“2034. Il romanzo della prossima guerra mondiale”. Una recensione antimilitarista

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste acute note tra le righe:

2034. Il romanzo della prossima guerra mondiale”. Una recensione antimilitarista

Sono il governo, i mass media, un bambino soldato /

Sono una condanna a morte per chi ancora non è nato /

Sono Baghad, Monrovia, le torri di Ground Zero /

Sono un feto morto in prova /

E sono il film tratto dal libro

[Scuola Vendetta, Orientalkombat]

Tutto ciò che non hai detto /

sarà scritto col tuo sangue

[Partizan Beograd, Fuoco (a rendere)]

La penna e la spada

Lo scoppio del conflitto ucraino ha visto un proliferare nelle librerie e nelle biblioteche dei volumi di geopolitica, strategia militare, storia locale.

Scaffali ricolmi di istant-book sullo “Zar” Putin, sull’Ucraina, sulla guerra del Donbass, su Euromaidan, sulla dottrina euroasiatica, numeri monografici di riviste geopolitiche, riedizioni di reportage sulle guerre nel Caucaso e così via fino allo sfinimento delle rotatorie.

Un fenomeno editoriale del tutto analogo era accaduto all’inizio dell’epidemia di Covid-19.

E che va a braccetto coll’andazzo mediatico-televisivo, per cui nei mesi scorsi i virologi (le viro-star) sono stati rimpiazzati da generali dell’esercito e da professori di relazioni internazionali: a ogni malattia il suo medico e niente discussioni su diagnosi e ricetta, per carità!

In questo abisso di carta, un testo un po’ più frivolo merita di essere sfogliato con la dovuta attenzione.

Non si tratta di un saggio, bensì di un romanzo, pubblicato negli States a marzo 2021, quando si cominciavano a vedere le avvisaglie della crisi ucraina.1

Anche se a ben vedere è più una sorta di saggio romanzato o di compito geopolitico per casa, sull’onda della domanda aperta “cosa succederebbe se Stati Uniti e Cina arrivassero a uno scontro diretto?”.

E il suo interesse sta non nella dubbia qualità letteraria, quanto nelle conclusioni che si possono trarre leggendovi tra le righe.

Titolo del libro è «2034», anno in cui si immagina abbia inizio (e conclusione) questo conflitto.

A scriverlo non uno scrittore di fantascienza ma due persone il cui curriculum vitae parla da sé.

Elliot Ackerman, otto anni di servizio nei marines, impiegato in Afghanistan, Iraq e nelle aree devastate dall’uragano “Katrina” (dove vennero mandati veterani «con licenza di uccidere»)2 e in seguito collaboratore dell’amministrazione Obama, attualmente riciclatosi come scrittore di romanzi, per lo più incentrati sulle difficoltà dei reduci delle guerre USA di inizio millennio.

James Stavridis, ammiraglio dell’US Navy, che ha ricoperto anche il ruolo di comandante supremo delle forze NATO in Europa dal 2009 al 2013, attualmente nel consiglio di amministrazione del Caryle Group, dell’azienda di cybersecurity ProVeil e della Fondazione Rockfeller.3

Si parlava anche di una sua possibile candidatura alla vicepresidenza per i democratici in tandem con Hilary Clinton. 4

Entrambi insomma provengono dall’establishment statunitense, in cui hanno ricoperto ruoli, nel caso di Stavridis anche importanti, apparentemente con un riconoscimento trasversale, tant’è che nel 2016 fu ricevuto dal neoeletto “The Donald” nella sua Trump Tower, con cui discusse di relazioni internazionali, cyber-sicurezza ed altro.5

Ackerman, dei due presumibilmente il più versato nella scrittura (nella terza di copertina italiana se ne parla come “scrittore di best-sellers”), è anche una buona metafora vivente della “guerra al terrorismo” americana.

Era lui il comandante del gruppo d’assalto dei marines che nell’agosto 2008 compì un massacro di civili ad Azizabad in Afghanistan, molti dei quali bambini, attaccando un edificio dove avrebbero dovuto esserci dei talebani.

Il governo fantoccio di Karzai condannò l’episodio, il Pentagono lo definì un «attacco legittimo contro i talebani», mentre per il suo comportamento in Afghanistan Ackerman ha ricevuto la Stella di Bronzo al Valore.6

Con «2034» l’ex-marine – che adesso discetta di “Assassinio e il linguaggio americano”7 – sembra proseguire la carriera avviata nei corpi speciali, fedele al detto che ne uccide più la penna che la spada, anche quando non la si sa maneggiare forse proprio benissimo.8

La trama

Siamo nel marzo 2034.

