Ancora sulla maledizione pandemica che ha colpito la sinistra di classe (I)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo nuovo contributo di Nicola, già autore degli Appunti (e spunti di riflessione) sulla maledizione pandemica pubblicati anche su questo sito. Al di là delle coordinate teoriche e del linguaggio marxisti, e al di là dei frequenti riferimenti alla “sinistra di classe”, si tratta di un articolo molto denso, ricco di nodi su cui riflettere. Se condividiamo ovviamente il nocciolo attorno a cui ruota il ragionamento (la seconda aggressione del capitale contro il vivente umano, che segue e si accompagna alla distruzione del vivente naturale), ne apprezziamo particolarmente due sviluppi: la disamina del processo storico di medicalizzazione della cura come parte integrante della disumanizzazione capitalistica, e prodromo all’attuale tentativo di «sostituire l’auto-organizzazione della materia vivente umana con la sua organizzazione pilotata»; e l’analisi del variegato movimento contro lasciapassare e obbligo vaccinale, come espressione (almeno in parte) di una «seconda ondata neo-populista» che si differenzia dalla prima – e dalla sua coloritura maggiormente reazionaria – proprio per l’indole più sociale e universale delle questioni in ballo: solo per citarne un paio, lo smantellamento della sanità pubblica (in via di rimpiazzo con una sorta di apparato di controllo e sperimentazione permanente, su individui sempre più ammalati) e l’eliminazione di ogni sovranità individuale sul proprio corpo (minacciata dalla svolta tecnologica e coercitiva in atto).

Oltre a ciò, vi abbiamo trovato diversi altri spunti per l’immediato avvenire più che interessanti (riguardo l’intreccio tra crisi ecologica e politiche dell’Emergenza, tra green new deal e intensificazione dello sfruttamento, e altro ancora). In breve, un bell’inventario di problemi, e un problema al quale tutti rinviano: come stimolare il passaggio dalla critica diffusa delle «multinazionali» e dei «governi» a quella del capitalismo e dello Stato in quanto tali, prima che un «neo-populismo sovranista» si accaparri l’egemonia di una ribellione sempre più urgente. Insomma, non proprio dei pensierini per la buonanotte del Paese… Buona lettura e buona riflessione.

 

 

 

Ancora sulla maledizione pandemica che ha colpito la sinistra di classe (I)

Nei precedenti Appunti (https://ilrovescio.info/2021/08/18/appunti-e-spunti-di-riflessione-sulla-maledizione-pandemica/) sono state esaminate criticamente alcune posizioni che caratterizzano la postura di gran parte della sinistra di classe dinanzi alla pandemia, alla sua gestione politico-sanitaria, e all’emergere di proteste contro quest’ultima. Lo scopo non era tanto di prendere le distanze dalla sua deriva, quanto di indagare lo stato oggettivo dei rapporti di classe, di cui quelle posture sono solo un riflesso, e, insieme, lo stato del rapporto sociale di capitale nel suo complesso, ciò che è decisivo per cercare di contribuire alla nascita di una nuova sinistra di classe, all’altezza, appunto, dello stato di entrambi, rapporto di capitale e antagonismo di classe.

In seguito alle sollecitazioni e osservazioni ricevute da lettori dei primi appunti si è deciso di estendere gli argomenti trattati affrontando almeno due altre questioni che si sono rivelate importanti nelle argomentazioni di molta sinistra di classe, e che lo sono anche per l’indagine più generale. Una questione sarà trattata in questa sede, l’altra in un prossimo articolo. Entrambi sono anche il frutto di un confronto e di suggerimenti da parte di altri compagni che ne hanno discusso prima della pubblicazione.

Disumanizzazione

Fin dall’annuncio della pandemia ha avuto largo successo nella sinistra di classe il tema dell’irrazionalità capitalistica nei confronti dell’ambiente naturale. La discussione si è incentrata sull’origine naturale del contagio, lo spillover del virus da una specie animale all’uomo. Una tesi suggestiva per tanti rivoluzionari, nonostante la sua evidente discutibilità, non dello spillover, ma del perché un nuovo spillover dovrebbe sortire effetti drammaticamente diversi dai miliardi di spillover avutisi fin da quando si è avviato il processo di formazione della materia vivente, che, peraltro, senza essi non si sarebbe mai neppure consolidato. Ciò nonostante la domanda ha una pregnante legittimità. A condizione, però, di non ricercare solo una (pur importantissima) conferma teorica, ma di indagare sulle modalità specifiche che la contraddizione assume, al fine di trarne, se possibile, indicazioni (teoriche, politiche e di azione) sullo stato generale del capitale, sulle sue possibilità di tenuta, sulle crepe che si aprono (se si aprono) al suo interno, sull’emergere, o meno, di moti di reazione e/o di resistenza, sull’eventuale possibilità di questi ultimi di agire come leva per un suo superamento, o almeno come elemento che ne aggravi la crisi, o anche solo ne ostacoli la soluzione.

