Apocalisse o insurrezione (IV)

Contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale” (L. Galleani).

Non aderire e sabotare (Spazio, economia di guerra, riarmo)

Il riarmo tedesco e la “bussola strategica militare”

Nulla di nuovo sul fronte orientale… questa parrebbe ormai la sintesi crudele e assurda che viene fatta dalla propaganda di guerra nelle ultime settimane. Il conflitto sembrerebbe volgere ad una situazione più simile ad una guerra di posizione, mentre all’orizzonte inizia a profilarsi la possibilità di uno scenario di spartizione del territorio e delle popolazioni che abitano l’Ucraina fra il tallone di ferro dei capitalismi occidentali da un lato e quello della borghesia russa dall’altro. In mezzo e a pagarne il terribile prezzo, come sempre, la nostra classe.

L’elemento più significativo per chiunque, alle nostre latitudini, cerchi di riaffermare con forza una posizione teorica e pratica coerentemente internazionalista, è rappresentato da ciò che sta avvenendo all’interno delle compagini del padronato e del militarismo di casa nostra. Riarmo, preparazione ad una guerra “ad alta intensità”, economia di guerra e costante impoverimento del proletariato. Questo è quello che le nostre classi privilegiate e gli Stati europei stanno mettendo in campo.

L’annuncio al mondo del 27 febbraio scorso da parte del cancelliere tedesco socialdemocratico Scholz sul riarmo dello Stato e del militarismo in salsa prussiana è uno di quelli che segnano uno spartiacque sulla scena della storia. Nulla sarà più come prima. Il padronato tedesco, uno dei più forti a livello mondiale, dopo essere uscito sconfitto nei due precedenti macelli mondiali dallo scontro con le altre borghesie, decide ufficialmente di riarmarsi. A dichiararlo e a fare il lavoro “di sinistra” del capitale e dello Stato alemanno è un cancelliere socialdemocratico, con l’appoggio del partito dei Verdi. Semplicemente “Abili e arruolati”. Immediata l’analogia con alcune delle pagine più brutte e crudeli del movimento operaio, quella del 1914, con il ruolo attivo giocato dai socialdemocratici nel sacrificare davanti ai supremi interessi borghesi e nazionalisti le sfruttate e gli sfruttati. Per terribile e nazionalista Weltanshaung brilla una delle frasi del discorso del cancelliere: “Siamo dalla parte giusta della storia”.

Berlino ha deciso di stanziare 100 miliardi di euro nelle proprie forze armate, e di assicurare per il fututo più del 2% del PIL per la guerra.

Sul piano dei capitalismi europei, l’iniziativa tedesca si esplica nell’approvazione della “Bussola strategica militare”. Come e più celermente di quanto avvenuto grazie all’epidemia del Covid, la guerra in corso sta accelerando in modo impressionante le dinamiche del capitale e degli Stati. Anche per l’UE, ovvero per il compromesso storico del capitale franco-tedesco, come per i processi di costruzione di ogni Stato, alla moneta ora sta seguendo necessariamente la spada.

Maxi-investimenti nel settore “duale” (leggi: militare), istituzione di una forza rapida di intervento militare. Il consiglio dell’UE ha formalmente approvato la “bussola strategica”, strumento che detta le linee per una difesa comune per il prossimo decennio. Commenta con un agghiacciante “Se non ora, quando?” l’alto rappresentante dell’UE per la politica estera, Borrel. Lo strumento del neonato militarismo unitario europeo prevede, tra l’altro, l’istituzione di una forza di schieramento rapido fino a 5000 soldati e 200 esperti in missioni di “politica di difesa e di sicurezza comune”.

Il riarmo degli Stati europei, sempre più coordinato a livello centrale e già tratteggiato nel documento Next generation EU, si dipanerà in particolar modo nel settore spaziale e aeronautico, sia come investimenti economici, sia come mobilitazione del settore della ricerca, sia come importanza per le guerre attuali e future (come già il conflitto in Ucraina sta dimostrando).

Guerre spaziali e guerre cibernetiche, joint apostles del XXI secolo

Come emerge dalle operazioni militari in Ucraina, grande importanza assumono la ricognizione e l’acquisizione degli obiettivi grazie all’utilizzo di droni e di satelliti.

