Contro la pratica crudele e neo-colonialista dell’utero in affitto (e contro l’oscena demagogia delle destre a riguardo)

Segnaliamo questo articolo uscito sul sito pungolorosso.wordpress.com che sulla questione dell’utero in affitto giustamente attacca “entrambi i lati del mondo parlamentare”. Se è disgustoso il tentativo dei “postfascisti” di sovrapporre “diritti dei figli di coppie omogenitoriali” e “gestazione per altri” (laddove il 90% delle coppie che ricorrono alle varie forme della Procreazione Medicalmente Assistita è costituito da eterosessuali…), ancora più insidioso è il tentativo della tecnoindustria – e dei suoi tirapiedi progressisti – di brandire la bandiera dei diritti per mascherare i processi di artificializzazione della vita e di attacco al corpo delle donne. Più o meno la stessa falsa dialettica che sta andando in scena sulla carne sintetica. Mentre il ministro del “made in Italy” mette al bando un certo cibo da laboratorio vantando la qualità degli allevamenti italiani (in massima parte strutture intensive di produzione di animali-merce, una catena di montaggio eticamente crudele, socialmente rovinosa, nutrizionalmente nociva ed ecologicamente devastante), già non mancano i progressisti che elogiano la tecno-carne in nome della sostenibilità ambientale. Dopo anni in cui la scienza è stata trasferita dalla terra della società mercantile e tecnocratica al cielo dei Fini Nobili, per chi osa ostacolarne anche un solo ambito di ricerca è bell’e pronto il vestito del reazionario. Nella contrapposizione fittizia (e funzionale) tra oscurantismo scientista ed oscurantismo politico, l’insurrezione della vita offesa può arrivare soltanto dalle dannate e dai dannati senza terra: riprendiamoci i corpi, attacchiamo il mondo-laboratorio, le sue merci e i suoi esperti!

Contro la pratica crudele e neo-colonialista dell’utero in affitto (e contro l’oscena demagogia delle destre a riguardo)

In questi giorni si è fatto un baccano osceno, da entrambi i lati del mondo parlamentare, le destre e le cosiddette sinistre, intorno all’“utero in affitto”. Per noi, ferma restando la necessità di tutelare l’esistenza e i diritti dei figli di coppie omogenitoriali; ferma restando l’opposizione alle discriminazioni che una certa destra vorrebbe introdurre ai loro danni (simili a quelle che un tempo colpivano i “figli naturali”, nati fuori dal matrimonio) – un’opposizione che per noi ha un carattere di principio; fermo restando tutto ciò, resta altrettanto fermo che la pratica dell’utero in affitto è una pratica da criticare e respingere senza se e senza ma in quanto, oltre ad esprimere una visione distorta della genitorialità, ha un carattere mercantile e colonialista.

Lo spiegano bene le pagine che qui riproduciamo (24-27) dell’opuscolo La posta in gioco (a cura di Paola Tonello), che inquadrano questo fenomeno in espansione nella più vasta casistica delle diverse forme di messa sul mercato e di “appropriazione sociale del corpo delle donne” in fatto di riproduzione, forme che di sociale non hanno nulla, e nel contesto della crisi della riproduzione della vita che caratterizza un po’ tutti i paesi europei, l’Italia tra i primi. Pagine che mettono nel loro mirino anche, doverosamente, la “scienza medica” e Big Pharma.

L’appropriazione sociale del corpo delle donne

Lo sviluppo del capitale e le lotte delle donne hanno mutato almeno in parte la condizione della famiglia in Occidente: essa non è più solo il luogo di riproduzione degli esseri umani, incoraggiata a parole (per fronteggiare l’invasione degli alieni extracomunitari), e resa improba nei fatti, dati i continui tagli al welfare e alle strutture sociali di sostegno, ma anche un luogo di mancata riproduzione della vita. Le devastazioni ambientali, l’inquinamento del contesto generale in cui si vive, l’assenza di sicurezza del futuro, la mancanza di una rete solidale, lo stress di una vita convulsa hanno da un lato scoraggiato o procrastinato la maternità, dall’altro aumentato esponenzialmente l’infertilità delle coppie, proprio quando l’atrofia della vita sociale spinge molte donne e molte coppie a vedere come scopo fondamentale della propria vita la nascita di un figlio.

Ci battiamo per un movimento che abbia a cuore il desiderio di procreare e denunci come esso sia reso vano dalle difficoltà sociali e ambientali che ne impediscono la realizzazione o sia soddisfatto a prezzo di molte rinunce in un contesto di solitudine e di fatica per le donne. Di fronte a milioni di bambini abbandonati nel mondo, l’adozione è resa sempre più difficile e costosa e al tempo stesso si esaspera il valore della genitorialità biologica, a spese del senso di maternità e genitorialità sociale secondo la quale gli adulti si dovrebbero far carico della cura dei piccoli indipendentemente dai geni che questi portano in corpo. La dimensione individuale o di coppia nella genitorialità deve accompagnarsi ad un senso di responsabilità sociale rispetto ai piccoli, cosa che è scoraggiata e ostacolata.