Per questo è sterile circoscrivere la domanda all’origine della pandemia, rubricandola semplicemente tra le tante che quella contraddizione è destinata a provocare, evitando di porsi domande sulla direzione delle misure di contrasto, liquidandole come inevitabili e criticandone solo l’approssimazione e l’incoerenza.

Beninteso, che il capitale possa procedere di pandemia in pandemia, di disastro ambientale in disastro ambientale, di crisi economica in crisi economica, fino al crollo suo e del processo vitale sul pianeta, è ipotesi da considerare seriamente. Ma sarebbe, appunto, sterile, mettere in conto solo questa. Non per dare sfogo alla propria soggettività, o al proprio background ideologico, anzi cercando di tenere sotto controllo l’una e l’altro, è necessario indagare sulle reazioni che l’andamento del capitale (e, in esso, lo sviluppo della contraddizione del rapporto con la natura) provoca, anche perché, come si dirà nel prossimo articolo, il suo non è un piano (consapevole o iscritto deterministicamente nelle tavole della legge del suo moto) che si possa astrarre dal suo essere essenzialmente rapporto sociale di produzione.

Hanno senz’altro ragione quelli che sostengono che il “capitale totale” ha talmente stravolto il rapporto tra “l’uomo e la natura” che la storica contraddizione si sta tramutando da “contraddizione” a distruzione sistemica della natura, del rapporto tra uomo e natura e quindi anche tra uomo e uomo.

Ci era già stato anticipato da Marx, ma qual è il punto esatto in cui si trova, quali percorsi tendenzialmente intraprende, con quali ricadute sul rapporto sociale di capitale, con quali reazioni e resistenze, ecc.?

Se si analizza l’andamento della pandemia, guardando dentro e oltre la messe di dati quotidianamente sfornata per provarne la pericolosità, si può vedere che la stragrande maggioranza della popolazione venuta a contatto col virus l’ha contrastato semplicemente con la propria immunità naturale. I pochi stati che hanno effettuato indagini sierologiche per stabilire la percentuale di popolazione entrata in contatto col virus (Svezia e India, per esempio) hanno concluso che in circa un anno due terzi delle loro popolazioni vi sono entrate in contatto. Anche a considerare i dati ufficiali dei paesi che non hanno effettuato screening sierologici di massa (perché avrebbero evidenziato l’inutilità dei confinamenti a bloccare la circolazione del virus?), si può vedere come la stragrande maggioranza dei cosiddetti contagiati (perché trovati positivi a un test discutibile, ma lasciamo perdere…) siano asintomatici; cosa altro sono costoro se non persone che hanno contrastato efficacemente il virus solo con il proprio sistema immunitario? Di tutti i contagiati una piccola parte non è stata in grado di rispondere con il solo sistema immunitario, ma ha integrato efficacemente la risposta con rimedi farmacologici o naturopatici. Una parte ancora più piccola (prendendo per buoni i dati ufficiali, si è nel mondo intorno allo 0,04% di mortalità, dato diverso dalla letalità, ossia dei decessi dei contagiati, ma comunque utile per una valutazione generale dei danni da Sars-Cov-2) non è riuscita a contrastarlo neanche con l’aiuto di rimedi (anche perché, magari, gli erano vietati dai protocolli governativi che disponevano vigile attesa e tachipirina con successiva intubazione…).

Si può constatare che una parte enorme della popolazione mondiale (di sicuro più del 90%) possiede ancora un sistema immunitario, ossia un’immunità naturale, efficiente, o, per lo meno, valida contro lo specifico virus che provoca il covid 19. Se consideriamo le conseguenze distruttive del capitale sulla salute umana (ambiente, lavoro, vita sociale, alimentazione, farmaci, ecc.) è un dato persino straordinario. Dimostra che in tutte le classi di età, salvo le già vicine alla consunzione fisica per età e i soggetti affetti da patologie, è ancora presente una potente forza in grado di neutralizzare un agente esterno diretto a parassitare nel corpo con la conseguenza di ammalarlo. Questa forza nasce dal rapporto dell’uomo con la natura, o per meglio dire dal fatto che l’uomo è parte della natura, e, dunque, la storia dell’uomo e la storia della natura coincidono. L’immunità naturale, infatti, non è un elemento sorto una volta per sempre, ma nato con la nascita dell’organismo animale sviluppatosi in uomo ed evolutosi nella storia della sua esistenza grazie al suo essere parte della natura e, dunque, in contatto con tutti gli altri organismi viventi, verso i quali ha dovuto sviluppare necessarie strategie di difesa o di convivenza, trovandone, spesso, persino giovamento per rinforzare le sue capacità di sopravvivenza, migliorando la capacità di organizzare la propria materia vivente. L’immunità naturale, che non è precipua dell’uomo, rientra, perciò, nella meravigliosa e misteriosa capacità di auto-organizzazione dell’intera materia vivente, di cui quella umana rappresenta una frazione.