Esempio significativo: i satelliti “Starlink” di Musk stanno guidando gli attacchi dei droni “suicidi” contro le colonne corazzate e meccanizzate dell’esercito russo. L’accesso al sistema può avvenire attraverso semplici computer portatili. La costellazione dei satelliti è utilizzata a livello duale, sia per garantire la connettività, sia per svolgere le operazioni belliche.

Vediamo ora brevemente quanto sia importante per gli analisti del dominio globale il controllo e lo sviluppo di questo settore.

Lo spazio viene da lorsignori così suddiviso: primo spazio, ovvero, come già scrivevamo nell’opuscolo Dietro le quinte (scaricabile qui: ), la prima zona circumterrestre; macrosfera, espansione in alto della terra, trampolino verso il cosmo, ma innanzitutto – per i generali – perno per controllare il nostro pianeta.

Nella prima parte di quest’area, dalla superficie del pianeta alla linea di Karman (frontiera convenzionale fra l’atmosfera e lo spazio stabilita a 100 km di altezza), si materializza lo spettro dei nuovi missili ipersonici a testata nucleare in possesso di tutti i capitalismi più influenti e potenti a livello mondiale. Da questa fascia fino all’incirca a 36000 km di altezza troviamo il “Milspace”, ovvero la parte più congestionata ed inquinata, cioè l’insieme delle orbite basse fino ai 2000 km di altezza, dove insistono i satelliti di intelligence, di sorveglianza e di ricognizione. Attorno ai 20000 km di altezza troviamo i satelliti dei vari sistemi di posizionamento globale, “Il sistema GPS” statunitense, quello “Glonass” del capitale russo, il “Beidou” mandarino. L’orbita geostazionaria si situa a 36000 km di altezza. Qui il periodo di rivoluzione del satellite che la percorre coincide con il periodo di rotazione della Terra. Orbita contesa per i satelliti spia e per quelli delle telecomunicazioni. Oltre a tutto questo, la Luna. Contesa fra capitalismo statunitense e cinese; obiettivo strategico del prossimissimo futuro sia per le risorse da estrarre (terre rare) che per essere utilizzata come piattaforma di vertice da cui dominare il pianeta.

Gli strateghi del dominio a stelle e strisce ricalcano le equazioni del potere spaziale sul potere marittimo. Elaborata sulla strategia del dominio dei mari elaborata dall’ammiraglio Alfred Thaye Mahan alla fine dell’800 e poi dall’ingegnere Cole, che nel 1964 postulò che nella geografia spaziale le rotte preferenziali da assicurare e da proteggere sono quelle tracciate dalle orbite di trasferimento alla Hohmann e dai punti di Lagrange, dove i campi gravitazionali di Terra e Luna si annullano reciprocamente. La competizione per l’accaparramento di queste posizioni è già aperta. I passatoi spaziali di Cole partono dalla Terra per arrivare alla Luna, a Marte e ai satelliti di Giove: Io, Ganimede, e gli oceani ghiacciati di Europa. Proseguendo su tale analogia, viene ovvio pensare ad un unico, vulnerabile “collo di bottiglia” da presidiare e da proteggere: il primo spazio circumterrestre, unica via per poter accedere allo spazio profondo.

Il precipitato strategico di tale ideologia sta, nel 2019, nella costituzione delle forze spaziali dello Stato nord-americano.

Come richiamavamo nel titolo di questo breve capitolo, nell’assolutismo spaziale si cela un paradosso: quanto più sviluppata e sofisticata è la dipendenza di una nazione dalle alte tecnologie, tanto più ampia è la superficie che essa espone agli attacchi del nemico. Ovvero, le guerre spaziali e le guerre cibernetiche sono, per citare Mahan, i joint apostles del XXI secolo, così come la marina militare e la flotta mercantile lo furono per il padronato americano alla fine del XIX secolo.

