Riforma delle pensioni, conflitto sociale, «resilienza» di guerra. Note dalla Francia

Abbiamo chiesto a un compagno di Toulouse alcune considerazioni sul movimento contro la riforma delle pensioni (e non solo). Considerazioni parziali e soggettive, ci tiene a precisare. Eccole.

Riforma delle pensioni, conflitto sociale, «resilienza» di guerra. Note dalla Francia

Rispetto al movimento contro la riforma delle pensioni, continuano ad esserci numerose azioni, scioperi, blocchi e manifestazioni dopo l’annuncio del 49.3 [il ricorso alla procedura di emergenza, senza discussione parlamentare, per imporre la riforma]. Purtroppo ben “cappellate” dai sindacati, i quali decidono il ritmo e le frequenze, insufficienti vista la situazione e di fronte a un governo che non molla niente e che manifesta un disprezzo assai considerevole. Gli studenti sembrano unirsi al movimento un po’ tardivamente ma con grande motivazione in questi ultimi tempi, il che può lasciar sperare delle cose più interessanti per il seguito.

La manifestazione di giovedì 23 marzo a Toulouse sembrava ricordare l’inizio dei Gilet Gialli, con una forte presenza in strada, gente determinata che rimane dopo il lancio di lacrimogeni (avvenuto dopo che il corteo della CGT se n’era andato) e la polizia sopraffatta dagli scontri. Ma a Toulouse non ho rivisto altre manifestazioni che potevano lasciar sperare un reale debordamento, un’uscita reale dal quadro proposto dai sindacati. Anche se ci sono stati in seguito scontri con gli sbirri o danneggiamenti e scritte in altre manifestazioni, a mio avviso il tutto restava dentro un ambito troppo ristretto.

A Toulouse, anche prima del movimento sociale sulle pensioni, si era creata una “Assemblea Autonoma” per organizzarsi al di fuori di partiti e sindacati, in particolare contro il carovita e l’inflazione. Ci sono state diverse azioni proposte da questa assemblea, come per esempio delle irruzioni nelle CAF (Casse per gli assegni famigliari) o delle pratiche contro gli ufficiali giudiziari.

Mi sembra un ambito interessante per organizzarsi e fare delle cose insieme. Purtroppo trovo che spesso manchiamo di tempo per riflettere su scadenze e prospettive e che le azioni manchino un po’ di contenuto.

Tuttavia, visto il contesto, bisogna mantenere situazioni come questa assemblea, in particolare contro la futura riforma per “rimettere la gente al lavoro” o quella contro l’“immigrazione illegale”. In seguito al movimento sociale, questa Assemblea Autonoma si è ovviamente concentrata sulla questione di come prender parte a tale movimento. È stato difficile trovare un nostro spazio poiché c’era la volontà di rifiutare ciò che era organizzato dai sindacati, così come una reticenza a partecipare alle giornate di blocco per non rafforzare le strutture riformiste. Per quanto mi riguarda si trattava di un’impasse, dal momento che questo movimento sociale è puramente sindacalista e, tuttavia, ci sono al suo interno cose da fare, carte da giocare, ma bisognerebbe discutere a fondo per capire come. In ogni caso, credo sia fondamentale distinguere le strutture sindacali (CGT, CFDT ecc.) che contrattano con il potere, dalla gente che s’iscrive al sindacato sul luogo di lavoro in quanto mezzo di lotta efficace nel quadro lavorativo (e non penso che i sindacalizzati siano tutti dei venduti).

La repressione è stata forte, soprattutto durante i cortei, nei quali il numero dei fermati è assai significativo (l’ultima manifestazione 36 arresti…). C’è stato il precedente di arresti per dei semplici blocchi. In tribunale la gente prende condanne alte a causa del sistema dei processi per direttissima, cioè quando la sentenza arriva subito dopo il fermo di polizia, senza che la gente abbia il tempo per preparare la propria difesa. Si tratta di un vero e presto pestaggio giudiziario.

Per questo si è creata una forma di difesa collettiva per fornire consigli giuridici, contrastare la repressione e fare in modo che il prezzo che si paga sia il meno caro possibile. Si tratta anche di diffondere il consiglio di non rilasciare alcuna dichiarazione durante l’arresto, di rifiutare il processo per direttissima per avere il tempo di preparare il processo. Si tratta di una struttura importante nel quadro di un movimento sociale poiché lo scopo della repressione è proprio quello di spezzare il movimento. Ma che pone tuttavia alcune domande, come: «siamo solidali con tutte le persone per il semplice fatto che partecipano a un movimento sociale?». E non mancano le contromosse nemiche: la difesa collettiva di Rennes è oggetto di un tentativo di messa fuorilegge da parte del ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

