La pandemia e il «proiettile magico» della tecnologia

Ecco un articolo che vale la pena di leggere. Nonostante non condividiamo certo l’entusiasmo del suo autore per la tecnologia a m-RNA, vi si possono trovare delle critiche alla gestione tecno-autoritaria della pandemia – e degli argomenti contro l’impiego generalizzato dei nuovi vaccini – decisamente fuori del coro (infatti provengono dalla Francia, dove il dibattito sulle tecno-scienze – e sulle loro «promesse senza conoscenza» – è decisamente meno miserabile che alle nostre latitudini).

La pandemia e il «proiettile magico» della tecnologia

Covid-19. La pandemia era una eventualità annunciata. Le sue cause possibili erano conosciute: nicchie ecosistemiche distrutte, diversità biologica in diminuzione, abuso delle manipolazioni genetiche. Ma, ormai, prende piede il mito che un’innovazione tecnica vaccinale costituisca la sola risposta da dare alla crisi dell’ecosistema e delle strutture sanitarie, di cui questa pandemia è un sintomo


Giuseppe Longo*

Il mondo, gli esseri umani, le nostre vite sono state sconvolte da una pandemia… attesa. Infatti, è dal 1993 che gli esperti segnalano una “epidemia di epidemie”. Un libro, ben documentato, del 2011 e numerosi articoli hanno successivamente aggiornato i dati su tale fenomeno, che può essere riassunto in questo grafico:

Cosa è successo negli ultimi cinquant’anni, dopo un secolo di riduzione estremamente significativa del numero di epidemie, in particolare – ma non solo – in Europa?

Un raddoppiamento della popolazione mondiale e un aumento di otto o nove volte delle epidemie, ben monitorate sin dalla fine del XIX secolo.

Circa il 70% di queste recenti epidemie sono il risultato di “zoonosi”, cioè sono causate da microrganismi che passano dagli animali agli esseri umani. Tra le molteplici cause di questa sorprendente crescita prevalgono le deforestazioni e le perdite di biodiversità, entrambe di dimensioni senza precedenti nella storia umana, accompagnate dalla creazione di allevamenti intensivi in prossimità di queste aree critiche.

Nel caso del Covid19, non si può nemmeno escludere una “fuga accidentale di laboratorio” – lo si cerca di capire grazie a complesse analisi filogenetiche (percorsi evolutivi dei virus), ma per ora si può far riferimento a precedenti che permettono di capire quasi tutte le epidemie recenti e note rappresentate nel grafico.

Viene poco ricordato, in effetti, che l’amministrazione Obama, nel 2014, ha imposto una moratoria sugli esperimenti di manipolazione genetica noti come “gain-of-function” (moratoria sospesa nel 2017 dall’amministrazione Trump), in seguito alla perdita di controllo di numerose manipolazioni genetiche di cellule e virus, un fenomeno osservato in tutto il mondo, si diceva, e denunciato da tempo.

Da un punto di vista scientifico, la maggior parte di queste manipolazioni, così come l’aggressione intensiva agli ecosistemi, si basano su una visione tecno-scientifica del vivente, considerato come il risultato di una “combinatoria alfabetica” del DNA – una sequenza di lettere (un “programma”) manipolabili a piacere – senza comprender nulla dell’organismo, del suo ecosistema e della sua storia.

In entrambi i casi, zoonosi o perdita di controllo di microrganismi geneticamente modificati, in modo artificiale senza la conoscenza né la presunta “esattezza” che si pretende pdf qui, si tratta di un rapporto con la natura contro il quale si impegnano, fra i tanti, l’Association des Amis de la Génération Thunberg (AAGT), la European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility (ENSSER) e il Gruppo Cardano.

Infatti, invece di comprendere il biologico e seguirne l’evoluzione in tutta la sua diversità evolutiva e nelle sue singolarità, si trattano le piante, le foreste, gli animali… e gli organismi umani, come delle macchine, composte dagli ingranaggi degli orologi di Cartesio e Bacone – un riferimento esplicito per gli inventori delle prime biotecnologie (H. Hartley, “Agriculture as a source of raw materials for industry”, Journal textile institute, 28, 1937) – e considerati, dai più moderni, come governati da un software, il DNA programmabile e riprogrammabile a volontà, malgrado i fallimenti a cascata a riguardo.

Che fare allora di fronte a queste nuove minacce e alle loro varie cause – diverse sì, ma che trovano le loro origini comuni in una tecno-scienza che massacra sia l’ecosistema sia la scienza?

Si propone una soluzione tecnica, un «tecno-fix» rapido, e ci si dimentica di riflettere e lavorare sulle loro cause, radicate in questo rapporto distorto e antiscientifico all’ecosistema, al vivente.