Per gli studiosi borghesi, però, è potenzialmente insostenibile l’analogia fra sea e space power. Secondo le loro stesse ammissioni, le enormi distanze incidono troppo sull’identità dell’“uomo spaziale”. Abbandonato nello spazio “come un cane ferito” (per citare l’astronauta USA Breen, che nel 1962 condusse un esperimento di isolamento in una capsula spaziale a terra per cinque mesi), il futuro colono spaziale potrebbe rivoltarsi contro il proprio padrone. Mutarsi da cittadino in pirata. Da qui, e anche per questo, i tentativi di sostituire l’astronauta con i robot e con l’“intelligenza artificiale”. Su questo aspetto mette in guardia la classe dirigente statunitense lo stesso Kissinger: “Un algoritmo conosce solo le sue istruzioni e i suoi obiettivi, non la morale né il dubbio”.

Nel 2019, come dicevamo, vengono costituite le space forces dello Stato statunitense, e viene riattivato lo space command, messo in pausa nel 2002. Lo space command è un comando combattente, che si occupa di operazioni sopra i 100 km; proteggendo i satelliti da collisioni e da attacchi, garantisce la funzionalità del sistema GPS, e controlla una ventina di radar e telescopi radunati nello space surveillance network con installazioni in Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Australia e alle isole Marshall. Come avversari attuali, il capitalismo cinese e quello russo. Il timore per i militaristi statunitensi (come per qualsiasi militarista) è quello di venire “accecati”. Cioè che, in caso di conflitto, vengano resi inutilizzabili i satelliti, per poi abbattere sulle flotte USA una pioggia di missili ipersonici. Ogni Stato di potenza significativa ha testato armi antisatellitari. Un satellite può essere messo fuori uso anche con armi ad energia diretta (laser), con la guerra elettronica (jamming e spoofing), senza contare l’arma “povera” ma efficace per eccellenza: quella cibernetica. Operatori militari russi e cinesi si sono già dimostrati in grado di intercettare un satellite, in caso di ruotarlo verso il Sole friggendone il sensore ottico.

Per le neonate space forces, invece, l’obiettivo è lo spostamento della prima linea difensiva dalle orbiti terrestri allo spazio cislunare. Stanno studiando inoltre un sistema di trasporti cislunari da realizzare nei prossimi 5/10 anni, per dotarsi di “hub” oltre le orbite geosincrone della Terra.

L’avvento dei missili ipersonici sta cambiando il modo di concepire un conflitto fra Stati. Ve ne sono di due tipi: o un gruppo di missili (prevalentemente a testata nucleare) che viene lanciato con un razzo vettore ad altissime altitudini fino al primo spazio per poi ricadere sulla superficie, oppure missili con un raggio d’azione più corto, che vengono lanciati da piattaforme convenzionali come aeroplani (il militarismo russo ne ha sperimentato uno in Ucraina). Questi missili hanno però una debolezza cruciale: la conoscenza approssimativa della posizione del bersaglio. Il vero problema, per gli analisti di morte, non è dunque l’esistenza di un missile ipersonico in sé, ma la ricognizione dallo spazio. L’arma ipersonica introduce dunque un tipo di combattimento radicalmente nuovo, in cui il controllo delle orbite basse della Terra determinerà il risultato dei conflitti.

Astrografia, race for space, “Artemis” e space economy

Il fattore più importante per capire la topografia spaziale è la gravità. Montagne e valli gravitazionali. I luoghi più utili come basi commerciali e strategiche nello spazio fra la Terra e la Luna sono, come già dicevamo, le anomalie gravitazionali note come punti di Lagrange. Cioè, osservando uno spazio in cui interagiscono due campi gravitazionali qualunque, vi sono 5 punti in cui un oggetto sarebbe stabile equilibrandosi fra le forze gravitazionali in gioco. Lo Stato cinese ha già occupato stabilmente uno di questi punti. Due sono già nelle mani dell’espansionismo statunitense. Finora, ad esempio, il lato più lontano della Luna è stato sempre al di fuori del contatto radio con la Terra. Adesso no. Intenzione dei padroni cinesi per il futuro prossimo a venire è quella di costruire un avamposto umano su una montagna presso il polo sud lunare, visto che il polo sud contiene la maggiore quantità di acqua congelata disponibile sul nostro satellite (fonte di energia e di ossigeno in loco), e di realizzare sulla cima delle montagne di questa area lunare una centrale di produzione di energia solare in grado di ricevere la luce continuativamente. La logica dell’astrografia unita all’astrostrategia è chiara: il dominio del nostro satellite naturale serve per devastarlo e saccheggiarlo delle materie prime necessarie allo sviluppo del modo di produzione del mondo digitale e delle nuove tecnologie. Ma anche e soprattutto per avere una postazione avanzata in grado di controllare il nostro pianeta nella “logica” di scontro fra capitalismi e Stati avversari.