L’evento di Sainte-Soline è ancora ben presente in tutte le teste, con un compagno di Toulouse tutt’ora in coma e con prognosi riservata. La gente di ritorno da quella manifestazione me l’ha descritta come una giornata “di guerra”, pesando le proprie parole. Ma al di là della violenza poliziesca, ciò che mi disgusta di più sono l’esibizione della vita di questo compagno e la giustificazione del suo tentato omicidio con il fatto che era “un militante classificato ‘S’, radicale, estremista” e blablabla. Infatti, solo qualche ora dopo l’annuncio del suo coma, i giornali ufficiali vomitavano la sua vita privata senza alcun pudore. In risposta a tutto ciò sono stati organizzati parecchi presìdi in solidarietà con lui e con tutti i feriti. Anche i suoi genitori hanno scritto una lettera molto bella, in cui rivendicano con fierezza l’appartenenza politica del figlio.

Rispetto a quella giornata sono già usciti vari testi che criticano la strategia dei Soulèvements de la Terre (struttura organizzatrice della manifestazione di Sainte-Soline), in una prospettiva anti-autoritaria. Ad essere criticata è la modalità autoritaria di organizzarsi, senza confronto, tutto iper-previsto, programmato e trasmesso in modi talvolta opachi. Ma è discutibile anche la strategia di formare diversi gruppi in funzione del livello di combattività durante la manifestazione: i “blu” erano il bersaglio perfetto per i poliziotti, i quali potevano sparare a piacimento senza preoccuparsi dei manifestanti “pacifisti”. La buona vecchia tecnica della dissociazione camuffata da divertimento ludico, «la squadra degli uccelli blu» o non so bene cosa. Per finire, trovo che si tratti ancora dello spettacolo della sommossa, una manifestazione con lo scopo di produrre delle belle immagini di veicoli degli sbirri in fiamme e rendere attraente questa lotta. Alla fine dei conti: tre compagni in coma, uno ancora tra la vita e la morte, centinaia di feriti, migliaia di traumatizzati per… delle immagini mediatiche di auto di sbirri in fiamme? Davvero?… in ogni caso penso che si debba ridiscutere del significato che si attribuisce alle proprie azioni e mi chiedo che senso hanno trovato migliaia di compagni ad andare a manifestare davanti a un buco di terra vuoto… Non voglio certo avere un atteggiamento giudicante o colpevolizzante nei confronti di coloro che hanno scelto di andarci in quanto posso comprendere tale entusiasmo, ma m’interrogo nondimeno sul senso che c’è dietro.

Rispetto alla questione della guerra e dell’economia di guerra, a Toulouse è una questione sensibile in quanto Airbus e l’industria aerospaziale costituiscono la pagnotta per un’ampia parte della popolazione locale. Esiste un piccolo gruppo che cerca di fare dell’agitazione attorno a questo problema attraverso testi, scritte davanti alle scuole d’ingegneria o nei mercati. Ma legare la questione “etica” della guerra alla questione sociale di classe non è affatto immediato. E trovo che questo legame dovrebbe essere più presente in senso al movimento sociale, benché compaia di tanto in tanto sui cartelloni o in slogan come «soldi per le pensioni, non per la guerra». Alcune organizzazioni studentesche avevano posto la questione dello SNU (cioè del nuovo Servizio Nazionale Universale: due settimane in caserma e poi due settimane di “missione di interesse generale”) nelle loro rivendicazioni contro la riforma delle pensioni. Visto il contesto sociale esplosivo, Macron ha dichiarato di voler posticipare l’introduzione dello SNU al prossimo anno scolastico, in forma obbligatoria. Dice di temere la «coagulazione delle collere». Da cui si deduce che questo servizio militare potrebbe essere meno consensuale del previsto (tanto meglio per noi), malgrado la propaganda per l’unità nazionale in seguito alla guerra in Ucraina, e l’impiego di un vocabolario bellicista a partire dal Covid (ci ricordiamo il primo discorso di Macron: «siamo in guerra»). L’introduzione dello SNU permetterebbe infatti di creare un esercito di riserva e una generazione «resiliente». Questa parola è utilizzata in modo martellante a partire dalla crisi sanitaria. Una generazione «resiliente», alle pandemie, alle possibili catastrofi nucleari, alle guerre? In ogni caso, durante i Gilet Gialli, nel dicembre 2018, gli studenti si erano già mobilitati contro lo SNU.

In conclusione, direi che ci sono attualmente in Francia parecchie situazioni che potrebbero essere le premesse di scenari interessanti. Se Macron sembra voler accelerare le scadenze e darsi «100 giorni» per imporre tutte le sue riforme di merda e farle passare per misure di pacificazione sociale (come la legge anti-immigrati…), quanto a noi, penso che bisogna raccogliere una grande ispirazione e riflettere su come accelerare le nostre scadenze, senza tuttavia agire a testa bassa!