infezioni. «La risposta immunitaria prodotta da un vaccino non può essere una semplice reazione immunitaria, ma deve anche essere protettiva. Il termine “vaccino” deve indicare un composto che previene l’infezione. Il richiedente non ha dimostrato che il vaccino rivendicato soddisfi lo standard minimo stabilito». Questa è la risposta che per anni – prima con i sieri anti-Hiv e poi con quelli relativi alla famiglia dei Coronavirus – la Pfizer si è vista opporre dall’Ufficio brevetti degli Stati Uniti. Dal momento che ogni innovazione tecnologica e industriale – persino il sequenziamento di un virus o i meccanismi relativi ai ricettori ACE – viene registrata a garanzia dei diritti di proprietà, l’Ufficio brevetti è proprio il luogo in cui questa storia ha lasciato le sue tracce. Ora, ai burocrati di quell’Ufficio non potrebbero importare di meno la deontologia da laboratorio, la sicurezza dei farmaci e la salute pubblica. A loro interessa solo la tassonomia commerciale dei prodotti, al fine di evitare la concorrenza sleale e garantire il «corretto funzionamento del mercato». Non essendo uomini di (tecno-)Scienza, consideravano commercialmente scorretto registrare come «vaccini» dei prodotti non immunizzanti. Ci sono voluti anni – e non poche pressioni da parte della geno-industria, degli enti governativi, militari e universitari – perché si arrendessero alla nuova nomeclatura. L’Emergenza ha fatto il resto. Come ampiamente prevedibile e previsto, una volta liberato, il genio genetico – secondo la suggestiva formula con cui in Francia chiamano l’ingegneria genetica – non torna più nella lampada. Qualche giorno fa, l’Aifa ha autorizzato il primo farmaco a RNA per curare l’ipercolesterolemia. «Oggi questa tecnologia è applicata all’ipercolesterolemia, ma prevediamo in futuro di impiegarla anche nel trattamento di altre patologie», ha dichiarato Valentino Confalone, amministratore delegato di Novartis Italia. Dice bene – senza sapere in che senso – il giornalista: «Esattamente come la storia, anche la medicina è fatta di momenti topici».

Puglia, ottobre 2022.

«La Regione Puglia ha nominato oggi il professore Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e responsabile scientifico dell’ospedale “Bambino Gesù” di Roma, responsabile scientifico del progetto “Biotecnologia, bioinformatica e sviluppo farmaceutico” per la creazione di un hub delle Scienze della Vita-Life Science Hub Regione Puglia (LSH Puglia), nell’ambito del Piano Operativo Salute Fsc 2014-2020. L’obiettivo del progetto – spiega la Regione – è sviluppare attività di ricerca di base e preclinica di terapie avanzate (Atmp) nei due poli tecnologici di Lecce e Bari e la realizzazione di una “cell factory” per la produzione di cellule ingegnerizzate “CAR T”, oltre che la costituzione di un centro di microscopia multimodale assistito da tecniche di intelligenza artificiale, in sinergia con il direttore della struttura speciale Coordinamento Health Marketplace, delegato dalla Regione Puglia».
«Dal 2009 la posta elettronica certificata è obbligatoria [«L’obbligo di comunicazione del domicilio digitale è stato ribadito dal decreto legge “Semplificazione” del luglio 2020»] per gli ordini professionali e gli iscritti hanno il dovere di adeguarsi. Il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi) di Taranto, Pierpaolo Volpe, ha richiamato circa 700 professionisti e per 190 di essi è scattata la sospensione in quanto avrebbero ignorato la prima diffida che concedeva loro 30 giorni per mettersi in regola. […] Gli inadempienti hanno comunque la possibilità di mettersi in regola attivando una Pec in breve tempo: in fondo, bastano meno di 10 euro l’anno».
Se «notizie» come queste fossero l’equivalente contemporaneo delle favole di Esopo, conterrebbero anche la loro morale («la notizia insegna che»).
Non è l’innovazione che viene messa al servizio della salute, bensì le malattie che vengono messe al servizio dell’innovazione.
L’Emergenza è sciagura per i molti, ma carriera assicurata per i pochi.
Pensavamo che il requisito per essere infermieri fosse saper curare; oggi impariamo che co-requisito è possedere un «domicilio digitale». Sembra proprio che il personale sanitario sia stato scelto da governi e tecnocrati come campione per i loro test d’incarcerazione tecnologica. Test per i quali – a differenza di quelli sui prodotti della Pfizer di turno il tempo si trova sempre.