La new space economy è una delle nuove frontiere di investimento e un nuovo territorio di colonizzazione da parte dei capitalismi mondiali. Simile come settore al cosiddetto capitalismo “verde”. La Camera di Commercio statunitense stima che nei prossimi venti anni questo settore a livello globale passerà come volume di affari dai quasi 400 miliardi di dollari annui attuali fino ad almeno 1500 miliardi. Questo ramo del capitale oggi è inondato di imprese che stanno abbattendo i costi di attività nei campi dell’osservazione terrestre, del rilevamento satellitare, nella fabbricazione e nella messa in orbita di apparati spaziali. Lo sviluppo del 5G e dell’“Internet delle cose” promette di portare la rete sui satelliti, i quali affiancheranno così negli anni a venire le dorsali sottomarine nel trasporto di enormi quantità di dati. Assistiamo al profilarsi di un nuovo apparato militar-industriale, nel quale la dualità è un tratto saliente delle tecnologie digitali, balistiche ed aerospaziali. È quella che nel capitalismo a stelle e strisce viene chiamata ora race for space.

In questo senso il programma “Artemis” viene considerato come quello di punta per il capitale. È un programma spaziale concepito dallo Stato USA con il concorso della borghesia australiana, brasiliana, canadese, sud coreana, degli emirati arabi, giapponese, italiana, lussemburghese, neozelandese, inglese e (non a caso) ucraina. Il suo obiettivo immediato è quello di portare l’uomo nella regione polare meridionale della Luna entro il 2025. Programma appaltato a “Space X” (la ditta del capitalista Elon Musk) per lo sviluppo e la realizzazione di due voli umani con equipaggio, mediante la navicella “Starship” che incorporerà le nuove tecnologie di rientro “asciutto” (cioè senza la perdita in mare di buonissima parte dell’equipaggiamento utilizzato) e di riuso dei vettori messi a punto dall’azienda con i lanci attuali dei razzi vettori della serie “Falcon”. Obiettivo sarà quello di estrarre i minerali lunari e di realizzare una stazione spaziale orbitante attorno al nostro satellite denominata “Lunar gateway”, con il compito di realizzare dunque anche interventi di presidio dell’orbita terrestre “da dietro”.

In aggiunta a tutto ciò, ad ottobre del 2020 la NASA ha assegnato all’azienda Nokia un appalto per la realizzazione di una rete 4G sulla Luna da realizzare entro la fine del 2022 (data che coinciderà con la prima missione della serie Artemis). La NASA collabora anche con “Moonlight”, iniziativa coadiuvata dall’Agenzia spaziale europea volta a costruire una costellazione di satelliti per la comunicazione e la navigazione nelle orbite lunari. La commissione per lo sviluppo e la realizzazione è nelle mani di Telespazio, joint-venture tra Leonardo (67%) e Thales (33%).

Il “capitalismo spaziale” nostrano e il riarmo dello Stato italiano

Il 15 dicembre 1964, un gruppo di ricercatori dell’università di Roma lanciava in orbita un satellite artificiale, il “San Marco 1”.

La borghesia italiana diventava così la terza al mondo dopo quella sovietica e statunitense, che avevano lanciato rispettivamente lo “Sputnik 1” nel 1957 e l’“Explorer” l’anno seguente.

Il dato storico è che le attività spaziali in Italia nacquero grazie a Luigi Broglio, scienziato, professore all’università La Sapienza, generale dell’aereonautica militare e padre del progetto “San Marco”. Quando nel febbraio 1947 a Parigi fu siglato il trattato di pace, alla borghesia italiana sconfitta vennero imposti ingenti impegni finanziari di risarcimento (ovviamente pagati dal proletariato), la cessione di territori, la riduzione delle forze armate e l’impossibilità di sviluppare una propria forza missilistica. Le clausole furono attenuate in conseguenza dell’entrata nella NATO del militarismo italiano. Fu questo a consentire di lanciare dalla Sardegna i primi razzi sonda “Nike”, comprati dagli USA, e poi di raggiungere lo spazio.

