Saluti da Venezia
«L’incubo anarchico». Così titolavano, sabato 25 marzo, le locandine dei giornali di Venezia. Un iperbolico allarmismo mediatico che ha preparato e accompagnato un dispositivo materiale di controllo poliziesco e di guerra psicologica. Ecco l’ordinanza del sindaco (o del ministero dell’Interno?) riportata dalla stampa locale il giorno prima: «Dalle sei di domani, i plateatici in campo Santa Margherita, rio terà Canal, fondamenta Gherardini, campo San Barnaba e campiello Mosca dovranno essere chiusi e ritirati, in modo tale che non rimangano sedie o tavolini. Previsto anche il divieto di vendita da asporto di bevande in bottiglie o qualsiasi altro contenitore in vetro, in lattine chiuse o bottiglie di plastica tappate. Dalle 12 in poi, invece, gli ambulanti che lavorano nelle stesse zone elencate precedentemente dovranno cessare l’attività e ritirare la merce esposta. Il provvedimento, inoltre, prevede la rimozione o il sigillo da parte di Veritas dei cestini dei rifiuti. La polizia locale, infine, avrà la facoltà di istituire una sorta di “zona rossa” vietando l’accesso al campo Santa Margherita, deviando quindi il traffico pedonale e il traffico acqueo». Non sono mancati nemmanco gli appelli istituzionali a stare a casa, mentre alcuni direttori scolastici hanno ordinato di anticipare la chiusura delle scuole. 700 agenti mobilitati. Secondo la stampa, tra il venerdì e il sabato sono state identificate circa 1000 persone, tra le quali 150 anarchici (quindi sono state controllate più di 800 persone che non c’entravano nulla con il corteo). Compagne e compagni di Venezia sono stati seguìti e aspettati sotto casa dalla Digos per giorni. Nella zona in cui avrebbe dovuto tenersi il concentramento del corteo «sembrava che fosse tornato il lockdown», secondo le parole involontariamente illuminanti di un giornalista. La dimostrazione plastica di quanto scritto nel manifesto dell’iniziativa: «Se già l’Emergenza Covid è stata una vasta ginnastica di obbedienza e di retorica bellica, lo scontro aperto tra la NATO e la Federazione Russa spinge i governi a militarizzare gli spiriti, il linguaggio, la società. Una guerra ai cervelli e alle condizioni materiali che stringe ogni giorno di più le maglie della repressione». I dispositivi dell’Emergenza sono da tempo modulabili a piacimento, allo scopo di testare dosi sempre maggiori di paura e di governo della paura. Anche a costo, come in questo caso, di infliggere notevoli danni economici ai commercianti di una delle città più mercificate del mondo.
Per non parlare nel deserto circondati da polizia, carabinieri e finanzieri in tenuta anti-sommossa, l’appuntamento è stato spostato all’ultimo in un’altra piazza veneziana. Nonostante compagne e compagni siano stati anche qui presto accerchiati dalle forze dell’ordine, parecchie persone si sono fermate dall’altro lato del canale ad ascoltare gli interventi che per un’ora e mezza si sono alternati al microfono. Di là dal canale si sono poi radunati anche coloro che erano andati al concentramento di Santa Margherita. Ricevuto uno striscione al volo, sono partiti in corteo. A quel punto si sono mossi anche le compagne e i compagni presenti nella piazza. Una volta unitisi i due spezzoni – un copione imprevisto che ha fatto molto innervosire gli sbirri, i quali si sono sfogati con una carica a freddo – circa 200 persone sono partite in corteo verso piazzale Roma, dove la manifestazione si è sciolta (salvo un gruppo rimasto sotto la Questura ad aspettare la decina di compagne e compagni fermati prima del concentramento).
Insomma, un’iniziativa che ha avuto il senso letterale della comunicazione non autorizzata: su Juan, Alfredo, Anna e gli altri compagni in carcere, sul 41 bis e sulla repressione in generale, ma anche contro la guerra, contro la Smart Control Room e in solidarietà con le rivoltose e i rivoltosi di Francia.
Un grazie particolare alle compagne e ai compagni di Venezia per la prontezza di spirito con cui hanno saputo aggirare una situazione di confinamento sociale.
Di seguito due volantini distribuiti sabato.