Merda, senza specificazioni
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Lo aveva già detto il cantautore: «Quando è merda è merda, non importa la specificazione».
Affermare che la recente normativa «anti-rave» sia stata scritta apposta per colpire il conflitto sociale significa davvero scoprire l’acqua calda. Pressoché superfluo è anche sottolineare come questa normativa sia stata introdotta proprio grazie al duraturo e reiterato allarmismo di quegli stessi media che ora strillano al pericolo di un «attacco fascista» contro le manifestazioni di dissenso. La storia di questo Paese può essere letta, dalla «legge Reale» del 1975 a oggi – e sorvolando sul minuscolo dettaglio che la «Repubblica nata dalla Resistenza» non ha mai abolito il fascistissimo Codice Rocco – come un «Testo Unico di Pubblica Sicurezza»* continuamente aggiornato contro il nemico interno (senza che mai un governo abbia cancellato una qualche nefandezza introdotta da quelli precedenti). La «sinistra» ha forse mai abolito la «legge Bossi-Fini», che ha sancito il reato di «immigrazione clandestina»? E come avrebbe potuto, dal momento che ne aveva essa stessa preparato il terreno con la «Turco-Napolitano»? Visto che nessuno in alto ha mai voluto fare i conti con il colonialismo italiano – liberale prima e fascista dopo –, uno dei dispositivi coloniali per eccellenza, cioè la detenzione amministrativa, è stato introdotto nel 1998 in nome della «accoglienza» verso gli immigrati. E a votare quella legge – che consentiva l’internamento di persone in quanto straniere e prive di documenti, senza cioè che avessero commesso alcun reato – furono anche gli eletti di Rifondazione Comunista, partito ora confluito nell’Unione Popolare. I piddini Orlando e Minniti hanno poi peggiorato la stessa «Bossi-Fini». Giorni fa, qualcuno di questi unionisti-popolari ha ricondotto l’ennesima richiesta di sorveglianza speciale contro due compagni anarchici all’insediamento del nuovo governo Meloni. Varrà la pena di far notare a tali memorie sinistrate che la misura della sorveglianza speciale è stata chiesta (e anche applicata) decine di volte negli ultimi vent’anni? E che tale misura non è stata inventata dal fascismo, bensì dal liberale Zanardelli? O che a renderne più elastica l’applicazione – esattamente come nel caso dell’«associazione sovversiva» – è stato proprio il regime democratico? Fiato sprecato. E già un tale sfotteva chi cercava di raddrizzar le gambe ai cani.
«Il documento non sostiene l’articolo, ma è vero che l’articolo stesso non sostiene affatto il suo titolo». Ciò che alcuni anti-industrialisti francesi scrivevano venticinque anni fa a proposito di una campagna calunniatoria nei confronti di George Orwell, vale anche per le diciture dei decreti governativi in materia di sicurezza. Non di rado, nei decreti-legge s’infilano strette repressive che non c’entrano nulla con l’etichetta grazie alla quale vengono venduti al pubblico e poi applicati contro i loro veri quanto non dichiarati destinatari. Mentre «la Repubblica» scopre oggi la «legge del manganello», e una pletora di intellettuali, storici e costituzionalisti denuncia che i rave sono soltanto un pretesto per ben altre repressioni, possiamo, ad esempio, ricordare a chi deve aver vissuto ibernato almeno nell’ultimo decennio il decreto-legge introdotto dal governo di Enrico Letta il 14 agosto 2013. Presentato come «decreto anti-femminicidio», esso estendeva ai cantieri delle Grandi Opere l’art. 682 c.p. («ingresso arbitrario in luoghi, ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato»), ampliando inoltre le facoltà di intervento dei militari in servizio al cantiere TAV di Chiomonte. Nel frattempo, infatti, quest’ultimo era già stato definito «area di interesse strategico nazionale» dalla legge 12 novembre 2011, voluta dal ministro leghista Maroni dopo gli scontri a Roma del 15 ottobre di quell’anno. Aumentare le pene per certe manifestazioni e occupazioni in nome del contrasto ai rave (e della tutela della «salute pubblica») non è certo più infame che aumentare la repressione contro i no tav in nome della… difesa delle donne dalla violenza maschile. O vogliamo parlare della tortura del 41 bis, a suo tempo invocata dal tanto compianto (non da noi) Giovanni Falcone, introdotta dal socialista Martelli in nome della «lotta alla mafia», estesa poi ai neo-brigatisti e oggi applicata all’anarchico Alfredo Cospito?
La legge contro le invasioni di terreni ed edifici (con relative aggravanti se «il reato è commesso in più di 10 persone») e quella contro le «radunate sediziose» c’erano già da tempo: nel caso del recente decreto, la novità è, come sempre, l’aumento della pena prevista (ora portata fino a 6 anni di carcere). Un certo signor Conte lo trova grave. Quando guidava il governo 5 Stelle-Lega, costui ha firmato un decreto che ha portato fino a 12 anni le possibili condanne per «blocco stradale», norma che il successivo governo 5 Stelle-PD non ha nemmeno fatto finta di voler abrogare. Per non dire poi che questo signor Conte, che adesso grida allo «Stato di polizia», è la stessa persona che ha disposto il primo confinamento di massa in Occidente, e che in quei giorni era la sua polizia a torturare, massacrare e sparare ai detenuti in rivolta nelle carceri, facendo 14 morti… Quando si vedono certe bocche pronunciare frasi sulle «libertà fondamentali» ora messe in pericolo – le stesse bocche che hanno giustificato e votato il divieto di salire sui mezzi pubblici ai ragazzini non «vaccinati»… – giustizia vorrebbe, per citare ancora il suddetto cantautore, che gli saltassero i denti.
Campioni e campionesse di piagnistei, perché non sfidate il governo invadendo in più di 50 un terreno pubblico? «E perché non lo fate voi?», ci si potrebbe rispondere. Già fatto. Per una di queste manifestazioni (nello specifico, contro la costruzione di un muro anti-immigrati al Brennero) abbiamo collezionato in una sessantina d’imputati oltre 160 anni di carcere. E non abbiamo urlato al fascismo.
Ultima parentesi storica. Nel 1982, il governo guidato dalla DC inaugurò, con l’intervento militare in Libano, la prima consistente missione delle Forze Armate italiane fuori dei confini nazionali dal 1945, e contemporaneamente – con il pieno appoggio del PCI – la «legge sui pentiti» del 29 maggio, intesa a premiare la delazione e l’abiura tra i prigionieri della lotta armata. Tra il 2001 e il 2003, allorché partecipava alle aggressioni USA-NATO contro l’Afghanistan e l’Iraq, il governo Berlusconi contemporaneamente aboliva le misure alternative al carcere per gli accusati di «terrorismo» in attesa di processo, aumentava le condanne per l’uso del casco nei cortei, rendeva obbligatorio esibire un documento per consultare Internet nei locali pubblici ecc.
Per chi non vuole farsi dondolare da un «antifascismo» che conta almeno tre controrivoluzioni di ritardo (1975-1980, 2001, 2020…), il terreno su cui attaccare Meloni-Letta-Conte è la guerra. D’accordo sui modi e sulle forme di quella imperialista all’esterno, ’sta gente si disputa il consenso sociale sui valori e sulle etichette con cui giustificare quella anti-proletaria all’interno.
Quando il menù prevede merda, non siamo tra quelli che stanno a disquisire sulle spezie.
* A tal proposito, pubblichiamo qui di seguito un’utile scheda riassuntiva: Testo unico di sicurezza (2)