Grosso guaio al cinema l’Aquila
Riceviamo e diffondiamo:
GROSSO GUAIO AL CINEMA L’AQUILA
A distanza di settimane dalle manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese e la sua resistenza e contro il genocidio attuato da Israele del 5 ottobre e 30 novembre 2024 a Roma, ci prendiamo la briga di documentare e analizzare l’attività politica che ha fatto da contorno a queste iniziative.
Molte cose sono accadute nelle assemblee organizzative di quelle giornate e non a tutti sono risultate chiare.
Va però detto che in rete sono apparsi numerosi comunicati e documenti che chiariscono le vicende a chi volesse farsene un quadro chiaro. A partire da quegli scritti e dalla nostra partecipazione diretta agli eventi abbiamo scritto questo testo e lo abbiamo fatto perché riteniamo che non solo sia importante fare luce su quanto avvenuto, ma soprattutto che quella “querelle” politica avrà delle ripercussioni in futuro, sia per quanto riguarda la lotta a sostegno della Palestina, sia per quanto riguarda le dinamiche interne al movimento antagonista italiano.
Il preludio alle dinamiche politiche palesemente manifestatesi in seguito si è potuto scorgere fin dagli albori delle iniziative in sostegno alla fase di lotta apertasi con l’azione della resistenza palestinese del 7 ottobre.
A Roma, dove vanno segnalate alcune manifestazioni ben riuscite per quanto riguarda la partecipazione, le iniziative – per la maggior parte presidi – sono state tutte volutamente tenute ad un livello di mera testimonianza pacifica, evidentemente mai adeguato alla gravità della aggressione contro cui resisteva la popolazione di Gaza.
Un esempio riguarda il 28 gennaio 2024 a piazza Vittorio, in una giornata in cui era stato vietato il corteo su pressione della comunità ebraica, e in cui gli organizzatori si sono opposti a che si tentasse di forzare i blocchi che circondavano il presidio, come invece i manifestati avevano provato a fare in una situazione analoga il giorno precedente a Milano.
Un altro esempio riguarda la mobilitazione all’università della Sapienza, in cui al pari di numerosi altri atenei, gli studenti si sono attivati per bloccare la ricerca in ambito militare, denunciando la complicità delle istituzioni universitarie con lo Stato di Israele.
Dopo una prima effervescente fase, una parte degli universitari ha posto la questione di come l’intervento del movimento, all’interno dell’assemblea della Sapienza, abbia avuto “la funzione di recuperare e pacificare, ricomponendo quell’argine che si era rotto due giorni prima” (Il lato del torto. Sulle contestazioni alla Sapienza – il Rovescio).
Ma l’esplosione del vero e proprio bubbone politico, di cui si poteva presagire l’esistenza, è avvenuto a partire dal settembre scorso ed ha avuto come nodo centrale il corteo del 5 ottobre, la cui chiamata titolava
“PALESTINA LIBERA MANIFESTAZIONE NAZIONALE 5 OTTOBRE PIRAMIDE” ed era promosso da UDAP, GPI, Api e Comunità Palestinese d’Italia (https://pungolorosso.com/2024/09/21/5-ottobre-manifestazione-nazionale-per-la-palestina-a-roma-gpi-api-udap-comunita-palestinese-ditalia/). La chiamata di questo corteo tra i vari punti poneva il “supporto incondizionato alla resistenza palestinese” e “Palestina libera dal fiume al mare”.
Prima di arrivare a questa giornata di lotta abbiamo notato l’inasprirsi del dibattito politico, a partire da una serie di polemiche nate all’interno del coordinamento per la Palestina romano, che successivamente porteranno all’uscita delle componenti più riformiste. A seguire vi è stata la dissociazione dai contenuti del corteo da parte di componenti della sinistra istituzionale, con particolare veemenza AVS (https://www.la7.it/coffee-break/video/manifestazione-pro-palestina-angelo-bonelli-avs-non-condivido-quella-piattaforma-inaccettabile-02-10-2024-560585).
