La corsa verso il baratro. L’estate sul fronte orientale

Questo testo si ricollega, aggiornandoli, alle analisi e ai ragionamenti sviluppati nella serie Apocalisse o insurrezione (https://ilrovescio.info/2021/12/07/apocalisse-o-insurrezione-i-e-nuova-rubrica-rompere-le-righe/; https://ilrovescio.info/2022/01/26/apocalisse-o-insurrezione-ii/; https://ilrovescio.info/2022/03/01/8513/; https://https://ilrovescio.info/2022/04/04/apocalisse-o-insurrezione-iv/). Un titolo sempre meno metaforico. Solo il crollo del fronte grazie alle diserzioni e al conflitto sociale può salvare la popolazione ucraina da ulteriore morte e distruzione. Vista la tendenza strutturale alla guerra che caratterizza la fase di scontro tra i complessi scientifico-militar-industriali dei diversi blocchi capitalistici, de nobis fabula narratur.

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La corsa verso il baratro. L’estate sul fronte orientale

Ammettere l’inevitabilità della guerra sociale significa prepararsi ad essa, fare in modo che si concretizzino le condizioni del suo materializzarsi (Alfredo M. Bonanno)

Nonostante le crescenti difficoltà nel contenere l’avanzata dell’esercito russo nelle regioni di Kharkiv, Donetsk, Lugansk e Zaporizhia, le forze armate ucraine hanno lanciato il 6 agosto un attacco al territorio russo penetrando nella regione di Kursk. Un’offensiva condotta con reparti scelti tra le migliori unità meccanizzate e di fanteria, con supporto di droni e artiglieria e mezzi occidentali come i veicoli da combattimento ruotati “ Stryker” e cingolati “Bradley” statunitensi.

Nel complesso, l’esercito ucraino avrebbe messo in campo circa 3000 militari, assumendo il controllo di 11 villaggi di confine per un totale di 45 km quadrati di territorio.

Con l’esercito ucraino ci sarebbero anche “volontari” stranieri della “Legione internazionale” (fra i vari battaglioni nazionalisti e reazionari è presente anche il battaglione dichiaratamente neonazista “Azov”).

I canali Telegram russi mostrano diversi mezzi blindati e corazzati di tipo occidentale in dotazione agli ucraini distrutti in combattimento dopo che Mosca ha inviato sul campo unità aeree, di paracadutisti e di artiglieria.

Nonostante nei media degli Stati occidentali venga propagandata questa operazione militare come “un’offensiva dell’esercito ucraino” fino addirittura a paragonarla in maniera azzardata alle “Ardenne di Zelensky” (con riferimento all’ultima offensiva militare nazista sul fronte occidentale del dicembre ‘44), è chiaro che – sia per le forze militari impiegate dallo Stato ucraino (sicuramente d’élite, ma, vista la scarsa disponibilità della “carne da macello proletaria”, e vista l’instabilità sociale interna, molto limitate numericamente), sia per gli obiettivi limitati dell’attacco (qualche villaggio di confine) – non siamo assolutamente di fronte ad un’offensiva su larga scala, ma ad una situazione diversa che si pone ben altri traguardi da raggiungere. Proviamo a vedere questi punti, smascherando l’apparato propagandistico, per comprendere i movimenti dei nostri nemici di classe e degli Stati da entrambi i lati del fronte nella “guerra grande” anche sul fronte orientale e, di conseguenza, orientarci e capire le nostre possibilità e occasioni nella guerra sociale.

L’attacco dell’esercito ucraino alla regione di Kursk conferma la volontà del padronato e degli Stati occidentali di portare la guerra sul territorio russo. Uno dei principali obiettivi è di valore propagandistico e politico.

È quasi indubbio anche che lo Stato ucraino e alcuni Stati e fazioni delle borghesie dell’ÚE e degli USA puntino ad allargare il conflitto nei prossimi mesi, anche a fronte degli scontri interni fra interessi diversi nei padronati occidentali, e alle difficoltà crescenti che i capitalismi occidentali stanno incontrando nei conflitti con le classi dominanti avverse negli scacchieri mediorientale e africano.