Nel 1961 lo Stato francese, tedesco e inglese crearono l’ELDO, un ente intergovernativo che doveva realizzare un razzo vettore per rendere le borghesie europee autonome e indipendenti nei programmi spaziali. Ma lo Stato italiano scelse di siglare nel 1962 un protocollo d’intesa con la NASA per lanciare i propri satelliti da razzi “Scout” forniti dagli americani ma gestiti poi da personale italiano.

Nello scontro fra capitalismi rivali, non pochi videro nel San Marco un ostacolo ai programmi della neocostituita Agenzia Spaziale Europea (ESA), che aveva inglobato l’Eldo.

Quando nel 1975 fu istituita l’ESA, il progetto San Marco viveva già da anni una sua crisi d’identità (lo studio, la progettazione e la realizzazione di un razzo vettore autoctono era stata bloccata, e solo ai nostri giorni è andata a termine con la creazione del razzo “Vega”). Il padronato italiano non poteva permettersi di aderire all’Agenzia europea (che tra i suoi obbiettivi aveva e ha lo sviluppo dei razzi vettori della serie “Ariane”), e mantenere allo stesso tempo il progetto San Marco.

Sin dal dopoguerra la rapida crescita del trasporto aereo e marittimo fece sì che i radar divenissero ben presto strumenti imprescindibili per il controllo del traffico sia civile sia militare. Così anche il padronato nostrano iniziò a sviluppare una competenza tecnologica nella radaristica.

Gli studi sui radar ad apertura sintetica avevano consentito all’industria di realizzare uno strumento, il Marsis, imbarcato sul satellite dell’ESA Mars Express per la mappatura della superficie del pianeta rosso. Fu così che prese corpo il progetto di una costellazione di satelliti per il monitoraggio del bacino del Mediterraneo. Il successo del Marsis diede all’industria la spinta per far approvare, con fondi dell’Agenzia Spaziale Italiana e del ministero della Difesa, la costruzione e il lancio dei primi 4 satelliti del programma duale Cosmo-Skymed. Dallo spazio, le piattaforme duali del militarismo italiano avrebbero osservato cambiamenti centimetrici, individuato e misurato oggetti, monitorato territori come i mezzi terrestri o marittimi (per sempio, i sottomarini in immersione nel Mediterraneo).

Oggi la sfida spaziale fra Stati e capitalismi rivali assume un ruolo centrale nella situazione geopolitica globale. La militarizzazione dello spazio è un fatto sempre più acclarato al punto che la NATO ha adottato nel giugno scorso una specifica risoluzione per includere l’orbita terrestre nel proprio dominio di operazioni.

A Bruxelles la strategia spaziale è nelle mani del commissario Thierry Breton – ex amministratore delegato di multinazionali e ministro dell’economia sotto la presidenza Chirac – a cui fa capo la direzione generale per il mercato interno, la Difesa, l’industria e lo spazio.

E poi c’è il tema degli spazioporti: dalla Svezia al Portogallo, dal nord della Norvegia al Regno Unito, si contano finora una decina di progetti di basi di lancio per ospitare nuovi vettori e costituire così una vera e propria infrastruttura per il futuro trasporto logistico di merci e persone, come l’attuale sistema aereoportuale.

Per oltre tre decenni l’ESA ha guidato i programmi spaziali, ma ora la Commissione Europea, dopo aver preso in mano la strategia politica, ne sta assumendo il controllo operativo al punto di istituire una sua agenzia spaziale, l’EUSPA, che opererà le sue scelte sulla base della competitività industriale dell’offerta (fusioni fra aziende e blocchi di aziende del settore e non solo).

Nel PNRR nostrano lo spazio è inserito a pieno titolo come uno dei settori chiave per la trasformazione e l’evoluzione del modo di produzione capitalistico con stanziamenti proposti di circa 2,3 miliardi di euro; il militarismo italiano ha recentemente costituito un “Comando delle operazioni spaziali”.

La firma del trattato del Quirinale evidenzia che le industrie spaziali di Stato francesi e italiane sono strettamente interconnesse.