Stati Uniti e Cina si sfidano per il controllo sulle acque del Mar Cinese Meridionale.

Gli statunitensi inviano delle navi a pattugliare il tratto di mare conteso, nel nome della «libertà di navigazione».

Il commodoro Sarah Hunt, a capo della squadra navale, si insospettisce per la presenza di un peschereccio in avaria e decide di ispezionarlo, trovandovi attrezzature ad alta tecnologia.

Compare una squadra navale cinese e le navi americane vengono colpite ed affondate dall’esercito della Repubblica Popolare, dopo aver subìto un attacco cibernetico che le rende inermi.

Questo episodio innesca un’escalation tra USA e Cina, che si allarga a cerchi concentrici ad altre potenze, in particolare Russia e Iran – alleati-competitori nella volontà di ritagliarsi un maggior spazio in un mondo dove la supremazia americana è in palese disfacimento.

In contemporanea all’incidente navale, un pilota statunitense, Chris “Wedge” Mitchell, viene abbattuto e catturato dai Guardiani della Rivoluzione iraniani mentre stava collaudando un apparecchio con tecnologia stealth all’avanguardia nei cieli della Repubblica islamica.

Interrogato e torturato dal generale di brigata Qassem Farshad (che ritroveremo poi come ufficiale di collegamento imbarcato con la flotta russa), “Wedge” diventa merce di scambio in un triangolo diplomatico tra Usa, Cina e Iran.

Il video del suo pestaggio, assieme alla notizia della sconfitta nel Mar Cinese Meridionale, alimenta i sentimenti patriottici negli States, il cui coinvolgimento nel conflitto viene raccontato dal punto di vista di un consigliere della Casa Bianca di origini indiane, Sandeep Chowdory.

Mentre gli americani sono colti alla sprovvista, la leadership cinese, pur percorsa da lotte di potere intestine e spietate, descritteci attraverso gli occhi dell’ammiraglio Lin Bao, ha un piano ben preciso.

Con una forzatura militare – mossa dall’acquisita supremazia cibernetica – i cinesi vogliono annettere Taiwan, confidando nella volontà americana di non arrivare a un conflitto mondiale e atomico.

Nel giro di un centinaio di pagine si passa dall’affondamento di alcune navi alla distruzione di un’intera flotta di Washington, all’intimazione di un diktat da parte statunitense seguito dal danneggiamento dei cavi “10G” da parte dei russi, fino allo sganciamento di una bomba nucleare tattica su Shenzen, con conseguente rappresaglia cinese su Galveston e San Diego.

L’imprevista reazione dell’U.S. Army, che rielabora la dottrina della deterrenza atomica (preferendo la rappresaglia mirata a un attacco totale che assicurerebbe la mutua distruzione), è dovuta a un deliberato eccesso di zelo dei russi.

Gli uomini di Mosca, nel sabotare i cavi transoceanici, distruggono più di quanto voluto dai cinesi, in modo da destabilizzare la politica internazionale e ritagliarsi maggiori spazi d’azione.

Invadono immediatamente la Polonia per accaparrarsi il corridoio di Danzica e a un certo punto tentano di prendere possesso dello Stretto di Hormuz, con un fallimentare colpo di mano ai danni degli alleati/competitori iraniani.

Proprio quando l’apocalisse atomica sembra inevitabile, l’India si inserisce a gamba tesa nella sfida tra le due potenze, affondando l’ammiraglia cinese “Zeng He”, dotata di avanzatissima tecnologia stealth che le ha permesso si sfuggire alle ricerche.

Gli agenti di Nuova Delhi fanno presente agli americani e ai cinesi che ogni qualvolta una delle due potenze proverà a fare un attacco contro l’avversario, l’esercito indiano farà una rappresaglia contro l’aggressore.

Questo purtroppo, a causa di dissidi interni alla catena di comando americana, non impedisce l’attacco atomico statunitense già in esecuzione: l’aereo pilotato da “Wedge” non è più in collegamento col comando, sfugge ai caccia indiani e alla contraerea cinese e, novello kamikaze, fa detonare una testata nucleare tattica su Shangai.