Non è un caso che negli ultimi mesi il militarismo ucraino e occidentale abbia rivendicato di aver addestrato e armato miliziani tuareg (alleati di Al-Qaeda) che in Mali hanno attaccato truppe locali e i mercenari russi dell’“Africa corps” (ex “gruppo Wagner”).

Il tentativo di allargare il conflitto ha coinvolto nell’ultimo mese anche il territorio bielorusso, con l’obiettivo di trascinare direttamente sempre più in guerra se non l’intera NATO, quanto meno il militarismo degli Stati baltici e dello Stato polacco.

In sostanza, quello che è emerso sul fronte orientale in questi ultimi mesi di guerra, è la situazione sempre più complicata per gli Stati occidentali, con un nuovo impegnativo fronte da sostenere con sempre meno truppe (vista la strage di proletari in corso) e munizioni.

Come sostengono anche diversi analisti borghesi (da blogger militari ucraini, fino a quelli russi, passando per il “Wall Street Journal” e il “New York Times”), la “carne da macello proletaria” ucraina, le armi, le munizioni e le difese aeree messe in campo per attaccare la regione di Kursk sarebbero state più utili per puntellare le difese in quelle regioni dove l’esercito russo avanza progressivamente, e dove peraltro l’afflusso di truppe, mezzi e materiali è oggi facilitato dal completamento della nuova ferrovia Rostov-Mariupol che attraversa il Donbass costeggiando il mare d’Azov.

Logistica e infrastrutture di guerra in decisivo avanzamento, sia negli Stati UE, che nello Stato russo.

Le contraddizioni fra Stati e capitalismi UE sono state messe nuovamente a nudo dall’operazione militare dell’esercito ucraino, ricordandoci ancora che le classi dominanti e gli Stati, seppur schierati dalla stessa linea del fronte, non sono blocchi monolitici.

In questo caso il Pentagono e l’UE hanno sostenuto l‘attacco al territorio russo pur con qualche sfumatura diversa. Il portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha detto che gli USA non sostengono attacchi a lungo raggio in territorio russo, mentre l’UE ha definito legittima l‘operazione militare.

Sicuramente non è casuale che l’obiettivo in realtà prioritario per i generali ucraini sia stato il controllo della stazione per la misurazione del gas di Sudzha, situata a circa 8 km all’interno del territorio russo. Questa è l’ultimo centro attivo per il trasferimento del gas naturale russo che continua a giungere in Europa al ritmo quotidiano di circa 38/43 milioni di metri cubi.

Un flusso destinato con ogni probabilità a interrompersi a fine anno quando Kiev ha già annunciato che non rinnoverà gli accordi con Gazprom, dal momento che, nell’ultimo anno, la borghesia e lo Stato russi sono tornati ad essere i principali fornitori di gas all’Europa, scavalcando gli Stati Uniti.

Dall’inizio dell’attacco, il prezzo del gas è tornato sopra i 40 euro per megawattora come non accadeva da inizio dicembre dello scorso anno. Il rialzo del prezzo del gas nel TTF, il contratto di riferimento del metano ad Amsterdam, era iniziato già da luglio e pare destinato a continuare a crescere in vista del blocco di fine anno delle forniture russe attraverso l‘Ucraina.

È ovvio che i costi determinati dal blocco di queste forniture verranno scaricati sulla nostra classe sociale alle nostre apparentemente pacificate latitudini a partire da questo inverno, in una nuova accelerazione del caro-vita, che è possibile si sommerà ad un aumento dei costi di prodotti di molteplice natura, conseguentemente alla crescita dei costi delle assicurazioni navali stipulate dalle grandi famiglie di armatori internazionali per la circumnavigazione dell’Africa durante i primi episodi della “guerra grande” nel mar Rosso di quest’anno.

Il fronte interno della guerra

Con la decretazione del “regime di operazioni antiterrorismo” da parte dello Stato russo nelle regioni di Belgorod, Kursk,e Bryansk dal 9 agosto scorso, vengono introdotte “restrizioni al traffico di veicoli e pedoni su strade e vie” e “restrizioni all’uso dei mezzi di comunicazione”, così come avviene per il versante appartenente allo Stato ucraino.