Le attività del comparto sono ampiamente distribuite sul suolo nazionale. È possibile identificare aree di maggiore concentrazione attorno a Roma, Milano, Torino, Napoli e Bari. Vi sono dodici distretti tecnologici aerospaziali costituiti su stimolo delle Regioni. Dal punto di vista qualitativo, il militarismo e la borghesia nazionale sono in grado di coprire tutta la filiera produttiva, e anche di presidiare tutti i domini specifici: la scienza, l’esplorazione umana e robotica, l’accesso allo spazio, le applicazioni legate all’osservazione della Terra, la navigazione satellitare e le telecomunicazioni.

Nella componente manifatturiera, le competenze di Avio presso il sito di Colleferro rappresentano un contributo cruciale all’autonomia dei paesi membri dell’ESA nell’accesso allo spazio. A Torino (Thales Alenia Space Italia) è già in produzione il principale modulo abitativo del “Gateway”, la futura stazione in orbita lunare. Infine nella parte manifatturiera, vicino a Milano, Leonardo produce ad esempio bracci e trivelle per perforare il suolo marziano e per la costruzione di infrastrutture a terra di rilevanza internazionale per le operazioni e la ricezione dei dati e dei segnali spaziali. Le industrie del settore sono però in grande maggioranza (83%) di piccola e media dimensione. Un sottoinsieme significativo lavora sempre più a stretto contatto con l’ambiente della ricerca.

Dal “green pass” all’economia di guerra: carovita, riarmo, fine della “società del consumo”

Gestione dell’epidemia di Covid-19 (e non, come detto dai media, pan-demia: pan- démos, “tutto il popolo”, ciò che implica di già un clima di terrore e di unità nazionale attorno al proprio Stato e alle proprie classi dominanti) e guerra. Unità nazionale ed Union Sacrée. Quali gli effetti della velocizzazione di dinamiche già presenti nel capitalismo e negli Stati attuali, in particolar modo su una nuova fase del ciclo capitalistico e sul riarmo globale?

E soprattutto per importanza per noi sfruttate e sfruttati: la gestione dell’epidemia (così come quella di una guerra di immani proporzioni) da parte del nostro nemico di classe, può contribuire in maniera contradditoria non solo a sviluppare ma anche in alcuni casi a decomporre in alcune società il senso di appartenenza su cui poggia il dominio? Aspetto, questo, fondamentale per la nostra capacità di pensare e cogliere occasioni pratiche di intervento. E, alla base di tutto, la seguente domanda: può la loro stessa narrazione spingere alcune classi dirigenti al di fuori della capacità di lettura storica degli avvenimenti e delle dinamiche in ballo a livello mondiale, in un metamondo virtuale, causando così un’incapacità di base di guidare strategicamente il loro dominio di classe?

Ogni apparato discorsivo, con l’immaginario che esso crea, è frutto delle dinamiche di produzione e di dominio della classe dominante che lo costruisce. Il virus, ad esempio, ripete il modo di agire della società di cose e autoritaria che aggredisce: conquista un territorio, è alimentato e sfrutta le sue risorse, lo soffoca e lo usa. Poi ne attacca un altro. Il mondo della merce e la descrizione del virus che lo corrode si rispecchiano l’uno nell’altro.

A livello di storia del dominio, cioè delle storie della miseria e della schiavitù per noi sfruttate e sfruttati, stiamo vivendo il declino lento su scala globale dello Stato e della borghesia statunitensi.

L’espressione ideologica di tale padronato in declino sta inclinando in modo parziale e contradditorio verso una narrazione post-storica, che non solo (ovviamente) irradierà le classi subalterne, ma le stesse classi dominanti. Un esempio sta nel progetto del “Metaverso” di Zuckenberg, il fondatore di Facebook, ovvero di uno spazio-tempo condiviso in tre dimensioni cui si accederà attraverso il proprio avatar. 5/10 anni il tempo per vararlo. Non è solo un progetto di dominio. È anche un progetto geopolitico per la stessa borghesia nord-americana.