Dopo questa ennesima strage, la mediazione armata indiana riesce a porre fine al conflitto.

Nel mondo post-bellico l’India diventa il nuovo gendarme del globo, facendo spostare la sede delle Nazione Unite a Delhi ed erogando aiuti umanitari agli Stati Uniti, devastati da radiazioni ed epidemie.

Chowdory, che nel corso del libro si riavvicina alle proprie origini indiane e alla famiglia materna, diventa un consulente per il governo e le imprese indiane, pur rimanendo fino all’ultimo diviso tra le due appartenenze.

Lo sguardo statunitense sul mondo multipolare

Narrativamente 2034 descrive questa guerra mondiale, che di fatto dura pochi mesi, attraverso le vicende dei personaggi sopramenzionati.

Il punto di vista privilegiato è chiaramente quello americano (con ben tre io narranti), mentre lo sguardo cinese e iraniano sul conflitto è sottorappresentato.

La raffigurazione di Cina, Russia e Iran è profondamente legata a un immaginario di “Impero del Male” che riprende il repertorio culturale sviluppato a partire dalla Guerra Fredda.

Tutto è estremamente stereotipato.

La giustificazione che l’ammiraglio Kolĉak dà del comportamento russo sembra avere più a che fare con l’operato della Spectre, l’organizzazione dei cattivi degli spy-movie di James Bond, che con la strategia degli Stati-nazione:

«La distensione tra Pechino e Washington non è di alcuna utilità per noi. E nemmeno per voi. Seminiamo un po’ di caos in questa crisi e vediamo cosa succede. Il risultato sarà vantaggioso per i nostri paesi».

(pag. 159)

E meno male che stando a Stravridis è un personaggio modellato sulla sua conoscenza diretta degli ufficiali russi!9

L’iraniano Qassam è anche fisicamente un villain da B-movie, con cicatrici e mutilazioni, mosso da un antiamericanismo viscerale, crudele anche inutilmente (in una scena stritola uno scoiattolo solamente perché questo non ha paura di lui e lo fa sentire in difetto):

Le dita mancanti. La cicatrice in faccia. La protesi alla gamba. Tutto nella parte destra del corpo. Quella sinistra, a eccezione della cicatrice sul collo, era quasi intatta. Se i suoi soldati lo chiamavano Padishah Frankestein, “il Grande Re Frankestein”, gli analisti delle CIA a Langley gli avevano dato un nomignolo che rispecchiava il suo profilo psicologico: “Dottor Jekyll e Mister Hyde”.

(pag. 50)

In ossequio a un orientalismo di maniera i gerarchi cinesi sono dei mandarini astuti, calcolatori e spietati, alla perenne ricerca di capri espiatori su cui riversare la responsabilità per i fallimenti, che vanno avanti a citazioni di Sun Tzu e metafore complicate.

Viene descritto una sorta di resort, un golf club per la precisione, dove lo Stato cinese liquida i suoi funzionari – con tanto di teli di plastica per facilitare la pulizia dopo l’esecuzione.

Una rappresentazione che ricorda più che altro la catena di comando dell’Impero in Guerre Stellari, con Darth Vader intento a strangolare i suoi vicecomandanti.

Senza voler qui entrare nel dettaglio delle reali modalità di risoluzione dei conflitti di potere interni al Partito Comunista Cinese che comunque non sono affatto blande10, è chiaro come queste scene siano un omaggio involontario alla letteratura pulp dei romanzi sull’arcicattivo Fu Manchu, che spopolavano ai tempi del “Yellow Peril” (Il Pericolo Giallo), quando prendeva piede l’idea di un complotto asiatico per impadronirsi dell’America, mentre invece era l’America industriale che si impadroniva della forza lavoro asiatica per miniere e ferrovie, partecipando nel frattempo alla spartizione coloniale della Cina stessa.

Specularmente i personaggi a stelle e strisce che indossano la divisa sono uomini (e donne) tutti d’un pezzo.

Wedge” potrebbe avere la faccia di Tom Cruise in “Top Gun”.