Quale reazione hanno avuto i governi a guida Oms dinanzi a questa evenienza? Esultare e promuovere programmi per consolidarla e per integrare quella meno efficiente? No. L’esatto contrario. Hanno affermato che l’immunità naturale era impotente contro il virus, e che non era possibile trovare rimedi per renderla efficiente. Su questa negazione della realtà è stato innestato il discorso della indispensabilità del vaccino.

Il vaccino, in generale, è rimedio efficace. Indispensabile per malattie che l’immunità naturale non riesce a contrastare e per le quali non esistono cure efficaci. Vaiolo, poliomielite, tetano, per esempio. Sui vaccini delle prime due, in verità, si trovano analisi scientifiche e ricostruzioni storiche che ne mettono in dubbio l’efficacia, e il tetano viene oggi curato efficacemente con il plasma iper-immune (quello vietato per il covid!). Ma comunque si tratta di casi in cui il sistema immunitario non è in grado di reagire efficacemente, per lo meno nella situazione data, non potendosi escludere che nel prosieguo della storia della natura (e in essa dell’uomo) la materia vivente umana non riesca a trovare auto-difese naturali anche per queste patologie. Il vaccino stimola il sistema immunitario inducendolo a sviluppare anti-corpi specifici tramite il contagio con un virus o batterio, o sua frazione, attenuati o depotenziati, in modo che quando venisse a contatto con l’agente naturale sia già preparato, educato, a contrastarlo.

Il vaccino, sempre in generale, è rimedio delicato, per il fatto che induce in persone sane malattie, sia pure attenuate, che, probabilmente non avrebbero contratto. Può, dunque, provocare conseguenze indesiderate. Da ciò la necessità di valutare con accuratezza i suoi vantaggi in rapporto ai suoi rischi. I vaccini per le malattie esantematiche (che provocano lesioni della pelle) sono, per esempio, dal punto di vista sanitario, demenziali. Sia perché il sistema immunitario è in grado di contrastarle, sia perché in caso di sua insufficienza esistono sperimentati rimedi farmacologici e non-farmacologici. Invece, è stata adottata una pratica di vaccinazione obbligatoria per i bambini (in Italia, tra esantematiche e non, si arriva a una decina di vaccini per bambino, in Usa a 18!). Conseguenza? Creazione di milioni di persone con sistema immunitario indebolito, e, perciò, clienti a vita dell’industria farmaceutica.

Con il covid non abbiamo vaccini tradizionali ma terapie geniche, interventi sulle cellule per comandarle a produrre proteine spike, le quali, poi, dovrebbero educare il sistema immunitario a contrastare il virus naturale. Per chi non è obnubilato dal desiderio di ritorno alla normalità (magari per poter riprendere la vera lotta di classe, quella economico-tradeunionistica) e, di conseguenza, non prende per oro colato le parole di Draghi e Speranza e dei loro esperti, è già evidente che queste terapie non sono in grado di evitare il contagio e la malattia anche in forme gravi, mentre stanno provocando già un gran numero di effetti avversi e decessi, solo in minima parte segnalati ai sistemi ufficiali di sorveglianza, e si moltiplicano gli studi che evidenziano il rischio di apportare danni permanenti al sistema immunitario. Nonostante le evidenze, la campagna per vaccinare tutti non si ferma, anzi accelera. Perché?