A fine settembre, il corteo viene vietato dalla questura di Roma, per l’ennesima volta su pressione della comunità ebraica, con il pretesto della vicinanza con l’anniversario del 7 ottobre. A partire da questo divieto la comunità palestinese di Roma, notoriamente legata all’autorità palestinese (ANP), si sfila, insieme agli S.P. (Studenti Palestinesi, una neonata realtà) dalla chiamata del corteo e si accorda con la questura per un altro corteo da tenere il giorno 12 ottobre. In questa circostanza si crea una prima importante frattura tra le diverse fazioni palestinesi e i rispettivi sostenitori, in quanto il corteo del 12 non avrebbe dovuto essere una sostituzione del 5, come da volontà della questura, ma un passaggio successivo e per questo, secondo gli accordi, non andava pubblicizzato precedentemente al 5, cosa che invece hanno fatto gli organizzatori tradendo la fiducia data loro dal movimento.
In questo passaggio si notano le forti fratture presenti tra le diverse organizzazioni palestinesi: a chi sostiene le scelte della resistenza palestinese e l’azione del 7 ottobre si contrappone chi vuole assumere una posizione predominante nella prossima ridefinizione degli assetti palestinesi, accettando di fatto la funzione di collaborazionista.
Nonostante il divieto di manifestare il 5 ottobre, gli organizzatori del corteo GPI e UDAP decidono di non sottostare al divieto e mantengono sia la chiamata a Porta S. Paolo che le parole d’ordine e la piattaforma avanzata che indicava le responsabilità dirette del governo italiano nel genocidio in Palestina. A partire da questo si moltiplicano gli appelli a scendere in piazza nonostante i divieti. La Rete liberi e libere di lottare rilancia, organizzando dei pullman da tutta Italia: “Contro i divieti lo ribadiamo: libere e liberi di lottare contro guerra, genocidio, DDL 1660” (https://pungolorosso.com/2024/09/18/il-5-ottobre-noi-saremo-in-piazza-a-roma-al-fianco-delle-associazioni-palestinesi-rete-liberi-e-di-lottare-fermiamo-insieme-il-ddl-1660/).
Il 5 ottobre la polizia ha completamente circondato la piazza e filtrato i manifestanti nei pochi varchi lasciati aperti, ma nonostante queste intimidazioni migliaia di persone sono giunte al concentramento sfidando i divieti. Lo svolgimento della giornata è noto: c’è stato un coraggioso tentativo di rompere l’accerchiamento.
Su come una certa sinistra vede la lotta dei palestinesi, è rivelatore un articolo scritto da Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas, nell’articolo del 6 ottobre “I chiarimenti della Comunità Palestinese di Roma” con cui ci rende noto che “la comunità palestinese, già prima del 5 ottobre, avesse preso le distanze dagli organizzatori, ovvero da chi vuole, peraltro impossibile visti i rapporti di forza, la cancellazione/distruzione di Israele e la cacciata degli ebrei da quei territori” (https://www.rivoluzioneanarchica.it/i-chiarimenti-della-comunita-palestinese-di-roma-e-lazio-finalmente/).
Dopo il 5 ottobre le questioni in ballo escono ancora di più allo scoperto, la data del 12 ottobre è un primo spartiacque all’interno del movimento in cui decidere come posizionarsi.
Successivamente al corteo del 12 si concretizza la fuoriuscita di alcune componenti dal coordinamento romano per la Palestina, queste saranno tra le promotrici, insieme all’ARCI, di un’assemblea nazionale al cinema l’Aquila tenuta il 9 novembre e che ricalca dinamiche già note nel movimento romano.