Il capitalismo ha fiutato da tempo l’affare e gli ampi spazi di guadagno offerti dal soddisfacimento del desiderio di avere dei figli da poter considerare “propri”.

Un’ennesima violenza viene perpetrata sul corpo delle donne, che viene vivisezionato per asportarne le parti “utili” per ogni sorta di esperimenti genetici, per ricreare l’incontro di ovuli e spermatozoi al di fuori dei rapporti umani e dell’ambiente naturale in cui sono destinati ad incontrarsi. Il commercio e la vendita di questi “prodotti” è ormai un business internazionale, con prezzari e contratti più o meno legali che lo regolano. È di questi mesi la notizia del commercio di migliaia di ovuli provenienti dalla Spagna, che sono stati “rimborsati” alle produttrici 1000 euro l’uno, euro più euro meno… mentre i prezzi dei luoghi da cui provengono la stragrande maggioranza di questi prodotti tra cui le 3000 cliniche indiane che si dedicano a questo commercio, sono di gran lunga inferiori. È quasi ovvio notare che molto spesso chi è disposto a vendere la propria capacità generativa (la donazione è un eufemismo) vive o sopravvive per lo più nei paesi poveri del Sud del mondo (quelli stessi in cui la sterilizzazione veniva pagata con un sacco di riso e un sari), e chi paga fa parte delle classi agiate del Nord del mondo. E chi ci guadagna, manco a dirlo, sono le multinazionali della Big Pharma, e le organizzazioni che hanno fatto di questo enorme giro di affari la fonte della loro ricchezza. Al fondo di questo attivismo scientifico l’obiettivo di mettere un neonato tra le braccia degli aspiranti genitori è sempre più secondario. Gli esperimenti scientifici di genetica che ne stanno alla base vanno direttamente nella direzione dell’eugenetica, nella creazione cioè di bambini su misura, con caratteristiche che rispondano ai gusti dei committenti e il cui prezzo varia a seconda della qualità del prodotto. Molte coppie che ricorrono all’utero in affitto lo fanno non perché sterili ma per poter avere un figlio senza l’impegno e il fastidio della gravidanza, o, se single, senza l’ingombro di un coniuge. Si sentono più garantiti dalla fecondazione in laboratorio, pensando che in questo modo il bambino sarà più sano e controllato da ancor prima di venire concepito. Non è possibile affrontare qui un complesso discorso sulla scienza e sulla naturalità della funzione riproduttiva delle donne (una scienza che è sostenuta e finanziata nella misura in cui serve al capitale, tenendo conto però che al capitale serve anche, in una data misura, una popolazione mondiale sufficientemente sana in grado di essere sfruttata e di produrre profitti). Per colpa degli umani, ma non sempre, la natura fa anche dei brutti scherzi, e l’essere umano non è comunque destinato ad essere eternamente giovane e in salute. La scienza avrebbe dunque un notevole lavoro da svolgere se fosse messa veramente al servizio esclusivo del benessere dell’umanità. C’è da diffidare della contrapposizione scienza/natura, anche se è evidente come oggi la scienza sia lontanissima dal compito di favorire un rapporto integrato degli esseri umani con la natura stessa. La natura va ascoltata, l’essere umano va ricondotto alla conoscenza delle leggi basilari che governano la vita sulla terra.

Non c’è dubbio che è in atto un tentativo di sottrarre alle donne il controllo sulla loro funzione riproduttiva anche da parte della scienza medica e degli interessi ad essa collegati. Questa sottrazione raggiunge il suo apice nelle ricerche relative all’utero artificiale e al trapianto dell’utero, ma per ora si deve accontentare della medicalizzazione della fecondazione, della gravidanza e del parto e dell’estensione della pratica dell’utero in affitto. Al di là delle intenzioni, e del “libero consenso” con cui viene presentata, la realtà di questa pratica sottende uno spasmodico bisogno di poter rivendicare come “proprio” il bambino di cui ci si vuole occupare. Nel cosiddetto “consenso” con cui viene avallato vi è insita anche una forma di crudeltà mentale e fisica nei confronti della donna gestante e partoriente, costretta ad alienare il neonato che ha cresciuto dentro di sé per nove mesi, a conformare il proprio comportamento durante la gravidanza a regole stabilite dal contratto di gestazione per altri e a dare a tutto ciò un valore monetario, a cui corrisponde la rinuncia totale di qualunque rapporto umano col nascituro, che dovrebbe essere la naturale conseguenza della gestazione e della messa al modo. Nessuna parte del corpo delle donne può essere oggetto di mercato né a fini pseudo scientifici né a fini pseudo-umanitari, speculando sui desideri delle donne e delle coppie come avviene attualmente con una chiara connotazione di classe e neocolonialista.