Per favorire i profitti di Big Pharma? Vero, ma non sufficiente. Big Pharma sul punto rappresenta sé stessa ma anche un interesse generale di tutto il capitale: vaccinismo, terapie geniche, lasciapassare, aprono la possibilità di sviluppare la tele-medicina, ossia il trasferimento al sistema delle macchine di diagnosi e cura, soprattutto di quelle indispensabili a conservare, al minimo costo e alla massima efficienza per il capitale, la forza-lavoro produttiva (finché è produttiva…), oltre ad aprire alla possibilità di comando da remoto soprattutto dei militari. Ciò porterà profitti enormi a Big Farm e Big Tech ma ridurrà il costo complessivo dell’assistenza sanitaria, permettendo di completare lo smantellamento delle sanità pubbliche, abbassare il costo dell’assistenza sanitaria (che è una frazione dei costi di riproduzione della forza-lavoro), elevando, perciò, la produttività di valore per il capitale e formando una massa di combattenti indispensabilmente a-umani per le incombenti e distruttive guerre che una probabilissima non-soluzione della crisi rimette all’ordine del giorno. E un discreto contributo può darlo anche per ridurre l’eccesso di popolazione, accelerando la dipartita di molti improduttivi, già avviata dalla gestione del covid che ha favorito la morte di molti contagiati e di molti non contagiati cui sono state (e sono!) negate cure necessarie, per non dire della diffusione di patologie (e suicidi) causata da panico, confinamenti, divieti di relazioni sociali, ecc.

Vaccinismo a gogo, terapie geniche, tele-medicina sono, dunque, un vero e proprio attacco all’immunità naturale di ciascun individuo e costituiscono un salto nell’alienazione dell’uomo dalla natura, arrivando ad aggredire quel poco di ancora naturale che sopravvive nell’organismo umano e, in ultima istanza, a sostituire l’auto-organizzazione della materia vivente umana con la sua organizzazione pilotata dalla tecno-scienza del capitale. La quale, peraltro, si ingegna a pilotare anche la natura…

I marxisti che conoscono alla lettera Marx quando si tratta di rivendicare al loro nume tutelare e a sé stessi l’ecologismo ante-litteram, si lasciano sfuggire la sostanza del contenuto marxiano, utilizzando alla lettera le sue elaborazioni per piegarle alla misera convenienza della loro auto-referenzialità, che, per lo più, si ferma a posture che considerano la lotta economica su interessi immediati della classe come la vera lotta di classe, nonostante siano stati sui limiti di questa fustigati più di un secolo fa da Lenin e, prima ancora, dallo stesso Marx (la caratteristica dei marxisti della lettera non è limitabile ai soli stalinisti, le cui vette sembrava difficile immaginare che fossero superate, invece…).

La contraddizione tra capitale e natura per Marx si sostanzia nell’estraniazione dell’uomo alla natura, nell’alienazione dell’uomo dalla natura. Questo vuol dire, sempre che le limitate capacità intellettive di chi scrive siano in grado di comprendere adeguatamente il suo pensiero, che, innanzitutto, l’uomo viene posto come separato dalla natura. Cartesio dette a ciò sistematizzazione filosofica ponendo la vera essenza solo in chi è dotato della capacità cogitante, e negandola a tutto ciò che non cogita, giustificando con ciò la libertà per l’uomo -unico cogitante– di considerare a sua completa disposizione, cioè a illimitata disposizione delle sue capacità di appropriazione e trasformazione, tutto ciò che non cogita. Ciò giustificò, per il capitale in via di divenire rapporto sociale di produzione dominante, la trasformazione della natura da ambiente da cui l’uomo trae –in un rapporto di immedesimazione- quanto necessario a riprodurre la propria vita, in ambiente da cui estrarre materie prime ed energia per il processo di produzione per la produzione.

Divenuto rapporto di produzione dominante, l’aggressione del capitale alla natura ha raggiunto livelli altamente distruttivi, che stanno rivelando i loro terribili effetti sia sulla natura sia sulla stessa vita umana. Tutto ciò viene colto dai marxisti e da tanti, più o meno coerenti, ecologisti. Oggi, anzi viene ufficialmente riconosciuto dallo stesso capitale che straparla di sviluppo sostenibile, ma, in realtà, erge a problema fondamentale/unico il riscaldamento globale (sempre più spesso si parla di cambiamento climatico, essendosi il riscaldamento globale rivelato sempre meno credibile…) per cercare di mettere in atto trasformazioni economiche, sociali e geopolitiche, in ultima istanza, più distruttive della natura.

Mentre questa aggressione si rafforza, rafforzando l’estraniazione dell’uomo alla natura, prende forma, però, una nuova violenta aggressione che riguarda direttamente l’uomo. Il suo sistema immunitario, residuo di quanto di natura resista ancora nel suo organismo individuale e sociale, viene posto come insufficiente ai suoi scopi e si mette in atto un programma di sostituzione con sistemi artificiali di immunizzazione. Cos’altro è questo se non l’ultimo stadio (nel senso di recente, non di finale) dell’alienazione dell’uomo dalla natura, dell’alienazione dell’uomo da sé stesso in quanto ente generico che fa parte della natura?