L’assemblea del cinema l’Aquila viene convocata da uno straripante numero di sigle e siglette, per la maggior parte legate all’associazionismo di sinistra e ai circoletti dell’ARCI, riuniti sotto gli slogan:
“costruire una piattaforma comune per rilanciare la mobilitazione contro il genocidio. Costruire una rete antisionista“ (https://www.arciroma.it/2024/11/9-novembre-assemblea-nazionale-per-fermare-il-genocidio/).
Aderiscono, oltre a Rete dei comunisti, Giuristi Democratici, Assopace Palestina, Movimento studenti palestinesi in Italia, Associazione dei palestinesi in Italia/API, Comunità palestinese d’Italia, Mezzaluna Rossa palestinese, Gaza Freestyle, Gnk, Movimento per il diritto all’abitare, Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) Genova, BDS Italia, BDS Roma, USB, CUB, Asia-Usb, Cobas Scuola Confederazione Nazionale Cobas, Contropiano, Comunità Curda, Patria Socialista, Rifondazione Comunista, Potere al popolo, Sanitari per Gaza, Cambiare Rotta, Osa, associazione Multipopolare, etc.
Alcune realtà palestinesi quali UDAP e GPI pubblicano sul loro canale una lettera di non adesione a quella assemblea: “La lotta palestinese, una lotta politica e di liberazione non può essere ridotta a un semplice appello alla pace astratta o alla riconciliazione fine a se stessa. Le adesioni a questa assemblea includono gruppi che, sotto la retorica della pace, hanno posizioni normalizzatrici, vicine al sionismo e ai suoi sostenitori. Non a caso troviamo chi, opponendosi alla manifestazione del 5 ottobre e con la piazza del 12 ottobre a Roma ha provato, fallendo, a dividere il movimento e i palestinesi tra buoni e cattivi. Peccato che questo gioco non funzioni più. La lotta per la liberazione della Palestina non ha bisogno di normalizzatori né di intermediari; non ha bisogno di ONG che spogliano questa lotta della sua essenza politica per ridurla a una questione umanitaria, neutrale, che può essere autogestita senza mettere in discussione le fondamenta stesse del problema, cioè il sionismo che altro non è che una manifestazione dell’imperialismo occidentale. Non possiamo accettare che il movimento di solidarietà si trasformi in una appendice delle politiche italiane o europee che intendono disinnescare la resistenza, rendendo la nostra causa inoffensiva e accettabile per tutti. Non aderiamo all’assemblea del 9 proprio perché non possiamo accettare che le organizzazioni palestinesi che fino ad ora hanno messo in campo la linea politica e pratica più coerente e avanzata, siano relegate al ruolo di ospiti o simboli, in un contesto in cui si parla di noi senza di noi”.
In questa assemblea viene interrotto l’intervento dei GPI e viene impedito all’UDAP di parlare.
https://www.youtube.com/live/9WM4b1M6Z14
L’assemblea si conclude con un documento, nel quale si lancia la chiamata di un nuovo percorso di lotta:
”Proponiamo inoltre una riunione per Domenica 1 Dicembre di bilancio della manifestazione e per creare una rete antisionista e contro le guerre che coordini le future iniziative e mobilitazioni a livello nazionale”.
Questa assemblea non rappresenta assolutamente qualcosa di contestualizzato ed episodico ma il palesarsi di una manovra politica tesa ad utilizzare il movimento a sostegno della Palestina, come passaggio per costruire l’ennesimo cartello elettorale della nuova sinistra.
Per rafforzare questa affermazione a questo episodio ne affianchiamo altri, quali il distacco dell’USB dal resto del sindacalismo di base. USB non ha partecipato allo sciopero generale contro la guerra del 29 novembre che era in continuità con le mobilitazioni del 23 e 24 Febbraio 2023, né al blocco ai varchi del porto il Genova contro il traffico di armi, né aderito all’appello ai lavoratori a mobilitarsi contro la guerra, l’economia di guerra e il DDL 1660, ma ha indetto uno sciopero autonomo per il 13 dicembre. Inoltre va segnalata la fondazione di una piattaforma alternativa alla rete antagonista Liberi e libere di lottare, la “No ddl”, fatta sempre da USB assieme a CGIL, ANPI e ARCI, esponenti di AVS, PD, M5S e Rifondazione.
