Luci da dietro la scena (III)

La cosa più saggia

La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale.

G. K. Chesterton, Eugenetica e altri malanni, 1922

Se della gente come noi comprende la situazione meglio dei cosiddetti esperti, non è perché abbiamo un qualsivoglia potere di predire fatti particolari, ma perché noi siamo in condizione di cogliere in che tipo di mondo viviamo.

George Orwell, Cronache di guerra, 1942

A job

Ero al corrente della scoperta della fissione dell’uranio [e] sapevo che vi si lavorava alacremente […]. Tuttavia, pensavo che l’utilizzo della fissione nucleare a fini militari non potesse essere utilizzata prima della fine della guerra e non ho dunque ritenuto di occuparmene. Ma nell’estate del 1942, Robert Oppenheimer mi chiamò al telefono chiedendomi di riunire un piccolo gruppo di teorici per lavorare sulla fissione nucleare. Nel momento in cui divenne evidente che il progetto avrebbe potuto funzionare, fu costruito un laboratorio a Los Alamos al preciso scopo di fabbricare una bomba. Sapevo che le mie conoscenze della fisica nucleare sarebbero state più utili delle mie conoscenze del radar, e decisi dunque che era per me preferibile andare a lavorare a Los Alamos.

(da un ricordo di Hans Bethe, citato in J. Druon, Un siècle de progrès sans merci, 2009)

Fuori dai cardini

Guardiamoli un po’, questi uomini del futuro, questi uomini di scienza: oggi certo non mancano, anzi si moltiplicano sempre di più. L’aspetto più orripilante dello scienziato è la sua lieta impotenza, la sua serena inefficacia. Somiglia a un tubo che trasporti il cibo senza digerirlo; il suo sapere non diventa mai un fatto veramente personale; dalla testa ai piedi non è altro che un puro e semplice strumento, un utensile. […] Sono come galline cieche, cui ogni tanto capita di trovare un chicco da beccare! Muratori ciechi che da migliaia di anni posano mattone su mattone senza sapere cosa stiano costruendo. Lavoratori. Collaboratori. Uno di loro dice “A”, un altro dice “B”, un terzo “C” e così si forma l’Opinione dominante; ognuno è funzione di ognuno, ognuno si serve di ognuno e tutti sono servi – dissanguati dal vampiro dell’intelletto, spinti verso il basso dal sempre più inaccessibile Pensiero planante sulle vette.

Ai tempi della mia giovinezza si rideva del vecchio professore con la testa nelle nuvole che perdeva continuamente gli occhiali. Oggi, invece di ridere, ci si rannicchia, ci si raggomitola, ci si sente a disagio vedendo il bonario consesso degli specialisti metterci le mani addosso – modificare i nostri geni – intrufolarsi nei nostri sogni – trasformare il cosmo – conficcarci aghi nei centri nervosi, palpeggiare i nostri organi interni più intimi, quelli che nessuno dovrebbe toccare! Questa spudoratezza, oggi solo agli esordi, quest’infame confidenza, questa porcheria che comincia a coinvolgerci non ci fa ancora abbastanza paura – ma tra non molto urleremo di spavento vedendo la nostra cara amica e benefattrice Scienza, sempre più scatenata, trasformarsi in un toro che ci prende a cornate e nel più imprevedibile tra tutti gli elementi finora conosciuti. La luce crescente si trasformerà in tenebra e ci ritroveremo in una nuova notte, la peggiore di tutte.

[…]

La trasformazione delle nostre condizioni di vita e della nostra struttura psico-fisica a opera della tecnica ci farà perdere l’equilibrio e uscire dai cardini.

Witold Gombrowicz, Diario, volume II (1959-1969)

Con la faccia ferrata

Tutto ciò che ha fatto la tecnologia medica è stato di aumentare la dipendenza dei pazienti nei confronti delle macchine e degli esperti che fanno funzionare questo “sistema di supporto alla vita”. Lo sviluppo della tecnologia moderna, in medicina come in molti altri campi, ha dato all’uomo un maggiore controllo sull’ambiente fisico: ma è un controllo molto superficiale, perché consente agli scienziati di compiere interventi a breve termine sulla natura, i cui effetti a lungo termine sono però incalcolabili. Nel frattempo questo controllo si è concentrato nelle mani di una piccola élite di tecnici e amministratori.