In ordine a questa tematica, l’estraniazione dell’uomo alla natura, che è la sostanza della contraddizione tra capitale e natura, siamo, dunque, dinanzi a un vero e proprio salto. Improvviso? No, affatto.

È stato preparato da una lunga storia. Dapprima si è realizzata la medicalizzazione della cura. Mentre il rapporto di capitale si faceva strada fu attuata una feroce repressione di tutto ciò che era medicina naturale, ossia delle forme di cura che l’uomo, nella sua storia di rapporto con la natura, aveva sviluppato. Queste si basavano su rimedi naturali, ma anche sulla comprensione di come l’uomo facesse parte di comunità relazionali, ambiente naturale e influenza di forze provenienti dal cosmo. Tutto assolutamente scientifico, che concepiva, perciò, la malattia come rottura dell’equilibrio del singolo corpo con l’ambiente circostante (sociale, naturale, cosmico) e si proponeva di ristabilirlo, ricorrendo ai rimedi naturali e a capacità magiche, sciamaniche, stregonesche, ecc., che erano quanto si riusciva a mettere in pratica, con le conoscenze fino ad allora acquisite, del principio dell’unità uomo-natura-cosmo. Con la medicalizzazione della cura si impose la cura delle malattie solo attraverso i rimedi medici, pur sempre all’epoca naturali, cancellando, però, il resto, ossia operando una prima fondamentale separazione dell’uomo dalla natura. Con l’avvento del dominio capitalistico, dapprima la chimica sintetizzò i rimedi naturali, in seguito divenne sempre più autonoma producendo in proprio principi attivi sempre più slegati dai rimedi naturali originali. E avvenne anche una trasformazione della stessa medicina che, dopo l’abolizione della malattia come rottura dell’equilibrio naturale, si dedicò alla classificazione delle malattie come elementi aventi vita propria, autonoma da tutto il resto, allo scopo di proporre per ogni malattia il suo (o i suoi) farmaco chimico. Dalla medicalizzazione della cura alla sua farmacolizzazione, che favorì la presa di possesso della cura come mercato per l’industria farmaceutica. Sviluppo delle forze produttive al servizio dell’accumulazione e della presa di possesso da parte del rapporto di capitale di tutta la vita, naturale, sociale e individuale. E, allo stesso tempo, efficientizzazione della cura della forza-lavoro, scassata dalle malattie (sempre più provocate dalla distruzione della naturalità della vita, dal lavoro, dai rapporti sociali conformi allo sviluppo del capitale, ecc.) ma, presto e a costi contenuti, rinviata al lavoro, con i rattoppi chimico-farmacologici, che sopprimono i sintomi, ma non risolvono la malattia nella sua essenza di rottura dell’equilibrio naturale della vita umana.

L’ulteriore passaggio della farmacolizzazione è stato suddividere le malattie in quelle provocate da un agente esterno e quelle provocate da disequilibri interni al singolo corpo. Per rendere più efficiente (sempre dal punto di vista delle esigenze del rapporto di capitale) la cura delle prime si è sviluppato il vaccinismo, con lo scopo dichiarato di ottenere con un solo intervento la prevenzione della malattia, impedendole di manifestarsi, e, così, risparmiando sui rimedi e sulle assenze dalla vita produttiva. Per rendere più efficiente la cura delle seconde si è sviluppata l’ingegneria genetica, un prodotto del riduzionismo scientifico, per il quale non serve indagare sulla complessità della vita per individuare l’origine delle malattie, ma basta individuare il gene o i geni che ne sarebbero responsabili e intervenire su di loro, manipolandoli o sostituendoli, come se il DNA fosse un chip di una macchina che cambia le funzioni col mutare dei componenti di silicio o degli impulsi elettro-magnetici che riceve dall’esterno.

Con ciò si ha un ulteriore passaggio verso la disumanizzazione dell’uomo e la sua trasformazione da ente generico immedesimato nella natura in macchina governabile al modo con cui si governano le macchine.

Le prospettive di sviluppo dell’ingegneria genetica sono, invero, meno promettenti di quanto la vulgata mainstream voglia far credere. Il DNA non è un meccanico chip e, pur avendo una struttura di geni e cromosomi, non agisce meccanicamente, ma si inter-relaziona, tramite l’RNA che gli codifica i messaggi di attivazione/disattivazione, con l’insieme dell’organismo e, quindi, con l’ambiente che lo circonda e con la stessa storia, anche generatrice, che lo precede e lo accompagna. Questo dà più ragione alla tesi dell’unità uomo-natura, ma non impedisce all’ingegneria genetica di sviluppare il suo concetto di uomo-macchina, per mettere al servizio del rapporto di capitale gli uomini-macchina di cui necessita, sia dal punto di vista produttivo, sia dal punto di vista della conformità politica, ideologica, psicologica, ecc. al sistema dominante.

