Il lato oscuro di CRISPR
Pubblichiamo la traduzione di questa coraggiosa presa di posizione apparsa nel febbraio 2021 su di una rivista scientifica statunitense. Contrariamente alle sue autrici, di cui apprezziamo sia l’antideterminismo genetico sia l’etica egualitaria, non crediamo né che «la scienza debba guidare la politica» né che sia realmente possibile tracciare una linea tra l’uso dell’editing genomico finalizzato alla cura di certe patologie e il suo impiego in direzione di una «eugenetica di velluto». La logica delle attuali tecnologie convergenti – di cui l’ingegneria genetica è parte integrante – è così riassumibile: tutto ciò che è tecnicamente realizzabile prima o poi verrà realizzato. L’esclusione di chi non rientra nei modelli non è un rischio, bensì una conseguenza tanto implicita quanto occultata.
Il lato oscuro di CRISPR
Gli Americani hanno festeggiato il fatto che l’amministrazione Biden stia abbracciando la Scienza e facendo tornare nel paese una legislazione basata su prove. Siamo d’accordo che la scienza debba guidare la politica, ma non quando, invece di supportare le persone a vivere la loro vita, le esclude.
La tecnologia di editing genetico CRISPR-CAS9, per la quale le biochimiche Doudna e Charpentier hanno vinto il Nobel per la Chimica, ha le potenzialità per farlo. Così come altre tecnologie scientifiche. Dovremmo quindi essere sempre consapevoli delle scelte etiche che queste tecnologie pongono.
Nel caso di CRISPR, quelle scelte sono complesse. CRISPR ha molte funzioni; una di queste è che può essere usata per curare malattie. Tuttavia, la promessa più inquietante e di vasta portata di questa tecnologia, un aspetto sul quale gli scienziati sono allo stesso tempo entusiasti e cauti, sta nella possibilità di eliminare dal pool genico quello che la scienza medica identifica come gene difettoso o anormale, che causa differenze negli individui. Certamente, seguendo la logica della promessa CRISPR-CAS9 di eliminare dalle future generazioni terribili malattie che causano sofferenze e morte e consumano risorse, sembra un’impresa che non può essere messa in discussione.
Ma la stessa Doudna ha riconosciuto che CRISPR porta con sé “grandi rischi”. In un’intervista sul “New York Times” del 22 ottobre 2020, ha avvertito sulle conseguenze sconosciute della modifica degli embrioni, mettendo in guardia i ricercatori ad aspettare ad usare CRISPR per questi scopi.
In quanto accademiche in studi sulle disabilità e donne con differenze genetiche che sono esperte nel pensare alle conseguenze che la tecnologia avrà sugli esseri umani, siamo molto preoccupate che l’uso di queste “forbici geniche” potrà in futuro “tagliare fuori” dall’esistenza persone come noi senza che qualcuno neanche se ne accorga. Gli scienziati che usano CRISPR potrebbero vedere l’eliminazione di geni come i nostri dal pool genico come totalmente incontestabile.
Questa mentalità sarebbe coerente con la visione della maggior parte della società. L’idea che eliminare dalla società le differenze genetiche che portano a malattie o difetti sia un vantaggio innegabile continua ad essere pervasiva nella nostra società. Gli Americani generalmente non vedono problemi nel modificare geni collegati a un’ampia fascia di persone come noi; dopo tutto, i sostenitori di questa visione possono sostenere che eliminare un gene collegato a una patologia è diverso da eliminare una persona e che curare le malattie è senza dubbio buona cosa.
Ma la nostra condizione genetica non è una semplice entità che può essere tolta da noi come se fosse una sorta di errore di battitura o una brutta frase in un documento. Siamo un tutt’uno con la nostra condizione genetica che forma una parte fondamentale di chi siamo. In più, molti Americani – inclusi medici e persone con differenze genetiche – considerano che vite come le nostre non valgano la pena di essere vissute quanto le loro.