Christopher Lasch, L’io minimo, 1984

[…] l’industriale moderno, come Macbeth, decise di andare avanti, sotto la muta minaccia del cielo. Sapeva che le spoglie dei poveri erano nelle sue case; ma non riusciva a concepire, dopo accurati calcoli, come i poveri potessero riprendersele senza essere arrestati per violazione di domicilio. Affrontò il futuro con la faccia ferrata d’orgoglio e d’impenitenza.

David Noble, La questione tecnologica, 1993

Fabbricare ciò che non si comprende

Il soggetto scienziato […] dopo aver spinto le proprie investigazioni tanto lontano dall’ambito dell’esperienza comune, e con tanti mezzi nuovi, […] doveva ben finire con l’ammettere di aver prodotto quella realtà che avrebbe dovuto invece semplicemente osservare. […] Ma allora la conclusione, l’insegnamento da trarre dall’esperienza, avrebbe dovuto riguardare il soggetto, la potenza materiale acquisita, che occorreva ora ricondurre alla ragione, a rischio di finire con il fabbricare un mondo incomprensibile. […] Si sa che cosa è stato. La decomposizione dello spirito scientifico, oggi compiuta, è cominciata quando la sua potenza di separazione, divenuta operativa, ha permesso di distruggere il mondo senza comprenderlo, dopo che i mezzi d’indagine e di azione avevano lasciato lontano dietro di sé i mezzi di rappresentazione e di comprensione.

La totalità in rovina conduce da allora un’esistenza fantomatica nelle arbitrarie speculazioni dei fisici, che ormai sono solo degli scadenti metafisici, come quegli adoratori dei quanti che si chiedono gravemente: «Esiste la realtà?». Ricondurre alle proporzioni della mente umana dei mezzi tecnici che, a causa della loro dismisura, venivano sottratti alle nostre facoltà di rappresentazione e di comprensione, non era certo un compito «scientifico» (piuttosto sociale e rivoluzionario), ma solo il suo assolvimento avrebbe potuto salvare la scienza dall’irragionevolezza che la trascinava.

Éncyclopédie des Nuisances, Osservazioni sull’agricoltura geneticamente modificata e sulla degradazione delle specie, 1999

La progettazione di un Ogm, ad esempio, non è una “progettazione” in senso classico, in quanto la relazione tra le modifiche apportate al corredo genetico e il risultato fenotipico desiderato non può essere compiutamente “capita”, ma solo ottenuta empiricamente sulla base della raccolta di un’enorme quantità di informazioni.

Lucio Russo, Dove sta andando la scienza?, Koiné, Anno X, nn. 1-2, 2002

Che ne dice il CENSIS?

[…] il mondo, la natura e la storia, sono invariabilmente presentati e vissuti come entità anomiche e imprevedibili, capricciose quando non autodistruttive, e purtuttavia…“evolutive”. Dunque, proprio per gestirne l’evoluzione, per far funzionare le cose e ottenere risultati utilizzabili, occorre un continuo intervento di manipolazione tecnica. Tutto ciò fin dentro la vita quotidiana di ciascuno, dell’esperto-ricercatore come dell’uomo della strada*, ogni giorno più dipendente da dispositivi tecnici e amministrativi sui quali non ha alcun controllo, che non può comprendere né tantomeno riparare. Venendo meno la complicità con la natura e nello stesso tempo non padroneggiando i dispositivi che gli consentono di sopravvivere, l’individuo atomizzato all’apice del progresso, animato da sentimenti d’impotenza e vittimizzazione, fa nuova esperienza di alienazioni “arcaiche” di tipo magico-religioso. Ciò è evidentemente all’origine delle più o meno recenti riesumazioni, proprio nel cuore delle società industriali più “avanzate”, di credenze esoteriche e superstizioni di ogni tipo.

*Con una differenza importante: mentre l’uomo della strada non vuole generalmente saperne di assumersi la responsabilità di cimentarsi in delicate perizie sull’efficacia o sulla nocività di questo o di quello per le sorti del genere umano, esprimendo in questo modo un residuo di buon senso, l’esperto-ricercatore, armato della sua sragione razionalizzante, si lancerà senza esitazione in ogni valutazione ritenuta di sua “pertinenza” – anche se le conseguenze dovranno poi riguardare il mondo intero – nella più completa amnesia riguardo ai metodi e alle condizioni materiali che hanno reso storicamente possibili e socialmente accettate le sue stesse competenze.

Stefano Isola, Il potere della «ragion tecnica», 2012

Quale crisi?