In sé, l’invenzione dei vaccini a RNA messaggero è una possibilità tecnica innovativa e molto interessante. È stata ritardata dalla visione genocentrica dominante (secondo cui tutto si giocherebbe a livello del DNA) che ha impedito per troppo tempo il finanziamento di queste ricerche eterodosse, definite da alcuni di “epigenetica”, proposte a partire dagli anni ’90, per esempio da Katalin Karikó negli Stati Uniti, pioniera degli studi sui vaccini ad mRNA, o da Bruno Canard in Francia; inoltre, tali ricerche non promettevano nulla di redditizio a breve termine.

Tuttavia, di fronte alla pandemia e una volta compresi i potenziali guadagni finanziari di questa tecnologia, alcune gigantesche aziende farmaceutiche completamente finanziarizzate, come Pfizer, hanno colto il valore di questi possibili vaccini, studiati da uno o due piccoli laboratori – che stavano lavorando da anni su immunoterapie mono-antigene contro il cancro, senza successo (BioNTech), e hanno così sviluppato un vaccino contro il COVID-19 in pochi mesi, grazie anche a finanziamenti pubblici molto consistenti.

E, nell’emergenza, molto probabilmente questi vaccini hanno salvato decine, se non centinaia di migliaia di vite, perché utilizzati in primo luogo per gli anziani e le persone con rilevanti co-morbilità.

Ora, che fare, una volta passata la primissima emergenza o, meglio, il primo “impatto”? Riflettere sulle cause di questa crescita delle epidemie, che al giorno d’oggi diventano facilmente pandemie? Riprendere gli impegni presi nei primi mesi in merito alle infrastrutture della sanità pubblica?

Tutti ricordiamo il riconoscimento da parte dei nostri governi dei bisogni, così a lungo trascurati, degli ospedali, trasformati in aziende, in cui “ogni atto di cura” doveva essere prima di tutto valutato a livello finanziario e a breve termine, compreso lo stoccaggio delle mascherine.

Ricordiamo anche come gli operatori sanitari, all’inizio della pandemia, abbiano ripreso il controllo delle loro attività principali adattandosi alla situazione a dispetto delle priorità finanziarie che venivano loro imposte. Per alcuni mesi, negli ospedali, la medicina ha avuto la priorità rispetto all’ottimizzazione finanziaria, e sono stati riconosciuti i bisogni della medicina di base, impossibilitata nel fornire cure ambulatoriali o a domicilio.

Tutto questo sembra ormai dimenticato, esiste solo “il vaccino” e ogni discussione critica su questo argomento è condannata ad essere tacciata come una posizione anti-vax.

L’efficacia dei vaccini a RNA messaggero nella protezione delle persone anziane o fragili sembra notevole: possiamo valutarla attraverso i dati fornitici sulle ospedalizzazioni e sulle terapie intensive.

Ma è tipico della tecno-scienza negare i propri limiti: ora dovremmo vaccinare tutti, i bambini, il mondo intero. In assenza di dati consolidati dal tempo e da un sufficiente senno di poi, solo considerazioni relativamente sicure sul bilancio beneficio/rischio sembrano ragionevoli.

Per le persone che sono vulnerabili a causa della loro età o con co-morbilità, il beneficio potenziale, anche nella carenza di tali dati, giustifica un forte incentivo alla vaccinazione, prima dell’approvazione definitiva dei vaccini (FDA o EMA), approvazione ancora attesa, poiché condizionata da una metodologia stabilita per fornire un livello sufficiente di prova scientifica del bilancio benefici/rischi.

Riguardo le altre persone, quelle per le quali le probabilità di conseguenze gravi dell’infezione da Sars-Cov2 sono molto esigue (e lo sappiamo sin dal maggio 2020, grazie ad osservazioni ampiamente confermate pdf qui), il beneficio del vaccino solleva domande, soprattutto quando i rischi sono ancora ampiamente sconosciuti.

Tanto più che, oggi, il virus è in fase di endemizzazione: più contagioso ma meno patogeno, tende ad essere simile ai quattro coronavirus endemici, già in circolazione da decenni o secoli.

Il successo di questi vaccini deve dunque essere compreso insieme a tutti i loro limiti.

Invano, certi articoli scientifici li illustrano. Ecco, ad esempio, alcuni punti di un articolo recente, ben documentato, su Lancet:

  • Le persone completamente vaccinate possono infettarsi e avere un picco di carica virale simile a quella dei casi non vaccinati.

  • Gli individui completamente vaccinati possono trasmettere efficacemente l’infezione, anche ai contatti completamente vaccinati (in breve, non esistono vaccini contro il raffreddore e il mal di gola, manifestazioni benigne del Covid19 – il virus si ferma e si riproduce “alle porte” dell’organismo, si veda questa lettera agli eletti” di 800 colleghi francesi.