Con i vaccini anti-covid siamo al (sicuramente, primo) tentativo di unificare vaccinismo e ingegneria genetica, un tentativo pieno di incertezze che abbisogna di una sperimentazione vasta e di lungo periodo.

A chi nella sinistra di classe esalta nei vaccini il meraviglioso risultato della scienza della natura applicata allo sviluppo delle forze produttive si potrebbe, col Marx dei Manoscritti del ‘44, rispondere “Ma tanto più praticamente la scienza della natura è penetrata, mediante l’industria, nella vita umana e l’ha riformata e ha preparato l’emancipazione umana dell’uomo, quanto più essa immediatamente ha dovuto comportare la disumanizzazione1. Lo sviluppo della scienza della natura in funzione del capitale prepara l’emancipazione umana dell’uomo, aiuta cioè a porne le condizioni, ma, all’immediato, cioè nell’applicazione concreta che ne fa il capitale, comporta la disumanizzazione. Cosa e come dello sviluppo delle forze produttive (e quali di esse, considerato che una grande parte deve essere semplicemente rifiutata e distrutta da una società tornata umana!) generato dall’applicazione della scienza della natura al capitale potrà davvero contribuire all’emancipazione umana dell’uomo lo potrà decidere solo un’umanità che abbia ricondotto la sua stessa scienza a quella della scienza naturale. Ancora Marx: “La scienza naturale, un giorno, assumerà sotto di sé la scienza dell’uomo, come la scienza dell’uomo sussumerà sotto di sé la scienza naturale, non ci sarà che una scienza2. Qualcuno ha scambiato l’annuncio dei vaccini covid con l’avvento di quel giorno…

Questo è lo stato dell’arte della contraddizione capitale/natura, ove la si intenda al modo di Marx, come estraniazione dell’uomo alla natura, alienazione dell’uomo dalla natura e, perciò estraniazione dell’uomo da sé stesso. Per i marxisti quel che precede dovrebbe essere pane quotidiano, non nel senso di necessariamente condividere quanto scritto, ma nel senso di cercare di tenere il passo con lo sviluppo delle contraddizioni, almeno di quelle che, mutuando Marx, dovrebbero condividere.

Sta di fatto che mentre i passaggi che Marx aveva potuto solo prevedere come sviluppo del rapporto di capitale si danno sul terreno concreto, tanti marxisti … guardano altrove o si limitano a vederne solo una piccola parte come semplici conferme alla teoria, da aggiungere come puro fatto ideologico/educazionista, alla vera lotta di classe economico-tradeunionista.

Le conferme teoriche effettivamente ci sono, ma vanno colte appieno, e, inoltre, al compiacimento per questa vittoria teorica va necessariamente aggiunta la domanda su quel che provoca, sia al rapporto di capitale, sia in resistenza o opposizione a esso.

La vera novità con cui, infatti, confrontarsi non è la vittoria teorica, ma il fatto che questo passaggio, questo ulteriore salto verso la disumanizzazione (ossia, si ripete, l’estraniazione dell’uomo alla natura e dunque a sé stesso), abbia suscitato delle resistenze che hanno preso la forma di protesta di piazza.

È senza dubbio solo un piccolo accadimento. Non di meno è necessario discutere:

1. se nelle proteste si racchiuda davvero un nucleo di contestazione all’ulteriore disumanizzazione;

2. se dalle proteste si possa sviluppare, sul piano pratico e/o su quello politico, un movimento di lotta contro la disumanizzazione complessiva sviluppata dall’insieme del rapporto di capitale, e, perciò, in grado di aggredire la sua essenza di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

Molta della gente che sta partecipando alle proteste (in varie parti del mondo, con il caso sorprendente dell’Australia, un paese con scarsa vaccinazione – 29%-, un governo scatenato a imporla, con restrizioni acute, poteri di polizia inauditi, ecc., e con le piazze più piene che altrove…) è perfettamente consapevole di opporsi all’inoculazione nel proprio corpo di sostanze che lo manipolano rischiosamente, e anche chi ha semplice paura dell’inoculazione di un siero sperimentale si può collocare tra questi. A costoro si aggiungono coloro che sono semplicemente contrari al passaporto sanitario, in cui vedono uno strumento di insopportabile controllo (solo dei dementi lo possono paragonare a uno dei tanti documenti permissivi o di identità rilasciati dallo stato, oppure ai tanti controlli già agenti da parte di Gafam e stato tramite i dispositivi informatici. Qui non siamo al semplice controllo, cui purtroppo ci si è abituati senza proteste, ma davanti a strumenti che alzano o abbassano la sbarra per regolare l’accesso ad attività sociali, per ora, e, in seguito, lavorative, politiche, sindacali, ecc. Anche qui c’è un salto, dal controllo al divieto/comando).