Inoltre, la convinzione comune che liberare la società da malattie e anomalie sia senza dubbio positivo può condurre molto velocemente dalle attuali possibilità della scienza a “fantasie” di miglioramento dell’umanità nelle quali tutti noi diventeremmo una versione di umano che sia in qualche modo migliore, più forte, più intelligente, più sana. Ma l’allettante offerta di CRISPR di ottenere persone migliori a livello genetico è un segnale preoccupante per chi è spesso giudicato come biologicamente inferiore, qualcosa che noi conosciamo bene. Le persone come noi, inseparabili dalla nostra condizione genetica, sarebbero le prime ad andarsene.
Entrambe abbiamo condizioni genetiche che molte persone considerano gravi abbastanza da essere eliminate dal pool genetico umano: una di noi vive con la fibrosi cistica e l’altra con una forma di sindattilia. Entrambe queste condizione hanno dato forma ai nostri corpi e alle nostre vite. La malattia dei polmoni di Sandy richiede molte ore di trattamenti ogni giorno e le mani malate di Rosemarie limitano la sua destrezza. Noi siamo tra il miliardo di persone nel mondo (15 % della popolazione) e 61 milioni di persone negli Stati Uniti (26% della popolazione adulta) considerate disabili. Siamo tra quel 10% di adulti che hanno una patologia genetica.
Siccome siamo nate con la nostra patologia, abbiamo potuto imparare presto come vivere con le caratteristiche della nostra unicità genetica. Le nostre famiglie ci hanno sostenute permettendoci di accedere a cure mediche adeguate e a ricevere un’educazione adatta ai nostri talenti e interessi. Cure migliori, progressi sociali e movimenti per l’uguaglianza politica hanno migliorato la qualità della nostra vita in modi che persone come noi di altre generazioni non avrebbero potuto immaginare.
Quando Sandy è nata nel 1967, le persone con la FC avevano un’aspettativa di vita media di 15 anni, ma durante gli anni 70 e 90 l’aspettativa di vita è raddoppiata grazie a nuove terapie mediche. Oggi l’aspettativa di vita è di 44 anni, ma con nuove cure chiamate modulatori CFTR, le persone con FC possono sperare di vivere anche più a lungo e con poche ospedalizzazioni. Queste trasformazioni nella speranza di vita testimoniano un cambiamento nella natura della prognosi, un cambiamento su cui l’editing CRISPR non può contare.
Quando Rosemarie è nata, alla fine degli anni 40, le persone con disabilità fisiche come lei venivano spesso internate e conducevano vite limitate e lontane dal supporto delle proprie famiglie. A quel tempo, solo un bambino disabile su cinque veniva educato nelle scuole pubbliche con bambini non disabili. I bambini disabili fisicamente erano spesso mandati in scuole separate dove ricevevano un’educazione inferiore. Con l’Education for All Act del 1975 (ora Individuals with DIsabilities Education Act – IDEA), però, il governo federale garantì l’educazione pubblica e servizi a tutti i bambini con disabilità, e questo cambiò la direzione delle loro vite.
Abbiamo imparato a crescere con i nostri corpi e a possedere identità e vite che includono le nostre diagnosi genetiche, ma che vanno anche oltre queste. Eppure ostinate idee di geni “buoni” e geni “cattivi” persistono in mentalità discriminatorie che colpiscono entrambe. Quando Rosemarie era incinta per la prima volta, l’ostetrica diede per scontato che la sua preoccupazione maggiore fosse che il bambino avesse le mani e le braccia come sua madre, invece la più grande preoccupazione di Rosemarie era di trovare una buona assistenza per andare incontro alle sue responsabilità lavorative.
Quando Sandy pensava di avere un bambino, amici e medici misero in discussione la sua decisione di avere un figlio perché questo avrebbe significato passare il gene della fibrosi cistica al futuro bambino. Questo ipotetico figlio non avrebbe avuto la malattia dato che suo marito non è portatore del gene per la fibrosi cistica (la fibrosi cistica è una malattia genetica recessiva). Tuttavia alcune persone intorno a Sandy ritenevano sconsigliabile la gravidanza perché per loro generare un figlio portatore del gene per la fibrosi cistica era ugualmente indesiderabile. Sandy contestò le loro convinzioni per le quali la sua condizione era per natura inferiore, un punto che loro consideravano ovvio nonostante il fatto che circa il 24 % della popolazione mondiale è portatore di malattie genetiche.
