Folate di ribellione
Folate di ribellione
17.04.2020
I mercati, quasi vuoti per l’ingordigia dei commercianti, i quali nascondevano la merce con la speranza di continui aumenti non garantivano più al desco proletario il necessario per vivere.
Le lunghe ed interminabili file che le donne erano costrette a fare per procurare qualcosa da mangiare alle loro famiglie, il più delle volte restavano senza potersi rifornire per l’esaurimento del genere in vendita e ritornavano a mani vuote alle loro case.
Non poche volte s’inveiva con epiteti poco riguardosi verso le Autorità, preposte per il buon ordine… delle file.
Questo stato di cose determinava una situazione insostenibile. S’incominciò a forzare qualche negozio e vuotarlo letteralmente. Tale movimento riscosse la simpatia generale del popolo il quale, riversato nelle piazze, dava il basta, all’aumento dei prezzi. L’assalto ai negozi si generalizzò ed in alcuni centri i soldati facevano causa comune con il popolo.
Il governo, per sedare i tumulti e mantenere l’ordine, non potendo contare sull’esercito, doveva usare la P.S., i Carabinieri e la Finanza.
Con queste parole l’anarchico veronese Giovanni Domaschi in un suo manoscritto descriveva la situazione postbellica in Italia dell’anno 1919. Uno scenario non molto lontano da quello che potrebbe accadere con l’erosione costante dei salari, dei soldi in banca delle famiglie, con la perdita del lavoro di migliaia di persone. Purtroppo oggi la causa comune con i militari dell’epoca non ci sarà, non si può fare. Ora i militari sono al fianco delle Autorità, sono professionisti ed addestrati a sopprimere i sussulti dei poveri in mezzo mondo. Quel periodo dopo il 1919 in cui i soldati – principalmente operai e contadini che presero coscienza sulla loro pelle di cosa vuol dire la guerra, la fame e gli interessi della borghesia – erano istintivamente vicini a quelle persone che potevano essere i loro cari in altre zone della penisola disastrata dal dramma della Prima guerra mondiale.
Quello che invece sta già accadendo è l’aumento dei prezzi di frutta e verdura come annuncia la Coldiretti, con conseguenza che quello che è successo a Palermo qualche settimana fa ritorni molto presto a succedere, cioè persone che si organizzano per espropriare i negozi in mancanza di soldi per pagare gli affamatori della grande distribuzione alimentare che in questo momento continuano a riempirsi le tasche con i soldi della gente. Questo sta già avvenendo in altre parti del mondo come in Sudafrica o Messico, dove le persone, oltre ad essersi ribellate alla polizia per le restrizioni imposte, hanno approfittato del momento collettivo per riprendersi il necessario per cibarsi o per raggranellare qualche soldo vendendo la merce rubata.
È evidente che la necessità della sopravvivenza ad un certo punto coccia con la tutela dal virus. O ci si protegge dal virus o ci si organizza per non morire di fame. Finché non si riuscirà ad elaborare proposte, a far prendere coscienza, che solo dalle persone che stanno subendo questa situazione si può articolare metodi diversi da quelli restrittivi ed affamatori previsti dai tecnici dello Stato e dai padroni, si creeranno situazioni di questo genere. Domaschi non ci descrive come all’epoca le persone affrontarono l’influenza spagnola che creò molti più lutti del virus di oggi. Situazioni diverse ma riportate nelle rispettive epoche possono trovare alcune somiglianze.
Quello che è evidente è che tra le necessità delle persone e la tutela sanitaria interferisce lo Stato con le sue ordinanze e propagande, ma soprattutto la presenza in varie forme dei suoi servi e tutori del suo ordine.
Ecco allora che un po’ ovunque emerge rabbia ed insofferenza. Dalle scritte esplicite di Cagliari davanti al Commissariato di Sant’Avendrace, passiamo alla sassaiola dai balconi in Via Grimaldi a Catania dopo un fermo di polizia. Oppure agli attacchi più organizzati contro la polizia in Francia nei dintorni di Parigi e Lione, dove in modo diverso ma simile gli uomini in divisa sono stati adescati da decine di persone e presi a sassate con relative barricate, oltre che aver sparato fuochi d’artificio contro gli elicotteri che controllavano la zona rivoltosa.