Discendente di una dinastia di piloti di caccia, idealizza le guerre combattute dagli avi ed è ossessionato dal desiderio di combattere “come si faceva una volta” senza puntatori elettronici, in una rielaborazione cavalleresca della guerra aerea che poco corrisponde all’operato dell’aviazione – che è paragonabile alla cavalleria medioevale nella misura in cui fa strage delle truppe a terra come i cavalieri corazzati facevano scempio dei fanti su cui nessuno componeva poemi:

Il maggiore Chris “Wedge” Mitchell non aveva quasi mai provato quella sensazione. A suo padre era capitato di provarla un po’ più intensamente di lui, come quella volta a Ramadi in cui faceva da supporto aereo a una plotone di soldati […]. Suo nonno aveva provato quella sensazione ancora più intensamente di loro due messi insieme quando, per cinque estenuanti giorni durante l’offensiva del Tet, aveva lanciato sugli alberi bombe Snakeye e napalm affidandosi esclusivamente al mirino ottico e volando talmente basso che le fiamme avevano bruciato la fusoliera del suo A-4 Skyhawk…

(pag. 8-9)

Poco importa che questo avvenisse massacrando soldati iracheni allo sbando o civili vietnamiti.

Il libro si conferma dunque una smaccata opera di propaganda statunitense, intrisa di militarismo, e non poteva essere altrimenti visto il pedigree dei suoi autori.

Il convitato di pietra

Il protagonista del libro è però la deterrenza nucleare.

Un personaggio scomodo e di poche parole, che fa parlare gli altri al posto suo.

Le armi nucleari tattiche, cioè con una portata relativamente ridotta e per questo impiegabili in un combattimento “convenzionale”, nel libro sono adoperate per distruggere intere città, quindi a ben vedere in chiave strategica.

Niente a che vedere insomma con le bombe anti-bunker e gli ordigni con un raggio distruttivo di “pochi” kilometri, che finora sono le sole armi nucleari tattiche di cui si ipotizza ci sia stato un utilizzo.

La storia dell’impiego di armi atomiche post-46 è poco raccontata e difficile da ricostruire ma ci porta almeno in Libano11 e Kurdistan12.

La missione suicida di “Wedge” su Shangai riecheggia l’epilogo di Dottor Stranamore di Kubrick, con l’aereo che non riceve più comunicazioni dal comando e porta fino in fondo il compito che gli è stato affidato, in ossequio alla disciplina e in spregio all’etica.

Manca solo il cappello da cowboy, tirato fuori da sotto il sedile.

Decisamente inquietante la lettera lasciata dal genocida “Wedge” al padre, che mesi dopo la rilegge nella stanza del figlio (divenuta santuario a sua memoria), in cui dice di aver accettato il compito “con mente lucida”, senza apparentemente rendersi conto che milioni di figli e padri a causa sua non avrebbero più potuto né leggere né scrivere.

Chissà se in aviazione “Wedge” aveva sentito parlare anche di Claude Eatherly, tormentato pilota del bombardamento di Hiroshima che dopo una profonda crisi autodistruttiva (tra arresti e ricoveri in psichiatria) intrecciò una corrispondenza col filosofo Gunther Anders.13

L’unica persona che mostra qualcosa di simile a un rimorso è Sarah Hunt, che ritirata in un ranch in Texas prende psicofarmaci e si tormenta nel ricordo di quello che è successo (forse più di non essere riuscita a far rientrare “Wedge” che per averlo fatto partire), ma mette una pezza emotiva sul tutto dando sfogo alla sua voglia di maternità e prendendo in adozione un bambino.

Decisamente non basta un po’ di politicamente corretto per togliere alla scrittura di due militari una visione maschilista e patriarcale.

Un vaccino contro la guerra?

L’edizione americana di “Wired”, che a 2034 ha dedicato un numero monografico, ha definito il libro un «un altro vaccino contro il disastro», conformandosi perfettamente all’attuale Zeitgeist forgiato dal lockdown.14

Ma qual è l’intento che sta dietro questo thriller di fanta-geopolitica, ammesso che ve ne sia uno?

In un’intervista all’edizione americana di “Wired”, Stavridis afferma che l’ispirazione per il libro gli è venuta dalla lettura de La terza guerra mondiale di John Hackett (quando si dice neanche il merito dell’originalità…), libro in cui si immagina lo svolgimento di un conflitto tra USA e URSS, scritto anche in questo caso da un comandate della NATO in Europa (già partecipe alla repressione della Rivolta Araba in Palestina) che ipotizzava un’escalation, in questo caso in seguito alla risposta americana a un’incursione sovietica in Jugoslavia.