La parola greca krisis indica il momento che separa una maniera di essere da un’altra qualitativamente differente, ed è fin dall’inizio collegata alla medicina: Ippocrate individua la krisis come il momento cruciale in cui la lotta si decide e una malattia può evolvere verso la guarigione o verso la morte. L’intervento del medico vi assume un carattere decisivo: egli deve dar prova di capacità di giudizio, mettendo in opera tutti i mezzi di cui dispone per assicurare lo svolgimento favorevole della malattia nel momento critico, dopo di che lo squilibrio che ha determinato la malattia può considerarsi revocato e il malato salvato.

La «crisi» attuale non segna tuttavia alcuna separazione qualitativa: al contrario, la sua gestione da parte dei padroni della società appare come lo strumento primario per cronicizzare” gli squilibri che l’hanno determinata, incorporandoli nelle cose sotto forma di «innovazione». È un “governo clinico” delle cose, analogo a quello con cui la medicina tecnocratica pensa oggi di “combattere il cancro”, astraendolo dal contesto che lo produce per trasformarlo in un modus vivendi da amministrare per tutta la vita farmacologicamente, finanche in modo personalizzato sul “profilo genetico” del paziente.

Stefano Isola, Il potere della «ragion tecnica», 2012

Mulinello totalitario

Un altro elemento da rilevare è il fatto che il cosiddetto «principio di precauzione», dall’adagio ippocratico primum non nocere si è riconvertito nell’assunzione opposta che «l’incertezza delle conoscenze scientifiche non può essere pretesto di proroga degli interventi necessari ad evitare il verificarsi di danni seri ed irreversibili». Come a dire: si sostiene, sulla base di “evidenze scientifiche”, l’esistenza di un certo “problema” – chiamato ad esempio “effetto serra”, ma anche “violenza giovanile”, “minaccia terroristica”, “pandemia”, etc. Quindi, non avendo gli strumenti per affrontarlo razionalmente, si dice che la minaccia esercitata da quel problema legittima comunque un intervento da parte dello Stato, le cui modalità sono definite a quel punto unicamente dai mezzi preposti a tal fine dallo Stato stesso… un altro esempio del mulinello totalitario con cui il sistema di dominio dell’economia politica riduce e cattura progressivamente ogni aspetto della vita sociale e individuale.

Stefano Isola, Il potere della «ragion tecnica», 2012

Rimosso operativo

Il potere politico nazista non avrebbe potuto intraprendere un genocidio su scala continentale senza l’aiuto di autorità biomediche e scientifiche competenti, poiché i problemi tecnici e logistici di rastrellare, trasportare, sfruttare, uccidere, accatastare ed eliminare i corpi di milioni di persone di varie etnie richiedevano competenza e abilità su larghissima scala. Per nascondere questa realtà, la complicità di larga parte della medicina e della scienza tedesche nel genocidio è stata taciuta, preferendo la “favola” secondo la quale, quando il regime nazista conquistò il potere (dunque non prima né dopo) la cooperazione degli ambienti biomedici e scientifici fu assicurata solo dalla forza.

Da allora in poi, se appoggio vi fu, secondo una “favola senza mostri”, fu soltanto il risultato della violenza coercitiva del potere nazista. Ma questa affermazione ha, appunto, solo il dubbio valore consolatorio di una favola.

[…] La bioetica è riuscita, così, a evitare un difficile confronto col fatto che coloro che attuarono quelle sperimentazioni furono medici competenti, compos sui, ma soprattutto portatori di un modello morale, in cui riconoscevano legittimati i propri atti, formalmente definibile come bioetico, aberrante ma bioetico.

[…] L’indiscutibile realtà storica è che il personale medico-scientifico che teorizzò e attuò la sperimentazione da noi denominata “olocausto medico”, era composto da professionisti competenti che attuavano regole scientifiche, storicamente fondate, pienamente condivise, e […] che essi ritenevano morali. La medicina ufficiale tedesca, infatti, non solo sostenne l’ascesa al potere del partito nazista ma creò i fondamenti scientifici e fu il garante morale della politica genocida in nome di una sperimentazione che aveva come fine dichiarato “il bene della razza umana”.

[…] Sia al Processo che nel Codice [di Norimberga] si tacque sulla responsabilità morale dell’intera classe medica, non solo tedesca, che si era pienamente riconosciuta nei metodi, nei fini e nei valori della sperimentazione con scopi eugenetici.

Medicina e Shoah. Eugenetica e razzismo del Novecento. Parentesi chiusa o problema aperto?, Atti del Convegno [Trieste 2013], 2020