Luci da dietro la scena (XX) – Police bombing, ovvero «l’aviatore come poliziotto, la bomba come manganello»
[…] i primi bombardamenti non sono stati in Europa, bensì nel deserto libico, per poi colpire il Medio Oriente, la regione pakistana del Waziristan, l’Africa, le Filippine e il Nicaragua. Prima di toccare il centro del sistema-mondo, i bombardamenti sono stati collaudati e perfezionati alle sue periferie; prima che le città europee venissero trasformate in campi di rovine, la guerra totale ha avuto una matrice coloniale.
Benché la distruzione sistematica delle risorse socio-economiche entri a far parte del corpo delle dottrine militari soltanto negli anni venti, essa è già virtualmente presente nel bombradamento di Ain Zara [una piccola oasi a una quindicina di chilometri da Tripoli, i cui abitanti vengono bombardati dall’aviatore italiano Giulio Cavotti il 1° novembre 1911, «uno sconvolgimento dal cielo di cui solo oggi riusciamo a misurare la portata»]. La guerra aerea conferma la tesi di Hannah Arendt secondo cui il colonialismo è il modello dei totalitarismi, e soprattutto della totalizzazione della guerra. […] Inaugurati ben prima della seconda guerra mondiale, i bombardamenti aerei fanno parte dell’arsenale impiegato da tutte le potenze contro i paesi colonizzati. Dopo la grande guerra, l’armata aerea britannica acquista un ruolo di primo piano in alternativa alle spedizioni punitive nelle colonie. A costi inferiori, la Royal Air Force (la RAF) garantisce il medesimo servizio delle forze di terra, ovvero reprimere le rivolte anticoloniali che scuotono le colonie in quel periodo. Nasce così il concetto di police bombing. Volto a ristabilire l’ordine, il bombardamento aereo non è più una pratica di guerra, ma di «polizia», anzi di polizia imperiale, come un modo per governare il mondo. L’ordine che impone non è quello di una sovranità politica particolare, ma di un intero sistema-mondo. […]
Il police bombing viene impiegato per la prima volta in Iraq. Inizialmente si opta per il metodo della caccia all’uomo, che prevede di mitragliare via aerea i combattenti contro il colonialismo. Ma poiché i ribelli spesso riescono a nascondersi, gli aviatori, frustrati, puntano le mitragliatrici sul bestiame. Ed è così che si arriva a un’idea brillante: invece di dare la caccia ai ribelli, colpiranno le loro risorse; se non riusciranno a ucciderli, li faranno morire in qualche altro modo, di fame, di sete o di malattia. La diagnostica strategica non è molto diversa da quella applicata in Europa, dove, invece di attaccare direttamente il nemico, si preferisce accanirsi sulle fonti della sua forza. L’approccio, in entrambi i casi, è indiretto. Se il blocco navale ha svolto un ruolo importante nel crollo degli Imperi centrali durante la prima guerra mondiale, la RAF inventa un concetto analogo: il «blocco aereo». Le operazioni iniziano con bombardamenti che si potraggono per giorni. L’intensità degli attacchi in seguito diminuisce, ma rimane sufficientemente alta da tenere le tribù insorte lontane dai rispettivi villaggi, campi, pascoli e fonti idriche. Obiettivo dei bombardamenti è piegare la vita sociale ed economica delle popolazioni ribelli per «prosciugare» l’ambiente nel quale i rivoltosi portano avanti la loro lotta.
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I popoli colonizzati sono il bersaglio dei primi attacchi aerei, che utilizzano bombe, mitragliatrici e gas tossici. La mira è puntata non tanto contro gli insorti, quanto contro popolazioni intere, contro tutta una struttura sociale ed economica. In tal senso queste pratiche riflettono l’approccio dominante in materia di «piccola guerra», che al contrario della guerra «vera», nella quel si contrappongono due Stati nazionali, non ambisce a sconfiggere un esercito, ma a terrorizzare una popolazione civile. Da questo punto di vista l’aviazione coloniale non fa che portare avanti pratiche già esistenti, che consistono nell’attaccare i civili per punirli collettivamente, o addirittura sterminarli. Ma con l’avvento dell’aviazione, i princìpi della «piccola guerra» possono essere applicati alla «grande guerra». Non si tratta più di colpire gli eserciti nemici, ma i popoli, proprio come si era soliti fare nelle colonie.