Secondo l’ammiraglio, uno dei motivi per cui non si è verificato uno scontro diretto tra USA e URSS è stato il fatto che tutti immaginavano perfettamente cosa questo avrebbe significato.

Con 2034 dunque si propone di rimediare a questa mancanza: far vedere cosa comporterebbe un conflitto tra USA e Cina.

Una dichiarazione di intenti quasi pacifista che poggia però almeno su una mezza verità e le mezze verità, si sa, assomigliano molto a menzogne.

Il fatto che non si sia consumato uno scontro diretto tra USA e URSS, dovuto alla deterrenza atomica – e quindi alla consapevolezza della mutua distruzione assicurata che avrebbe comportato il ricorso da parte di uno dei due antagonisti alla Bomba H – ha portato per tutta la durata della cosiddetta “Guerra Fredda” a un proliferare di conflitti per procura tra il blocco occidentale e quello orientale: dalle guerre in senso stretto come quella di Corea e Vietnam ai colpi di Stato come quello in Cile, passando per gli esperimenti di guerra asimmetrica negli Stati europei.

E qua l’Italia ha avuto tristemente un ruolo di primo piano, scontando il fatto di avere il più grosso partito comunista in territorio NATO: basti ricordare oltre alla stagione dello stragismo di Stato, la presenza di organizzazioni paramilitari legate a doppio filo all’addestramento e all’armamento atlantici.15

Se dunque l’esito di questa consapevolezza di cui parla Stavridis non è stata affatto la pace, bensì guerre costanti e diffuse per tutta la seconda metà del Novecento, è lecito chiedersi se una nuova coscienza si tradurrebbe in qualcosa di diverso.

E difatti le guerre sono attualmente ben presenti a livello mondiale, per quanto alcune di esse siano mascherate sotto l’etichetta di missioni umanitarie e di pace: l’idea della “missione speciale” non è un brevetto russo, anzi.

Guerre che sembrano in moltiplicazione col venire meno di assetti internazionali che garantivano una qualche stabilità – costruita in ogni caso sul sangue, come ogni ordine mondiale dai tempi dell’Impero Romano o di quello Britannico: Azerbaigian vs Tagikistan, Etiopia vs Eritrea, Armenia vs Azerbaigian, ecc.

In questo scenario tumultuoso un libro come 2034 è sì un vaccino, ma nel senso dell’introduzione nell’organismo di una versione depotenziata del virus, volta a preparare la tenuta del sistema di fronte alla malattia vera e propria, di cui però non si vanno a rimuovere le cause.

Fuori dall’idealismo sbandierato dai suoi autori, che provengono dalle file della più cinica real-politik, quella che si misura direttamente sul campo, viene da pensare che con questo romanzo si vogliano dare una serie di suggestioni ai lettori statunitensi.

Al grande pubblico, inteso come classe medio-alta, presumibile fruitore di un testo che difficilmente avrà la popolarità dell’ultimo romanzo di Stephen King, ma anche alla cerchia più ristretta degli “addetti ai lavori” – ambiente da cui provengono giustappunto gli autori.

Innanzitutto emerge il ruolo fondamentale della supremazia tecnologica per le guerre del futuro.

I cinesi di 2034 vincono militarmente perché la loro tecnologia – basata sui computer quantistici – li rende superiori e vanifica quella degli avversari, al punto che gli unici successi statunitensi sono ottenuti da una pattuglia di caccia privati della componente informatica, in modo da renderli impossibili da hackerare.

Stessa cosa per gli indiani, facendo dire a Chowdhury che «l’America aveva clamorosamente sottostimato le capacità informatiche e l’uso della tecnologia stealth da parte dell’India» (pag. 238).

Ne consegue un’enfasi sulla ricerca a fini militari che ritroviamo ampiamente nella pubblicistica di settore, financo nei testi dell’Esercito Italiano, che – fatta eccezione per alcuni vezzi grafici quasi cyberpunk – di fiction hanno ben poco.16

Il carattere “ibrido” delle nuove guerre è un altro elemento presente nel libro che sta trovando conferma nello svolgimento del conflitto ucraino.

In 2034 i russi creano blackout negli USA colpendo i cavi sottomarini, i cinesi spengono la tecnologia americana hackerandola, gli iraniani sequestrano una nave cargo indiana… tutte cose che più che con la narrativa hanno a che fare con la cronaca.

