Abbattere le frontiere al Brennero e ovunque. Un opuscolo (it, en, fr, de)

Segnaliamo l’uscita di questo opuscolo che raccoglie testi e materiali sul corteo al Brennero del 2016 e sul successivo processo.

Qui il pdf:

Abbattere-le-frontiere-ovunque

Qui si possono trovare le traduzioni in inglese, francese e tedesco:

https://abbatterelefrontiere.blogspot.com/2024/01/materiali-sul-corteo-del-brennero.html

Introduzione

Raccogliamo, in questo opuscolo, alcuni testi e materiali che hanno preparato, accompagnato e seguìto la manifestazione svoltasi al Brennero il 7 maggio 2016 contro la costruzione di un muro per bloccare gli emigranti al confine tra Italia ed Austria.

Lo scopo di questa raccolta non è solo quello di ribadire e rivendicare il senso di quel percorso di lotta di fronte alla repressione sotto cui lo Stato vorrebbe cancellarlo, ma di metterlo in relazione e in prospettiva con quello che è accaduto nel mondo in questi sette anni.

Il nesso frontiere-guerra ha perso nel frattempo ogni carattere allusivo. La guerra non è oggi una questione tra le altre, ma l’orizzonte storico-sociale in cui tutto il resto si colloca. La militarizzazione del linguaggio che ha accompagnato e giustificato l’Emergenza Covid – dal coprifuoco all’accusa di renitenza e di diserzione rivolta ai dissidenti, per arrivare a un generale della NATO chiamato a gestire la campagna “militar-vaccinale” – ha preceduto la propaganda di guerra con cui hanno voluto arruolarci nel conflitto tra NATO e Federazione Russa che ancora si sta consumando in Ucraina, per raggiungere il suo apice nel sostegno pieno ed esplicito al genocidio che lo Stato d’Israele sta compiendo contro la popolazione palestinese: più di due milioni di persone chiuse in un carcere a cielo aperto tra due frontiere, sotto una pioggia di bombe a guida algoritmica, con migliaia di morti e decine di migliaia di feriti che gli ospedali distrutti non possono curare, una massa di untermenschen che l’unica democrazia del Medio Oriente vorrebbe deportare nel deserto del Sinai. Davvero, come scrivevamo sette anni fa, «le barriere sono l’emblema del nostro presente». Mentre l’umanità fuggiasca dalle guerre e dalla miseria muore di sete nel Sahel, affoga nel Mediterraneo o congela sui passi di montagna, e i suoi sopravvissuti finiscono nei campi di lavoro o nei lager della democrazia, la frontiera è la «soluzione tecnica» – come disse con brutale verità il capo della polizia austriaca nell’annunciare la costruzione della barriera al Brennero – che attraversa sempre di più la stessa società democratica. Quella in costruzione – tra polizia in uniforme e polizia predittiva, tra check-point militari e muri elettronici, tra smart cities e QR code con cui dimostrare il proprio diritto a stare in questo o in quel posto – è una società dei varchi1. In tal senso, la violenza che il colonialismo d’insediamento israeliano esercita sul popolo-classe palestinese non è un residuo del passato, bensì una tendenza mondiale in atto. Non solo perché è sulle vite e sui corpi dei palestinesi che si sperimentano tutte quelle armi e tecnologie che poi vengono vendute a eserciti e polizie del mondo intero, ma perché la ferocia della valorizzazione (e della competizione) capitalistica produce un’umanità di scarto soggetta a una «accumulazione senza riproduzione», cioè una materia prima in eccesso da confinare e gestire con modi a metà tra la tecnica concentrazionaria e la cooperazione «umanitaria» (con la seconda che può trasformarsi nella prima attraverso una «semplice mossa nel quadrante dei comandi»). Ogni varco ha il suo “palestinese”. Non solo perché la materialità rimossa del mondo digitale ha bisogno di schiavi nelle miniere di coltan o di litio, e di interi territori tossici e radioattivi, ma perché l’accesso alle città smart sarà sempre più condizionato e revocabile. Se il ministro della Difesa israeliano ha definito i gazawi «animali dalle sembianze umane», e il vicesindaco di Gerusalemme ha aggiunto che «non sono esseri umani e nemmeno animali, sono subumani ed è così che dovrebbero essere trattati», l’informatico transumanista Ray Kurzwell già parecchi anni orsono definiva «scimpanzé del futuro» i riluttanti alla gestione automatizzata delle vite e della società.

Se, come ha scritto uno storico, «l’invasione coloniale di una terra per crearvi degli insediamenti è una struttura, non un evento», ruolo della critica rivoluzionaria è cogliere come forme di violenza ottocentesche convivano nello stesso spazio-tempo con i progetti di un presente sempre più distopico, cioè di come la torre high tech allarghi di continuo le proprie cantine insanguinate, finendo per riservare ai propri “cittadini” una sorte simile a quella a lungo inflitta al popolo degli abissi nelle sue periferie.

Se guerra, sviluppo tecnologico e saccheggio coloniale procedono insieme, fondamentale è non settorializzare le lotte, senza per questo rinunciare a specifici angoli di attacco. Allo slogan «ogni sbirro è una frontiera», bisogna aggiungere anche «il Leviatano algoritmico produce mille frontiere». Tra questi due poli si giocherà il futuro della resistenza (e dell’umanità).

Se questo è il cosa, gli oltre 130 anni di carcere inflitti per il corteo al Brennero impongono di riflettere sul come. Non solo si tratta, a nostra memoria, delle condanne complessive più alte mai emesse per una manifestazione in Italia, ma esse s’inseriscono in una tendenza più generale di guerra aperta a ogni forma di dissenso non puramente simbolico: dalle accuse di «istigazione con finalità di terrorismo» atte a colpire pubblicazioni sovversive o discorsi fatti in piazza, all’inasprimento delle pene per blocco, picchetto e occupazione, fino al recente tentativo – contenuto nell’ultimo progetto di “Pacchetto Sicurezza” del governo Meloni – di qualificare come «rivolta» qualsiasi disobbedienza agli ordini da parte dei detenuti o degli internati nei Centri per l’espulsione, nonché di interdire certe zone o addirittura i mezzi di trasporto ai condannati per «reati contro il patrimonio». Guarda caso, ad essere prese di mira sono quelle forme di lotta che negli ultimi anni hanno visto come protagonisti soprattutto i proletari immigrati. Anche queste sono frontiere interne, riflesso della guerra esterna.

Senza un vasto movimento di rottura sarà ben difficile uscire dall’angolo. Ma se la radicalizzazione delle lotte dovesse tardare, non prendere l’iniziativa anche in pochi ci renderebbe inerti (e disumani). Spingere e allo stesso tempo durare è la quadratura del cerchio che siamo chiamati a compiere, grazie a quella forza che scompagina le carte dei repressori: la solidarietà.

Che il tempo della sottomissione si fermi.

Dicembre 2023

1Con questa espressione vogliamo sottolineare come oggi, nelle società occidentali, vi siano sempre più barriere interne, fisiche, tecnologiche, giuridiche ed economiche.