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Le periferie operaie, più densamente urbanizzate rispetto ai quartieri borghesi e assai meno protette contro il fuoco, si prestano in maniera particolare alle tattiche incendiarie messe in atto durante la seconda guerra mondiale. Ma al di là di queste considerazioni di natura tecnica, alla base della strategia aerea vi era l’idea che la classe operaia, segmento decisivo per lo sforzo bellico, sia anche la componente meno integrata dal punto di vista politico. Dietro all’intenzione di bruciare una città si nasconde quindi una prospettiva «rivoluzionaria», il cui scopo ultimo è provocare una rivolta operaia contro il governo in carica. Se la guerra è diventata affare del «popolo», accanirsi sugli operai rivela l’ambivalenza costitutiva di tale «popolo». Chi viene preso di mira in realtà? Il sovrano collettivo, quel corpo politico unificato che è il soggetto del politico? O, al contrario, il «popolo basso», le frange della popolazione che non possono essere altro che l’oggetto della politica?
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Gli strateghi sono ben consapevoli di una tale dualità. È per questo che le loro dottrine sull’offensiva aerea si accompagnano sistematicamente a una strategia difensiva. Se sul piamo dell’offesa si tratta di spezzare l’unità di popolo e Stato, la politica di difesa antiaerea prevede la trasformazione del «volgo» in corpo politico unificato. Un’intera serie di misure viene impiegata in Europa per rafforzare la coesione interna dei popoli nazionalizzati. Il rifugio antiaereo diventa il luogo in cui viene elaborata materialmente l’unità di popolo e Stato, ma il sistema sociale del bunker non può funzionare senza un’armatura politica e sociale destinata a disciplinare, educare e quindi integrare la popolazione in un costrutto politico nazionalizzato.
Fra le misure impiegate figura in primo luogo il welfare, la presa in carico della vita e del benessere del popolo da parte di uno Stato sociale e democratico. La simmetrica tra vita e morte, tra Stato sociale e bombardamento aereo, tra biopolitica e «tanatopolitica» ha trovato perfetta espressione nel Rosinenbomber, «il bombardiere di uvetta» esposto nel vecchio aeroporto berlinese di Tempelhof per commemorare il ponte aereo del 1948-1949. Berlino ovest, che a quei tempi i bombardamenti angloamericani hanno trasformato in un campo di macerie, riceve per un anno approvvigionamenti via aerea. I piloti alleati, considerai fino al 1945 «terroristi dell’aria», tre anni dopo vengono celebrati come salvatori e i loro aerei sono soprannominati candy bombers. L’alternativa è portare la morte lanciando bombe incendiarie e portare la vita trasportando cibo e combustibile; oppure, il che è poi lo stesso, statizzare un popolo o annullarlo facendone un «volgo».
Questo instabile dualismo tra popolo e Stato non si ritrova nei bombardamenti coloniali, che sono scenari più chiari e al contempo più «moderni» della distruzione in massa di alcune città europee. Pià chiari perché, semplicemente, non esiste nelle colonie un apparato statale da colpire. Ma soprattutto più «moderni» nella misura in cui la lotta contro i gruppi di insorti e il loro ambiente sociale, economico ed ecologico si collega direttamente alla configurazione mondiale senza la mediazione dello Stato nazionale. […] già nel 1864, Victor Hugo esprime la speranza che la potenza aerea possa portare alla pace universale, mentre lo scrittore britannico H. G. Wells, socialista della Fabian Society e membro della Ligue for Peace durante la prima guerra mondiale, invoca uno «Stato mondiale» in grado di intervenire in tutto il mondo in caso di evidenti disordini. Più sorprendente, forse, il generale italiano Giulio Douhet; non accontentandosi di proporre attacchi aerei contro le popolazioni civili a suon di bombe e gas tossici, difende contemporaneamente un caposaldo del pacifismo, ossia di un «tribunale internazionale» che possa impedire la guerra facendo rispettare le proprie decisione con l’ausilio delle forze aeree.
«L’aviatore come poliziotto, la bomba come manganello»: è su questo che si incontrano la pratica coloniale del police bombing e il cosmopolitismo umanista.
(Brani tratti da Thomas Hippler. Il governo del cielo. Storia globale dei bombardamenti aerei, Bollati Boringhieri, Torino, 2023)