Gli investimenti crescenti nella cyber-security, l’equiparazione nella dottrina militare della NATO tra attacco non convenzionale e attacco convenzionale, unitamente ai numerosi episodi più o meno conclamati di sabotaggi informatici degli ultimi tempi ne sono la conferma (da quello al “Colonial Pipeline” nel maggio 2021 a quello alla rete ferroviaria italiana nel marzo 2022, che non ha coinvolto solamente i treni passeggeri ma anche quelli merce). 17

Tra «le linee rosse che Putin non può oltrepassare» fissate dalla NATO nell’ottobre 2022 compare, accanto all’utilizzo di armi nucleari, la distruzione di gasdotti e cavi sottomarini.18

Il sabotaggio con esplosivi del North Stream 2 conferma tale aspetto.

Questa visione sulla guerra del futuro è portata avanti nell’edizione italiana fin dalla copertina (non molto dissimile da quella originale), formata da un quartetto di immagini che sembrerebbero simboleggiarla: un drone, un uomo con una torcia di segnalazione, un commando dei reparti speciali (riconoscibili per il passamontagna e le armi con mirini telescopici) e un jet da combattimento.

Un altro monito ipotizzabile viene non tanto da quello che c’è nelle pagine, ma da quello che vi manca: il ruolo della NATO e dell’Unione Europea, praticamente assenti.

L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord viene menzionata quando i russi sabotano oltre misura i cavi sottomarini statunitensi, al fine di aumentare l’instabilità internazionale e nel frattempo invadere la Polonia per conquistare l’agognato corridoio con l’enclave di Kaliningrad:

Farshad guardò i jet e si chiese quando sarebbe arrivata la risposta dell’alleanza atlantica. Nei decenni precedenti, il disinteresse dell’America l’aveva indebolita, e ora sembrava un’organizzazione antiquata, irrilevante, un’ombra di ciò che era stata durante la Guerra Fredda. Quell’anno avrebbe compiuto ottantacinque anni. Ma i denti ce li aveva ancora, vero? Forse no. Forse tra i due ultraottantenni impegnati nel conflitto, soltanto Putin sapeva ancora mordere.

(pag. 174)

Acherman e Stavridis sembrano voler dire all’opinione pubblica americana che una NATO debole indebolisce anche gli Stati Uniti e che la mancanza di una barriera alle ambizioni russe in Europa rende più concreti scenari in cui la guerra arriva direttamente sul suolo americano – e non rimane, per esempio, su quello europeo, cosa che sta accadendo attualmente con il conflitto in Ucraina.

Libera interpretazione? Può essere, non di meno sembra plaudire all’attuale strategia di Washington, che persegue il logoramento della Russia nel pantano ucraino e l’indebolimento del già diviso blocco europeo, facendone la prima linea di questa proxy-war.
Lo stesso Ackerman intervistato dall’italiana “Repubblica” ha messo nero su bianco l’intento USA di fare dell’Ucraina l’Afghanistan di Putin.19

Il fatto che in 2034 si immagini uno scontro militare tra Washington e Pechino nel Mare della Cina ci riporta alle preoccupazioni degli analisti americani per l’ascesa del Dragone Cinese, preoccupazione che hanno trovato concreto riscontro nella nascita di una sorta di NATO del Pacifico e in una serie di esercitazioni navali che hanno avuto luogo anche dopo l’invasione dell’Ucraina (avvenuta in seguito, lo ricordiamo nuovamente, a importanti esercitazioni NATO nella regione).

La centralità di questa zona del mondo per le guerre del futuro è ampiamente sostenuta da molti analisti prezzolati al servizio degli Stati mondiali, con una sorta di profezia che si auto-avvera, dato che in base a queste analisi queste regioni vengono militarizzate.20

Anche il coinvolgimento iraniano immaginato nel libro sembra trovare riscontro nell’attuale partecipazione indiretta dello Stato degli ayatollah al conflitto ucraino, attraverso la fornitura di droni kamikaze e missili.21

Se fino a qui la futurologia spicciola degli autori sembra verosimile, va però notato come molte questioni che occupano l’attuale agenda geopolitica e prima ancora i vissuti quotidiani di milioni di sfruttati manchino del tutto dal libro.

