Un patto firmato in bianco

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo del nostro amico e compagno Rupert, semi-carcerato nella prigione di Spini di Gardolo (Trento) dal dicembre scorso per una serie di condanne definitive. Oltre che nell’intera società, un “patto trattamentale” del tutto simile a quello richiesto al detenuto dall’Amministrazione carceraria è l’«educazione alla cittadinanza» con cui si stanno formando nelle scuole le nuove generazioni. A differenza dell’antiquata «educazione civica» – nell’ambito della quale alcuni insegnanti illustravano fondamenti e princìpi della Costituzione –, l’attuale «educazione alla cittadinanza» – promossa da tutti i docenti, compresi quelli di ginnastica – consiste nell’insegnare un generico quanto indefinito «rispetto delle regole», regole di cui si cancellano tanto la fonte autoritaria quanto lo sfondo storico-sociale, per trasformarle in condotte indiscutibili. Proprio come quelle notificate dagli algoritmi. La mistificazione è tanto più estrema quanto più la costrizione si fa muta e invisibile. Il libero accordo tra gli umani si potrà costruire solo sulle macerie della società di classe, statale, mercantile e tecnocratica. Fuori da una tale avventura, ciò che si sottoscrive è soltanto la propria schiavitù.

Un patto firmato in bianco

Un patto firmato in bianco con chi auspica la tua lobotomia. Ecco come si può riassumere il rapporto tra la macchina statale tecnocratica e il meccanismo di accettazione delle leggi giuridiche, morali, tecniche che ne permettono il funzionamento. Mi spiego meglio.

Si dice spesso che il carcere è uno specchio della Società, un’espressione “diretta” dello Stato, dei suoi regolamenti, della sua arbitrarietà, della sua violenza. È vero, il carcere può essere utile per capire alcuni dei meccanismi di pressione sociale altrimenti più difficili da individuare.

Ebbene, qualche giorno fa mi è giunta una insolita “richiesta”, sotto forma di circolare, dalla direzione del carcere in cui mi trovo rinchiuso. Oggetto: patto trattamentale. Sostanzialmente una sorta di promessa preventiva che il detenuto firmatario non proverà “insofferenza”, non metterà in atto “atteggiamenti pregiudicanti” ecc.. nei confronti di detenuti provenienti dalle sezioni dei “protetti” che potrebbero essere lì trasferiti. Da quanto mi è dato sapere si tratta di una circolare che sta per l’appunto circolando più o meno in tutte le carceri di “media sicurezza”, da qualche anno a questa parte. Iniziativa partita dal carcere “modello” di Bollate e poi estesa. Ora, al di là del fatto che chi deve essere protetto dagli altri detenuti è comunque a discrezione della direzione carceraria, risulta essere una sorta di inutile sondaggio per “mettere le mani avanti” qualora accadesse qualche imprevisto nella pace sociale che si vuole imporre nelle carceri. Ma soprattutto un’altra cosa: la notifica velata ad ogni detenuto che la violenza, l’atteggiamento discriminante e finanche il sentimento di insofferenza hanno un detentore di monopolio. Ecco il punto: il sottinteso delle leggo dello Stato scritte e non scritte, nella “Società dei liberi” è in fondo lo stesso, a discapito di chi non ha firmato proprio alcun patto. Le leggi sono per lo più sconosciute dalla maggior parte di coloro che le subiscono come di coloro che dicono di rispettarle. È un rapporto di carattere religioso quello del cittadino con lo Stato. E nella misura in cui si entra nell’ombra di un totalitarismo tecnico – il criterio dell’efficacia raggiunge il primato mettendo a tacere ogni voce che si sollevi contro la Verità (“scientifica”): “il fine giustifica i mezzi” – il monopolio si fortifica diventando ancora meno identificabile.

Così il rapporto religioso è caratterizzato dalla speranza e dalla delega in misura ancora maggiore, poiché al fondo vi è l’illusione della Salvezza (dalla malattia, dalla guerra nucleare, dal cambiamento del clima).

Nel frattempo, con il pretesto delle Emergenze la logica premiale attraversa l’intera Società come una freccia arrugginita di quelle che dopo aver penetrato la carne fanno partire l’iniezione per tutto il corpo. Proprio come avviene tra le mura di un carcere.

Il monopolio deve essere indiscusso, non deve ricevere sfide nella forma dell’iniziativa individuale, ma soprattutto non devono esistere iniziative dirette a metterlo in discussione. E questo deve essere chiaro. Proprio come avviene tra le mura di un carcere. Ed è qui che casca l’asino, come si comprende studiando l’origine di ogni potere: brutalità dell’imposizione e religione della servitù volontaria sono i due lati della stessa medaglia.

Non sono le leggi o i falsi patti a reggere l’impalcatura dello Stato o del carcere, ma la violenza e la paura. Sta a chi li subisce maturare le possibilità della forza che vi si contrappone.

24 marzo 2023

Rupert