Arrivando alla manifestazione del 30 novembre, constatiamo come l’attività dell’assemblea 9 novembre consista nell’attuare una serie di manovre tese ad egemonizzare e controllare l’iniziativa. Lo fa a partire da un’indizione e un percorso sostitutivi rispetto all’originale fatta da UDAP e GPI intitolata ”Fermiamo il genocidio con la resistenza”, che avrebbe dovuto partire da parco Schuster. A questo punto UDAP e GPI fanno uscire un testo chiarificatore (È utile per la Palestina che il 30 novembre ci siano due Manifestazioni Nazionali a Roma? https://www.instagram.com/udap.it/p/DCYsUgstcyu/?img_index=1).
Testo in cui si esplicita che “alcuni malintenzionati hanno invece scelto fosse il caso di creare una divisione, sfruttando la narrazione della divisione “buoni-cattivi” per poter poi imperare sulla conseguente contrapposizione” e che vi siano “realtà più o meno legate ad aree filo istituzionali del centrosinistra… semplicemente interessate a intestarsi un anno di mobilitazione, per capitalizzare, ognuno a modo proprio un lavoro collettivo portato avanti coralmente in tutta Italia”.
Questi tentativi di egemonizzare e recuperare la lotta hanno cominciato a scricchiolare a partire dalle critiche e domande di chiarimento che da più parti del movimento venivano poste rispetto all’ambiguità della situazione, inoltre il cospicuo cartello di aderenti della chiamata del 9 si assottigliava costantemente (passando da oltre 200 ad 80 sigle). Per fare fronte a questo pasticcio l’assemblea del 9 novembre si è vista costretta a convocare una assemblea riparatrice alla ex occupazione del coordinamento di lotta per la casa, Porto Fluviale, per il 21 novembre.
La sostanza di questa riunione, al di la delle generiche e fumose dichiarazioni, è stata un richiamo all’unità. La stessa unità che i promotori avevano scientemente rotto con la precedente assemblea, ma risulta chiaro che se alla loro chiamata alternativa fossero confluite poche persone la manovra per dirottare e egemonizzare il movimento sarebbe fallita.
In questa assemblea l’unico che ha detto chiaramente le cose è stato il presidente dell’ARCI romana, Vito Scalisi, il quale ha ben chiarito che il compito della sua organizzazione è quello di estromettere le componenti radicali e rivoluzionarie dal movimento (https://www.facebook.com/share/w/1BWmJyfwPb/).
Alla fine lo stallo viene risolto dalle organizzazioni palestinesi – supponiamo dietro indicazioni giunte dalla Palestina – che decidono per un corteo unitario; viene inoltre concordato che la testa del corteo sarà tenuta dai gruppi palestinesi con un unico camion e con un nuovo percorso.
In questo passaggio si vede come i rapporti di forza tra le organizzazioni palestinesi siano attualmente a favore dei gruppi che più si riconoscono nelle ragioni della resistenza perché sono riusciti a far passare le loro parole d’ordine (https://www.radiondadurto.org/2024/11/30/roma-manifestazione-nazionale-unitaria-per-la-palestina-e-contro-il-genocidio-ci-sara-un-solo-corteo/).
Ma le acque tornano ad agitarsi il giorno in cui i compagni palestinesi si recano in questura per comunicare il cambio del percorso e lì trovano alcuni esponenti del movimento romano che pretendono di sostituirsi a loro, senza riuscirci.