La pandemia di Covid-19 è liquidata in poche battute e non v’è traccia di cambiamento climatico, quando invece questo ultimo argomento è tenuto estremamente in conto dai vertici militari, anche per le conseguenze sul modo di combattere.22

Lo scioglimento dell’Artico è accennato vagamente, descrivendo il posizionamento delle forze armate USA nel globo («due sottomarini nucleari al di sotto di quel poco che restava dell’Artico»), mentre sappiamo che la prospettiva di una navigazione aperta in quel tratto di mondo sta ponendo le basi per una competizione militare per controllarne rotte e sfruttamento delle risorse.23

La crisi dei materiali (terre rare, ma non solo), che è in ultima analisi il motore della guerra mondiale strisciante in cui ci troviamo, non viene neppure menzionata, facendo sembrare il progresso tecnologico avvenuto da qua al 2034 rapido e indolore, quando ognuna delle evolutissime tecnologie che fanno capolino nel libro ha altissimi costi energetici e minerali (oltre che ambientali e sociali).24

I due continenti dove al momento si concentra l’estrattivismo occidentale e orientale (non dimentichiamo infatti la presenza cinese), Africa e Sud America, rimangono sullo sfondo del racconto, citati solo per non meglio specificate guerre avvenute nel passato, cioè in quello che per noi lettori è il futuro.

Già adesso queste zone del mondo sono attraversate da conflitti di grossa portata: in America Latina rivolte contro le politiche neoliberiste ed estrattiviste, in Africa rigetto del neocolonialismo occidentale, con il recente ritiro di truppe francesi dal Sahel e per converso una consolidata penetrazione cinese, una crescente simpatia dei governi africani verso la Russia e una significativa presenza di mercenari russi a sostegno di alcuni di questi.

Una visione della guerra come lotta tra potenze mosse più da ideologie e destini manifesti (Kolĉak parla di ricostruzione della Rodina-Mat, “La Madre Russia”, Farshad dell’eredità dell’Impero Persiano…) che da una struttura economico-sociale decisamente materiale, che ci riporta alla distinzione marxista tra struttura e sovrastruttura, dove la seconda nasconde la prima come una cortina fumogena.

Ma a colpire è come – in questo ipotetico futuro conflitto raccontato attraverso gli occhi di fittizi uomini dell’apparato politico-militare, e che è scritto da veri uomini dell’apparato politico-militare – tutto ciò che è al di fuori delle stanze del potere rimanga perennemente sullo sfondo, al punto da non esistere se non nelle statistiche sulle vittime civili.

Le uniche persone esterne che compaiono o vengono menzionate sono i famigliari dei militari e dei diplomatici di cui vengono raccontate le peripezie.

Non fosse per alcuni brandelli di notizie su radiazioni, variazioni delle temperature stagionali, epidemie e carestie sembrerebbe quasi che l’esplosione di quattro bombe nucleari non abbia prodotto significativi cambiamenti né nell’ambiente né nella popolazione.

A confronto sono decisamente più realistiche e ricche di spunti critici le ricostruzioni di scenari post-apocalittici di tanti racconti apparsi in lingua italiana nella collana di fantascienza Urania, dove si descrive la militarizzazione della società, il razionamento delle risorse, lo sfaldamento dell’economia mercantile, la riorganizzazione delle entità statali.25

Assente completa dal libro la conflittualità sociale.

A parte una “Tenda per la Pace” davanti alla Casa Bianca (significativamente monitorata dalle forze di sicurezza), non viene fatta menzione di proteste, scioperi o sommosse nei paesi belligeranti.

E tantomeno si accenna alle pesanti lacerazioni che attraversano la società statunitense, ritenuta da alcuni sull’orlo di una guerra civile.26

E sì che nel 2034 dovrebbe essere ben vivo non tanto il ricordo della Floyd Rebellion quanto delle rivolte che da qui ad allora verosimilmente la seguiranno, non accennando a miglioramenti il quadro sociale che ha prodotto questa e altre sollevazioni in passato.27

L’unico accenno alla rivolta è nei termini della contro-insurrezione, quando si scrive dei reparti speciali cinesi dispiegati per le vie di Taiwan per bloccare eventuali manifestazioni, nel momento dell’invasione dell’isola.

L’umanità è muta spettatrice o al massimo comparsa a chiamata di uno scontro tra le potenze, che agiscono nel nome del proprio popolo e del suo destino di potenza.