  • I pass sanitari sono quindi poco o per nulla efficaci contro la diffusione del virus.

  • Le interazioni ospite-virus all’inizio dell’infezione possono modellare l’intera evoluzione virale, in un individuo e in una collettività.

  • Le misure igieniche, comprese le maschere, sono utili per proteggersi da Sars CoV 2.

  • La prevenzione riguardante la manipolazione degli alimenti e delle bevande è molto importante.

Sfortunatamente, stiamo osservando che noi – collettivo umano – stiamo cadendo nell’errore di ritenerci in controllo dei virus se solo il mondo intero – indipendentemente dalle diverse vulnerabilità – partecipa all’intervento tecnico risolutore, questa volta sotto forma di un vaccino, peraltro ancora sperimentale, dalla tecnologia poco nota, al più adatto nell’emergenza.

Nella confusione, si ricordi che molti politici, pur insistendo per mesi sulla “immunità di gregge”, data al 70% della popolazione nei casi in cui è pertinente, ora accusano del fatto che la crisi continui il 10 o 15% di non vaccinati, percentuali di molti paesi occidentali.

Siamo ormai entrati nella seguente spirale: sempre più zoonosi in seguito alla deforestazione e alle attività che degradano gli ecosistemi, riducendo la biodiversità; un uso senza conoscenza ed incontrollabile delle tecniche di manipolazione genetica; un crescente degrado dei nostri sistemi sanitari, a corto di risorse umane e finanziarie.

La risposta benvenuta all’emergenza, un nuovo vaccino, è resa permanente, e la si considera una sorta di “proiettile magico” molecolare, definitivo, sul quale si punta tutto, paragonandolo ai grandi successi storici (poliomielite, vaiolo, ecc.) con cui ha poco in comune dal punto di vista biologico, e non si discute più delle cause ecosistemiche o tecniche né delle falle dei sistemi sanitari all’origine della crisi.

La sua efficacia è di tre-sei mesi? (in Israele ci si avvia alla quarta dose). Niente di grave, al contrario: è un “business model” perfetto.

Non conosciamo gli effetti a lungo termine di queste tecnologie basate sull’mRNA, somministrate a quantità colossali di individui? (Questo articolo del 2019 discuteva già i rischi dell’uso degli RNA a doppio filamento (dsRNA) in biotecnologia, si veda anche qui).

Che i bambini e i giovani si lascino vaccinare e tacciano e che gli scienziati che cercano di evidenziare i limiti di questa nuova tecnica siano classificati come anti-vax.

Che nulla cambi nella finanziarizzazione della medicina e della ricerca “a progetti redditizi”, sempre più trasformata in una tecnoscienza delle promesse senza conoscenza. Ecco dunque una risposta basata sullo stesso atteggiamento antiscientifico che, attraverso la sua azione sugli ecosistemi o attraverso i giochi di una manipolazione molecolare senza senso, è all’origine delle epidemie degli ultimi decenni, talvolta estese a pandemie.

Dobbiamo riflettere meglio collettivamente e con più libertà di dissenso scientifico o politico su questa crisi che prelude ad altre, dovuta a un’aggressione della natura senza senso dei limiti e al degrado programmato dei nostri sistemi sanitari, una scelta politica.

Abbiamo pure un urgente bisogno di portare al tavolo più competenze di quelle attualmente presenti e che guidano le strategie di risposta contro la pandemia, costituite principalmente da virologi ed epidemiologi; in particolare, sono necessarie più conoscenze nelle discipline che possono far capire le origini ecosistemiche o di laboratorio (“gene-editing”, “gain-of-function”) delle epidemie, quindi le potenzialità ed i limiti dei vaccini a base di RNA e sappiano proporre nuove linee guida o direzioni di ricerca.

Le risposte tecniche rapide non sono che palliativi che confermano una logica perdente anche se finanziariamente egemonica; persino nell’emergenza, gli investimenti e la ricerca nelle cure mediche e nei vaccini multi-antigene devono procedere in parallelo.

Meno precipitosa, più discreta, la produzione e lo scambio di conoscenze teoriche e pratiche, capaci di prendersi cura della biosfera e di sviluppare un pensiero critico della tecnosfera, ci sembra costituire una via d’uscita attraverso la quale eviteremo il ripetersi di questo tipo di episodi – la cui novità è il loro legame con il nostro rapporto all’ecosistema e con il modo di costruire la scienza.

*Giuseppe Longo, matematico, lavora al CNRS e alla École Normale Supérieure, Paris

Presidente dell’Association des amis de la génération Thunberg (AAGT)

Articolo originale in francese sul blog MediaPart (pubblicato da “il manifesto” il 14 novembre 2021)