Queste sono misure sempre più diffuse affinché i padroni e i privilegiati di entrambi gli schieramenti riescano ad affrontare la conflittualità sociale (sempre più dirompente dal lato ucraino e non del tutto congelata da quello russo).

L’aumento degli sfruttati che disertano dal fronte russo (indicativamente 22.000 persone dall’inizio del conflitto), come per quanto riguarda quello ucraino (sono almeno 800.000 i “renitenti alla leva” che si nascondono per non farsi arruolare secondo le stime del presidente della commissione affari economici del parlamento ucraino, Dmytro Natalukha), e 63.000 sono le diserzioni registrate dalla magistratura ucraina dall’inizio della guerra, quasi la metà solo nei primi 7 mesi del 2024, ma i numeri reali potrebbero essere molto più alti.

In generale, è sempre più vasto il fenomeno di proletari che tentano di sottrarsi all’arruolamento, appaltato dallo Stato ucraino ad agenzie private incaricate di una vera e propria caccia ai renitenti alla leva.

Nel solo oblast di Frankovsk, nell’Ucraina occidentale, si sono rifugiati 40.000 renitenti alla leva, che non si sono presentati all’ufficio di registrazione e arruolamento militare (TCC) e sono perciò ricercati.

Secondo recenti indagini dell’Istituto di psicologia sociale e politica dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina, ben il 54% degli ucraini sono “pronti a capire” i renitenti alla leva. La necessità continua di carne da cannone proletaria da gettare nel tritacarne della guerra si traduce in nuovi disegni di legge per abbassare l’età di leva da 25 a 18 anni. Il “privilegio” dell’arruolamento spetterà rigorosamente ai proletari (così come nelle proposte di legge per reintrodurre la leva negli Stati europei), e tentativi di arruolamento si stanno facendo anche con studenti africani con il ricatto dei documenti.

La nuova legislazione del lavoro, già pesantemente inasprita con la scusa dell’inizio del conflitto, oltre a vietare la possibilità di scioperare (come avvenuto anche in Europa occidentale, ad esempio in Portogallo, durante i primi momenti dell’epidemia di Covid) legalizza sine tempore la giornata lavorativa di 12 ore.

Nonostante la tragicità, i dolori, e le sofferenze immense in cui è trascinata la nostra classe sociale in una situazione di guerra, la buona notizia è che, grazie ai disertori di entrambi i fronti, alla situazione sociale ucraina sempre più in sfacelo e a qualche crepa anche nell’ordine russo, si possa interrompere questa corsa verso il baratro in cui ci stanno trascinando gli Stati e le classi privilegiate.

Augurandoci e lavorando affinché l’esempio e le pratiche di questi oppressi, uniti alla resistenza del popolo-classe palestinese così come delle lotte e delle insurrezioni negli ultimi anni in più continenti, possano essere scintilla e volano anche nelle nostre (all’apparenza) sonnacchiose latitudini, dove la guerra da anni si manifesta con l’inasprimento della repressione contro le classi proletarie (ad esempio in Italia, laboratorio della repressione dell’UE, con l’iter per l’approvazione del DDL 1660), con un caro-vita sempre più insostenibile, con un’economia di guerra e un divenire-macchina del mondo tramite lo sviluppo dell’apparato tecno-scientifico e delle nuove tecnologie come l’IA che puntano ad imprigionare la nostra vita e quella di ogni specie vivente nelle gabbie cibernetiche.

Dinnanzi alla guerra totale soltanto un movimento antiautoritario e rivoluzionario di classe, che unisca da subito nei vari territori a livello locale le lotte e le pratiche di sabotaggio di questo mondo con le forme materiali autorganizzate del vivere e dell’abitare, assieme ad un orizzonte comune e ad una cosmovisione altra, può concepire, pensare e preparare l’insurrezione e l’autogestione generalizzata. Unica possibilità per la sopravvivenza del Pianeta e di chi, come noi, lo abita.

La scatola degli attrezzi, sia concettuali che pratici, dalla quale possiamo attingere è nell’esperienza storica e di vita della nostra classe.

Davanti ancora una volta alla sopraffazione, alla guerra e allo sterminio contro il vivente e le classi sfruttate, la negazione della guerra implica quella dello Stato e del capitale che ne sono gli artefici.