In pratica, nelle aspettative dell’establishment manca l’unico elemento che può frenare un eventuale escalation e una corsa verso il precipizio atomico, quello che per propria natura considera peggiore della distruzione del mondo perché significa la distruzione del loro mondo: il tertium non datur della rivoluzione sociale.

Quello che nel libro fa l’India per squisito interesse geopolitico lo può infatti fare il proletariato globale, tradendo la causa nazionale, sempre che sia lecito parlare di tradimento rispetto al sottrarsi a una truffa.

È quello che in una certa misura sta avvenendo in Russia con la diserzione preventiva di chi teme il richiamo, gli attacchi incendiari ai centri d’arruolamento, l’autolesionismo per non essere arruolati.

Ma anche, per quanto in maniera oggettivamente ancor più ridotta ed embrionale, nei territori del Patto Atlantico, con i blocchi dei convogli di armi, gli scioperi e i cortei contro il carovita, il dissenso latente verso la guerra.

Senza dimenticare i recenti tumulti in Iran, i moti ad Haiti, l’insurrezione srilankese, le agitazioni in Tunisia… mezzo mondo è già in rivolta.28

Mentre gli scrittori con le stellette non riescono ad immaginare altro che non sia un futuro di inevitabile guerra atomica, una parte della popolazione non sembra rassegnarsi a fare da fondale di cartapesta o carne da cannone per l’ennesima tragedia mondiale.

E anche in questo caso la realtà supera la fantasia, quantomeno quella dei burocrati del massacro di massa con velleità narrative.

Sicuramente le pagine che ci attendono sono tutte da scrivere, per far sì che la fantasia di un mondo senza sfruttamento superi la realtà di un capitalismo genocida, ma conviene sbrigarsi prima che finiscano carta e inchiostro.

E soprattutto che si arrivi al film tratto da un libro che vogliono scrivere col nostro sangue.

8 Una sua stroncatura tramite recensione di un autore afghano è stata commentata in questi termini: «uccideva civili afghani, ora vuole influenzare la loro letteratura» (https://www.trtworld.com/magazine/he-killed-afghan-civilians-now-he-wants-to-influence-their-narrative-59078)

10 Pensiamo alla condanna a morte commutata in ergastolo per un ex-ministro della Giustizia: https://www.askanews.it/esteri/2022/09/22/cina-condannato-allergastolo-per-corruzione-ex-ministro-giustizia-pn_20220922_00029/

15 Cfr. G. D. Lutiis, Il lato oscuro del potere, Editori Riuniti (1996).

16 Cfr. «Esercito italiano: prepariamo insieme le sfide di domani» e «Esercito 2035» (a cura del III Ufficio Pianificazione Generale dello Stato Maggiore dell’Esercito, 2019), entrambi scaricabili dal sito dell’EI.

17 https://www.trasportoeuropa.it/notizie/ferrovia/hacker-hanno-colpito-anche-le-merci-su-treno/

18https://www.huffingtonpost.it/esteri/2022/10/02/news la_nato_fissa_le_due_linee_rosse_che_putin_non_puo_oltrepassare-10334970/

20 Cfr. “Limes”, numero 8/22, «La Guerra Grande» , in cui si parla di stretto di Taiwan e Mar Mediterraneo come teatri dei prossimi conflitti.

22 Cfr. Keucheyan, La natura è un campo di battaglia, Ombre Corte, 2020

23 In Alto Adige si è svolto un convegno promosso dall’Esercito Italiano e alcuni istituti di geopolitica dal significativo titolo «Artico: il nuovo “grande gioco” mondiale», contestato da alcuni antimilitaristi: https://oltreilponte.noblogs.org/post/2022/10/04/bolzano-a-castel-mareccio-si-prepara-la-guerra-di-domani-contestato-convegno-del-complesso-militare-industriale-energetico-sullartico/

24 Cfr. G. Pitron, La guerra delle metalli rari, LUISS Press, 2019 e La guerra del sottosuolo, Hourrya, 2020.

25 Una narrativa ”di genere” che andrebbe rivalutata. L’elenco qui sarebbe lungo, ma basti menzionare Il giorno dei trifidi di John Wyndham, Una maschera per il generale di Lisa Goldstein e La guerra contro gli Chtorr di David Gerold.

27 cfr. Calusca City Lights e radiocane.info (a cura di), Riot! George Floyd Rebellion 2020, Colibrì (2021)