In uno stato di guerra si va a scuola di guerra. Messaggio dei docenti contro la guerra e la militarizzazione delle scuole

Riceviamo e diffondiamo:

Volantino in pdf: Scuola_guerra

In uno stato di guerra si va a scuola di guerra

La guerra non viene più dichiarata, ma proseguita. L’inaudito è divenuto quotidiano.

Ingeborg Bachmann

Sono passati quasi due anni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina e questo ennesimo conflitto non sembra dare segno di arrivare ad una tregua, ad una fine. Anzi.

Siamo nel pieno di una contesa globale tra superpotenze che hanno tutto l’interesse a proseguire, mettendo in conto persino il rischio di una terza guerra mondiale e di una catastrofe nucleare. L’indifferenza a questo scenario bellico è ben radicata, a mala pena scossa dalla tragicità dei recenti eventi in Medio Oriente, con l’acuirsi dello storico conflitto israelo-palestinese.

La situazione è grave.

Lo vediamo – indirettamente – in quello che accade sul fronte esterno con bollettini quotidiani di morte e orrore, spartizione dei territori e saccheggio delle risorse e lo sperimentiamo sulla nostra pelle – sul fronte interno – con un forte peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con l’aumento del controllo sociale e della repressione e con la crescente militarizzazione delle città. Sempre più repressione e sempre più controllo per poter mantenere la pace sociale e soffocare ogni potenziale conflitto.

La macchina da guerra è ben oliata e i suoi costi ricadono, pesantemente, sugli strati sociali già abbondantemente sfruttati.

Lo Stato italiano sostiene apertamente Israele nell’ennesima operazione di attacco al popolo palestinese e partecipa alla guerra in Ucraina con l’invio di armi e mezzi e con l’utilizzo di basi militari per la partenza di droni – con interessi nella futura ricostruzione dei territori devastati. Lo Stato italiano continua a essere presente con più di 6000 soldati in diversi Paesi del mondo e investe mediamente circa 74 milioni di euro al giorno in spese militari. La produzione di armamenti è un grande business per aziende come Leonardo, Rwm, Oto Melara, Beretta e Fincantieri e per le banche – come Unicredit – che gestiscono enormi flussi di denaro derivanti dal mercato delle armi.

In questa vera e propria economia di guerra non stupisce che anche la Scuola sia terreno aperto di arruolamento. Già luogo collaudato di disciplinamento e di formazione della nuova forza-lavoro, in cui vengono spacciati come valori l’obbedienza ed il rispetto delle gerarchie – necessari per essere meglio sfruttati e rispondere adeguatamente alle richieste di manodopera del capitale – ora è diventato anche luogo in cui inizia il primo reclutamento.

Il processo di militarizzazione delle scuole è attuato su più piani ed è subdolamente pervasivo: studentesse e studenti di varie età possono trovarsi di fronte, alla cattedra, un agente della polizia postale che parla di un tema come il cyberbullismo oppure un agente di questura che disserta di sicurezza e legalità. Intere scolaresche sin dalla scuola primaria vengono portate a visitare caserme, ad assistere in riga all’alzabandiera e a familiarizzare con mezzi militari come fosse un gioco; in tal modo, bambine e bambini vengono allenati alla dimestichezza e alla fiducia verso la presenza di uomini in divisa. Nella scuola secondaria di secondo grado l’esercito viene presentato negli incontri di orientamento come un possibile sbocco professionale ricco di opportunità e realizzazione. Maggiori, generali, paracadutisti e avieri hanno, così, l’occasione di invitare all’arruolamento come se entrare nelle forze armate, per generazioni non più costrette alla leva obbligatoria, possa rappresentare un futuro desiderabile ed eticamente accettabile. Oltre alla propaganda, i signori della guerra hanno anche la possibilità di coinvolgere studentesse e studenti in progetti all’interno delle attività previste dal PCTO (ossia, il percorso di alternanza scuola-lavoro) stipulando accordi e convenzioni con gli Istituti scolastici sparsi sul territorio. Per esempio, lavori di riparazione veicoli e apparati di telecomunicazione, gestione magazzini e depositi, manutenzione del verde, distribuzione del vitto e orientamento topografico sono alcune delle attività svolte a seconda dell’indirizzo delle scuole e delle necessità dei comandi militari coinvolti. Tra questi, ricordiamo l’aeronautica e la marina militare, i reggimenti dell’esercito e loro caserme e, finanche, la base aerea Nato di Sigonella.

Come docenti vogliamo ostacolare questo meccanismo di arruolamento e di pervasività del mondo militare nelle scuole opponendoci, in primis, al nostro stesso arruolamento e rifiutando la funzione di collaborazione che ci viene richiesta. Vogliamo creare occasioni di confronto e dialogo – soprattutto con chi vive la scuola, perché ci lavora o studia – per ragionare insieme e lottare contro questo modello che vuole formare future lavoratrici e futuri lavoratori sfruttati e soldati. Vogliamo mobilitarci con azioni concrete e radicali contro la guerra e il suo mondo.

Docenti contro la guerra e la militarizzazione delle scuole

per contatti: docenticontrolaguerra@inventati.org