Inflazione, energia, protezionismi. Questi sono stati gli effetti dell’Emergenza Covid sulle dinamiche (già in atto dalla crisi economica del 2008) che stanno portando i capitalismi globali ad una nuova fase protezionistica. La Brexit e la guerra (per il momento) commerciale sino-statunitense sono stati chiari emblemi di questo nuovo corso del capitalismo, associato alla riduzione del flusso dei capitali e dal declino degli scambi a livello internazionale negli ultimi quattordici anni. La ripresa economica del 2021 ha generato un’impennata inattesa dei consumi, scatenando sia la crisi delle filiere di approvvigionamento sia del settore energetico. Le restrizioni del 2020 sui viaggi hanno privato l’industria marittima di manodopera a basso costo. I già elevati costi di spedizione sono aumentati di quasi dieci volte rispetto all’anno precedente. Le interruzioni nelle forniture hanno generato una scarsità di beni che ha determinato a sua volta un aumento generalizzato dei prezzi. Nello Stato tedesco, il maggiore esportatore d’Europa, il 19% delle industrie manifatturiere ha dichiarato di voler rimpatriare la propria produzione. Anche da queste dinamiche delle borghesie nazionali europee emerge la necessità, contenuta in ogni Recovey fund di lorsignori, di arrivare ad una nuova stratificazione di classe per le sfruttate e gli sfruttati, in modo da avere ceto medio e manodopera a costo zero e in condizione più ricattata possibile.

Economia di guerra: anche nello Stato francese i confinamenti e l’epidemia hanno fatto emergere il tema della “reindustrializzazione” a braccetto con la “sovranità nazionale”.

La progressiva adozione di modelli produttivi nazionali è conseguenza e insieme causa dell’aumento dei prezzi agricoli e delle materie prime, determinato prima dall’effetto dell’epidemia e poi dalla guerra attualmente in corso in territorio ucraino. Già nel 2021 i fertilizzanti erano rincarati del 17%; le materie prime agricole del 23%; metalli e minerali del 79%.

Il clima di “austerità morale” già sperimentato dai padronati durante la gestione dell’epidemia nei confronti delle classi sfruttate, e di tramonto della società dei consumi dopo decenni, ha fatto da volano all’attuale fase del capitale appena spalancata: sarà il riarmo per le guerre e la costruzione di generi di lusso a spingere lo sviluppo capitalistico nei prossimi decenni. L’impoverimento di ulteriori ed innumerevoli strati del proletariato ne è il corollario necessario. Il carovita e la miseria saranno le situazioni di normalità per la nostra classe anche nelle nostre (attualmente) assopite latitudini.

Dobbiamo prepararci all’economia di guerra”, ha sostenuto Draghi in una dichiarazione del 12 marzo scorso, al margine del Consiglio europeo di Versailles sulla guerra in Ucraina.

Già mentre infuriava l’epidemia di Covid, il militarismo italiano si preparava a difendere l’interesse nazionale anche senza la NATO. L’aver avuto in mano la possibilità di gestire la campagna vaccinale e gli interventi sul “fronte interno”, ha dato la possibilità ai vertici militari di far sentire il proprio peso nel nuovo corso del capitalismo. Una visione sempre più militaresca della gestione della società è stata resa esplicita dalle recenti audizioni parlamentari del ministro della difesa Guerini: anche l’industria aerospaziale e dei nuovi materiali d’armamento devono dire la propria.

Riposizionamento attivo sulla scena internazionale”, “potenziamento del pilastro europeo dell’Alleanza atlantica”, “piani complanari fra gli obiettivi internazionali e quelli nazionali”. L’industria viene definita come “parte della sovranità nazionale”. 115 programmi d’investimento attivati dal 2021 ad oggi nel documento programmatico della Difesa. È incontrovertibile la recente accelerazione del ritmo al quale il governo sta presentando alle Commissioni Difesa dei 2 rami del Parlamento schemi di decreti ministeriali che concernono l’avvio di programmi pluriennali di acquisizione di armamenti: dal drone europeo “Male”, da sviluppare nei prossimi 15 anni con Francia, Germania e Spagna, ai primi droni “suicidi” o a “munizioni orbitanti”, fino al caccia di sesta generazione “Tempest”.

La “ricreazione” è finita.

Davanti a tutto questo, è necessario ribadire con forza la nostra posizione di classe e internazionalista: trasformare la guerra fra padroni in guerra contro i padroni.