La manifestazione del 30 novembre non è di certo stata una manifestazione unita, lungo lo stesso percorso hanno sfilato due distinti cortei. Tutti quelli che erano in piazza hanno potuto vedere il tentativo di egemonizzare il corteo da parte dell’assemblea 9 novembre. I suoi promotori, in barba agli accordi presi in precedenza, hanno preso la testa del corteo portandosi un loro camion con l’amplificazione e schierando un servizio d’ordine verso il resto dei manifestanti mentre i caporioni lanciavano minacce, riproponendo modalità autoritarie resuscitate da altri tempi. Tra questi Bruno Papale, un volto noto del movimento di lotta per la casa, nonché uno dei personaggi più attivi in questo processo di recupero delle lotte.
Non si è arrivati allo scontro solo grazie al buon senso di GPI e UDAP che, forti di una palese superiorità morale e politica, non hanno reagito alle esplicite provocazioni lanciate da chi cercava lo scontro.
Come dicevamo, di fatto, ci sono stati due cortei, uno composto in buona parte da un ceto politico para-istituzionale, con alcuni palestinesi (quelli più vicini all’ambasciata e quindi all’ANP) e con la presenza di quell’associazionismo democratico contiguo al PD che sulla Palestina fatica ad andare oltre ad un atteggiamento umanitarista.
L’altro corteo, molto partecipato, aveva alla testa un nutrito gruppo di arabi e palestinesi seguito da una numerosa presenza della sinistra antagonista e del sindacalismo di base “in un corteo eterogeneo, magmatico, prettamente giovanile, ma al tempo stesso estremamente compatto e combattivo, e capace di collegare nelle sue rivendicazioni la lotta in Palestina con quella dei subalterni nel nostro paese. A dimostrazione che la lotta della Resistenza palestinese rappresenta in questo momento il punto più alto della lotta degli oppressi e degli sfruttati, anche di quelli che alle nostre latitudini faticano ad arrivare a fine mese“(https://www.militant-blog.org/palestinesi-e-papestinesi/).
Da questo punto di vista il corteo è stato un successo, ma ciò non deve farci dimenticare le manovre di alcune cariatidi del movimento romano, manovre in questo caso talmente disgustose e spudorate da non poter fare fesso nessuno che tale non volesse farsi fare. E infatti non sono neppure riusciti a far schierare la maggior parte del movimento romano nella prima parte del corteo.
Abbiamo ritenuto sensato fare una cronaca documentata di questi eventi perché, come anticipato, non si tratta affatto di un episodio circoscritto, ma di una tendenza in atto all’interno del movimento antagonista italiano tesa a convogliarlo verso un progetto di palese stampo elettorale.
Noi in quanto rivoluzionari anarchici, anche se estranei a questi giochi politici, dobbiamo comunque saperli riconoscere per non finire a fare da massa di manovra per qualche squallida operazione politica. Inoltre riteniamo che la nascita di questa componente, come ha dimostrato già in questi episodi, cercherà di mettere i bastoni tra le ruote ai gruppi più radicali, ovvero escludere e calunniare o reprimere chi proponga di agire in termini di conflitto reale. Quanto si sta manifestando non riguarda quindi solo la lotta in solidarietà con i palestinesi ma comprende potenzialmente tutti i settori di lotta.
Ad esempio stiamo notando la sempre più frequente apparizione di servizi d’ordine ad uso interno.
Quindi consigliamo di aprire gli occhi, alzare le orecchie e organizzarsi di conseguenza.
L’altro aspetto importante che è emerso riguarda i conflitti intestini ai movimenti palestinesi.
Dall’inizio di questa fase di lotta l’ANP ha dato corso ad operazioni di polizia contro la resistenza e la popolazione, tra cui l’attacco sferrato contro il campo profughi di Jenin, denominato “operazione proteggere la patria” . Il suo leader Abu Mazen ha dichiarato che l’ANP è in grado mantenere l’autorità nei territori sotto il suo controllo e di essere “pronta ad assumere la piene responsabilità nella striscia di Gaza nel dopoguerra”.