La manipolazione del corpo umano non è iniziata ora, ma ora ha raggiunto un punto di maggiore evidenza e di maggiore conclamato pericolo. Chi vi si oppone rivendica una sovranità sul proprio corpo per impedire che sia assunta da avversari precisi: le multinazionali del farmaco e della tecnologia informatica e i poteri trans-nazionali da esse diretti (non l’insieme del capitale…), e i governi (non gli stati…). Non essendoci altre possibilità di difenderla, si scende in piazza. Con ciò si prende atto che per evitare a determinati agenti di assumere il potere sul proprio corpo si deve promuovere un’azione collettiva per bloccare un’iniziativa sanitaria/commerciale/politica atta a instaurare un regime di manipolazione permanente di tutti i corpi e di assunzione su di essi del potere totale di controllo e di manovrabilità economica, sociale e politica.

Da ciò consegue come sviluppo naturale la rivendicazione politica di sovranità che si inquadra in una comunità nazionale in grado di separarsi dai dispositivi di comando multinazionali e degli organi di potere globali (in Europa, naturalmente, il principale avversario è identificato nell’UE). La tendenza politica s’era già vista all’opera con il sorgere del neo-populismo e della sua versione sovranista. Da questo punto di vista, nulla di nuovo, anche allora la molla dal basso era stata la sovranità sulla propria vita attaccata sul piano economico-sociale dai poteri globalisti. Tuttavia, dopo il fallimento di partiti e movimenti che avevano raccolto la prima ondata di neo-populismo e sovranismo, queste due tendenze sembrano risorgere dalle macerie. Ma non sono uguali. Questa volta c’è un più profondo legame tra sovranità sul proprio corpo e vita e sovranità politica. E c’è una maggiore accentuazione contro il potere delle multinazionali, perché a quello politico-economico vogliono pericolosamente sommare anche quello sulla nuda vita fisica di ciascuno.

Nella prima ondata di neo-populismo e sovranismo era ravvisabile la presenza di numerose ambivalenze in grado di svilupparsi in direzioni diverse e persino opposte, in ultima istanza: o favorire un moto di opposizione al capitalismo o favorire un moto di sostegno al suo rilancio gettando le basi per ri-editare una mobilitazione nazionalista, indispensabile per accedere alle vieppiù probabili contrapposizioni belliche. Queste ambivalenze continuano a essere presenti anche nell’accenno di ripresa di questi movimenti dal basso nelle piazze contro il lasciapassare e l’obbligo vaccinale. Questa volta, però, c’è un maggior elemento sociale, per esempio nella rivendicazione di una sanità pubblica che curi e non sia sottomessa agli interessi vaccinali-genetici di Big Pharma, e una più precisa individuazione dei poteri da cui autonomizzarsi, non più solo, tanto per dire, l’Ue, ma anche (e fortemente) le multinazionali (anche Big Tech, finora guardata con benevolenza in quanto sembrava promuovere strumenti che potenziavano le relazioni sociali e, dunque, la libertà individuale) e i loro epigoni imprenditoriali locali a là Confindustria, che si batte per estendere il green pass nei posti di lavoro. E c’è anche in più il fatto che non è sufficiente un moto di opinione che muti gli equilibri elettorali, ma è necessario un moto di piazza. Queste (e altre) novità sono dense di ogni possibile ambivalenza, ma, intanto, ci sono e segnano un percorso diverso dalla prima ondata neo-populista.