Queste storie rivelano un’ideologia persistente sull’inestricabile collegamento culturale che lega la disabilità con la sofferenza e la riproduzione. Illustrano la sottile, ma insidiosa, idea che alcuni geni sono intrinsecamente cattivi e che contaminano il pool genetico umano; così che le persone che li portano non devono propagarli e passarli alla loro progenie così da creare bambini portatori o malati. Queste idee inoltre rivelano un assunto anche più profondo e abilista: quelle persone con i supposti “geni cattivi” fondamentalmente soffrono e nella società occupano un posto con meno valore di altri.
Questo non significa che le persone con malattie genetiche non soffrano, ma non necessariamente soffriamo tutto il tempo e non necessariamente soffriamo più delle altre persone senza questa condizione. L’impulso culturale di assumere che le persone con variazioni genetiche siano in un costante stato di sofferenza e che questo rovini le nostre vite, è così pervasivo da essere interiorizzato anche da alcune persone con patologie genetiche.
Questo determinismo genetico è una nuova forma di pensiero eugenetico fondato su quello che l’accademico di studi di comunicazione James L. Cherney chiama abilismo del “buon senso”, un sistema di pensiero che permette alle persone simultaneamente di negare ogni coinvolgimento in sgradevoli principi eugenetici mentre li sostengono. L’abilismo del senso comune permette, persino incoraggia, questa mentalità dannosa.
L’utilizzo di strumenti di manipolazione genica e l’eseguire una selezione genetica è equivalente a impegnarsi in quella che Rosemarie definisce “eugenetica di velluto”. Imposto da un’economia di mercato, piuttosto che dallo Stato, l’eugenetica di velluto sembra comune buon senso, eppure nasconde la sua violenza e disuguaglianza dietro alla rivendicazione di autonomia dei pazienti e sotto un velo di consenso volontario. In ultimo, l’eugenetica di velluto guidata dal mercato ha l’obiettivo di purificare variazioni umane inaccettabili, simile a campagne del passato per l’eliminazione di chi era considerato non adatto e inferiore. Entrambi si prendono il diritto di escludere le persone con disabilità dal venire al mondo.
Le persone come noi non dovrebbero essere rimosse dall’esistenza in un utopico futuro. Questa visione di un futuro senza persone come noi limita la nostra possibilità di vivere nel presente. La valutazione della qualità della vita di un’altra persona è un’impresa complessa, molto soggettiva e dipendente dal contesto e moralmente discutibile in una società basata sul concetto che tutti hanno lo stesso valore indipendentemente dalle differenze individuali. Le limitazioni dell’immaginazione umana rendono discutibile, se non immorale, per una persona comprendere appieno la qualità della vita di un’altra persona o di un gruppo,
Espandere la diversità in tutte le sue forme, inclusa la disabilità, rafforza la comunità umana eticamente e biologicamente perché apre la sfera pubblica e privata a una varietà di prospettive, esperienze di vita, idee, e soluzioni per vivere insieme con una prosperità reciproca. Più importante, la convinzione condivisa che tutti i membri della società hanno pari valore dovrebbe ricordarci che questo non può essere determinato da giudizi sociali sul contributo che ognuno dà alla società. Tutti i membri di una comunità contribuiscono al suo benessere con le loro individuali unicità.
L’editing genetico è una tecnologia scientifica potente che può ridisegnare le cure mediche e le vite delle persone, ma può anche pericolosamente ridurre la diversità umana e far aumentare la disuguaglianza sociale eliminando i tipi di persone che la scienza medica e la società da essa plasmata mettono nella categoria di malati o geneticamente contaminati. Persone come noi che sono classificate come aventi “cattivi geni”. Ma dobbiamo ricordarci che cattivi geni non necessariamente portano a vite scadenti, esattamente come buoni geni non necessariamente portano a vite meravigliose.
Se CRISPR venisse sfruttato per eliminare anziché curare le differenze genetiche, noi come società staremmo sostanzialmente mettendo in pratica questa supposizione moralistica e riduzionista.
Sandy Sufian e Rosemarie Garland-Thomson
(“Scientific American”, 16 febbraio 2021)