Il 4 gennaio viene indetto un presidio sotto la sede dell’ANP a Roma, si tratta di un iniziativa molto partecipata che ha lo scopo di denunciare come da oltre un mese sia in corso una campagna dell’autorità palestinese contro la resistenza e la popolazione che la appoggia, evidentemente finalizzata ad accreditarsi presso i sionisti come entità in grado di controllare Cisgiordania e Gaza.
Le scontro in atto tra le diverse componenti politiche palestinesi è fondamentale per capire cosa sta accadendo in quella parte del mondo, ma è anche comprensibile come queste dinamiche si riproducano ovunque vi sia un movimento solidale con la causa palestinese. A nostro avviso il conflitto tra resistenza ed ANP è quindi uno degli elementi principali alla base delle polemiche sorte in Italia, in particolare rispetto al fatto che le manifestazioni riconoscessero o meno il ruolo fondamentale della lotta armata come strumento di liberazione dall’oppressione coloniale.
Anche se è presto per capire come si evolverà questo conflitto interno ci sono alcune importanti questioni che ci preme segnalare.
La prima riguarda lo scontro per il controllo politico della Palestina, con le organizzazioni della resistenza che mantengono un forte appoggio popolare e l’ANP che si pone nel ruolo di collaborazionista del potere israeliano ma anche statunitense ed europeo (ad esempio i poliziotti dell’ANP sono addestrati dai carabinieri).
Il secondo riguarda il ruolo della cooperazione umanitaria, quindi dei finanziamenti e degli aiuti dopo la fine dell’assedio; segnaliamo come tra i firmatari nell’appello del 9 ottobre vi fossero diverse organizzazioni che si occupano della gestioni di questi aiuti: dalle associazioni e cooperative di sinistra, alla Mezzaluna rossa, all’Assopace presieduta da Marisa Morgantini. Noi riteniamo che l’approccio umanitarista e le ONG siano funzionali a recuperare i conflitti per l’autodeterminazione dei popoli e a mantenere l’oppressione occidentale e il neo-colonialismo.
Inoltre è in ballo la questione della liberazione dei prigionieri, vista dalla popolazione come un elemento centrale della lotta all’oppressione, rispetto a questa importante partita ogni componente politica, in base ai rapporti di forza raggiunti, mira a perseguire i propri interessi.
Supportare la resistenza del popolo palestinese, per quanto ci riguarda, non significa schierarsi in maniera acritica a favore di tutte le ideologie, le organizzazioni e i progetti politici che agiscono sul campo in Palestina. Non condividiamo la prospettiva di liberazione nazionale, perché la liberazione degli sfruttati può avvenire solo nella rivoluzione sociale. Quindi spezzare le catene del colonialismo, da un punto di vista rivoluzionario non è sufficiente in quanto non risolve i rapporti di oppressione interni al paese colonizzato, basti pensare a come l’ANP sia il baluardo a difesa degli interessi della borghesia palestinese o come Hamas porti in sé l’oppressione insita nell’integralismo religioso. Vogliamo però ribadire come il 7 ottobre 2024, per quanto possa spiacere alla buona coscienza occidentale, è stato un Evento dalla portata rivoluzionaria da tantissimi punti di vista. Dimostrando che il dominio tecnologico può essere bucato. Che un secolo di oppressione può essere rispedito al mittente. Nella situazione contingente, ha spazzato via come un’onda con un castello di sabbia nella spiaggia gli accordi di Abramo, la normalizzazione del sionismo, il quieto vivere fra le diverse borghesie mediorientali.
L’attuale tregua in corso a Gaza sta dimostrando che Israele può fare un genocidio, ma non può estirpare la resistenza. Che la popolazione palestinese, sfinita, terrorizzata, affamata, non abbia denunciato i combattenti in tutti questi mesi, ma oggi li festeggia nelle strade, dimostra concretamente da che parte stanno gli oppressi a quelle latitudini. Se non c’è riuscito Israele, figuriamoci se saranno i salti in banco della politica nostrana a cancellare la realtà.
I tre moschettieri