Continuando con le rivolte in strada, quella più “grave” è legata ai fatti di Anderlecht, dove un ragazzo in motorino per sfuggire ad un posto di blocco si è dato alla fuga con relativo inseguimento finito tragicamente dopo che una pattuglia la ha fatto schiantare sulla propria auto. Ma questa volta non è rimasto senza risposta quello che per molti è un assassinio. Centinaia di persone tramite dei tam-tam si sono ritrovate in piazza appositamente per far capire a questi assassini che questi fatti non rimarranno impuniti. La morte di un giovane, come altre volte è successo, accende l’odio per la polizia la quale, in questo caso, subisce l’incendio di vari mezzi e la sottrazione di un’arma da fuoco. Decine di persone nelle ore successive alla rivolta vengono arrestate, ma questo per noi è secondario. Sarà l’esperienza a far sì che le persone che si organizzano non vengano individuate dagli spioni con conseguenti arresti. L’illegalità in questo caso è sinonimo di libertà; senza ribellione, senza incontro tra le persone non si farà fronte ai futuri accadimenti che raccontavamo più sopra. Per inciso questo non vuol dire non prendere le dovute precauzioni per tutelarci in senso sanitario per questo sul foglio n°4 di Cronache dallo stato di emergenza, nello scritto Ne parleremo a lungo, si rimanda agli anni ’70 in cui le persone dei quartieri discutevano direttamente ed attivamente con il personale sanitario. Discussioni da non delegare alle istituzioni che stanno e faranno sempre gli interessi di altri e non degli sfruttati.
Ma tornando all’ostilità alla polizia legata alla emergenza in corso, ecco che non si esauriscono le rivolte per far uscire i problemi degli ultimi dimenticati ed inascoltati. Dopo le costanti e attuali proteste nelle varie carceri su e giù per lo stivale, anche gli immigrati reclusi danno fuoco a quel poco che hanno per spingere chi di dovere a fare i tamponi per capire la gravità della situazione, come è successo a Roma il 14 aprile in un CAS.
Per finire passiamo a come degli assembramenti sono stati repressi negli ultimi giorni. A Francoforte il 5 aprile circa seicento persone si sono radunate per dare visibilità alla grave emergenza sanitaria nelle isole greche, dove migliaia di immigrati sono reclusi nei lager a cielo aperto finanziati dall’UE. La polizia aveva l’ordine di sciogliere la manifestazione, e le persone sono state in contatto le une con le altre solo nel momento in cui la polizia ha attaccato la manifestazione pacifica. Intervento duro e senza mezzi termini.
Ma forse quello che è più emblematico del futuro prossimo è quanto è accaduto a Bolzano. Un flash mob che è stato lanciato contro le misure restrittive della quarantena ma che non aveva intenzione di andare contro le attuali ordinanze. Semplicemente le persone che volevano partecipare a questa iniziativa volevano far emergere tutta una serie di problematiche legate alle restrizioni imposte dallo Stato e dai governatori locali. Ebbene una ragazza che non ha fatto altro che girare tramite cellulare il testo di questa iniziativa si è trovata in casa la polizia intenzionata a sequestrale il cellulare per capire chi aveva lanciato l’iniziativa e cosa doveva succedere nelle strade della città.
Dietro questo fatto si possono fare svariati ragionamenti: si potrebbe divagare dal controllo tecnologico alla mancanza di diritti di espressione del proprio pensiero e così via. Il succo che ne traiamo è molto semplice. Chi vorrà organizzarsi per fare dalle semplici iniziative dovrà prendere tutta una serie di accortezze, e le persone che fino ad ora sono state assenti dalle lotte dovranno acquisire metodi fantasiosi per sottrarsi ai controlli e alla repressione della polizia.
In questo la presenza di compagni e compagne, tramite le proposte, le esperienze, l’esempio è necessaria non solo per coltivare l’ostilità contro le Autorità; non solo per proporre ed intessere progetti di autoproduzione, autogestione e solidarietà come è successo in questi giorni sotto alle carceri in varie città, ma anche per affinare assieme agli sfruttati metodi di espropriazione per le esigenze di vita, nonché di autodifesa. Senza nulla togliere all’intervento autonomo e diretto, è necessario anche stare al fianco degli sfruttati, in una solidarietà concreta che porti a sbocchi di liberazione vera da chi ci sta ammalando, affamando e reprimendo.