Cosa deciderà del corso del movimento? Innanzitutto che abbia continuità, e si vedrà già nelle prossime settimane, in Italia e altrove, ma si vedrà anche nel prosieguo, in quanto la battaglia non finisce, in ogni caso, qui, ossia ai primi vaccini covid. Altre dosi seguiranno, e sono in programma altri vaccini, altre riduzioni dell’assistenza sanitaria, più stingenti controlli sociali e politici, nuovi lockdown per colpevolizzare e isolare i resistenti al vaccino. Inoltre, programmi economici di lacrime e sangue si prospettano dietro le quinte della pandemia, e con il Green Deal. Distruzioni di piccole attività, loro ulteriore assoggettamento al profitto del grande capitale, riduzioni salariali, prolungamenti degli orari di lavoro, intensificazione della fatica fisica, costrizione alla rinuncia a consolidati consumi voluttuari, ostacoli alle possibilità di organizzazione sindacale e politica, ecc. Come reagiranno le masse che si sono vaccinate per convinzione sanitaria e le ancora più grandi masse che hanno accettato di vaccinarsi nella speranza di chiudere la faccenda epidemia o di poter riconquistare sul piano individuale il ritorno alla normalità? Come reagiranno le stesse schiere proletarie che, oggi, anelano al ritorno alla normalità, come anelano alla fine della crisi generale del capitale per tornare almeno a condizioni in cui si riduca il rischio di perdita del lavoro, o ridiventi possibile trovare con facilità buoni lavori con buoni salari? Come reagirà quel residuo di classe operaia organizzata, sempre più debole ma non meno decisiva nell’imprimere a ogni mobilitazione un carattere pericolosamente di classe, oltre a poter mettere sul campo lo strumento fondamentale dello sciopero? Come reagiranno le vaste masse di esclusi che popolano le periferie e la precarietà all’ulteriore stretta di disciplinamento sociale? Ciascuna di queste (e altre) domande riguardano l’Italia e ognuno dei paesi in cui la mobilitazione si sta dando, con un inevitabile rimando e influsso tra un paese e l’altro, che non sarà l’internazionalismo necessario, ma non di meno un primo, flebile e contraddittorio quanto si vuole, accenno in questo senso.

(Non è, tuttavia, del tutto campata in aria la domanda sul come reagirà una popolazione bombardata da terapie geniche che provocano danni fisici immediati e di lungo periodo, quindi più malata, più debole, e, perciò, più dipendente dallo stato e dai rimedi miracolosi di Big Pharma).

Per conseguire la necessaria continuità in una battaglia che si presenta di lungo periodo, il movimento deve, necessariamente, affrontare la questione del coordinamento organizzativo, non potendo continuare a muoversi sulla spinta di una liquida spontaneità. Se resisterà una forte spinta dal basso è possibile che si riesca a evitare che i conflitti tra gruppi che se ne vogliono appropriare facciano subito precipitare il tutto in scontri interni al movimento, mantenendo i caratteri di un movimento determinato e univoco sugli obiettivi di fondo (no a green pass e obbligo vaccinale) e inclusivo sul resto delle questioni politiche, sanitarie, ecc..

Ciò non di meno l’indirizzo di fondo destinato a prevalere è quasi sicuramente, come detto, quello del neo-populismo sovranista in un quadro programmatico orientato in direzione di una lotta per ri-equilibrare i poteri in ambito capitalistico, con un ritorno a un passato di minor potere delle multinazionali e maggior potere dell’individuo in un ambito di restaurata vera democrazia, con uno stato che smetta di essere diretto da poteri sovra-nazionali e torni a essere al servizio dei cittadini.

Su come questa inevitabile, per i rapporti di classe vigenti, tendenza possa sciogliere le sue ambiguità e ambivalenze in un senso o nell’altro, qualche cosa si è tentato di elaborarla in I dieci anni che sconvolsero il mondo e nell’opuscolo I Gilets gialli, la vittoria dei vinti (entrambi editi da Asterios). È sicuramente insufficiente, ma lo scioglimento dei nodi irrisolti può essere dato esclusivamente da un lavoro collettivo di una rinata tendenza di sinistra di classe e nella sua capacità di assumere insegnamenti dallo sviluppo del terreno pratico del conflitto, a condizione, quindi, che non se ne astragga e vi partecipi dall’interno, ossia assumendo gli obiettivi immediati del movimento senza rinunciare a porre la propria prospettiva, non come un esterno ideologico, ma come sviluppo necessario delle stesse istanze di fondo del movimento. Un lavoro, dunque, pratico e teorico che affronti, senza pregiudizi ideologici e incrostazioni delle epoche trascorse, il problema di fondo in ordine alle possibilità e modalità concrete di superamento del rapporto di capitale.

Per intanto, è comparso, sul piano pratico, un primo embrione di resistenza (a scala internazionale!) agli effetti indotti dall’ulteriore farsi totale del capitale. Poco e contraddittorio che sia, sta di fatto che è.

Nicola

14 set 21

1Manoscritti economico-filosofici del 1844. Marx-Engels, Opere Complete, Editori Riuniti 1976, Vol. III, pag. 330.

2Ibidem, pag 331.