Guerra alla Russia ed emergenza permanente

Riceviamo da Nicola e pubblichiamo ben volentieri queste sue ultime, dense riflessioni (qui potete trovare le “puntate” precedenti: 1, 2, 3, 4). Cosa cerchiamo in un’analisi? Non per forza che sia condivisibile in toto (ci sono testi che condividiamo appieno ma che non aggiungono nulla a ciò che già sappiamo), bensì che possieda alcune caratteristiche. Che ponga le domande giuste e urgenti; che il tentativo di rispondervi sia chiaro nelle sue linee essenziali e ben articolato nei passaggi e nei diversi piani che intreccia. Da questo punto di vista, gli appunti di Nicola si segnalano anche questa volta per lucidità di sguardo, autonomia di giudizio e profondità di prospettive. Insomma, un’utile scaletta di problemi rivoluzionari. Buona lettura.

Guerra alla Russia ed emergenza permanente

L’emergenza della pandemia non è finita. È tenuta in caldo, pronta per essere ripresa in autunno, con l’obiettivo di estendere a tutti, bambini compresi, l’obbligo vaccinale e il green pass (GP). Contro la sua ripresa militano alcuni fattori importanti.

Interni a ogni singolo paese: riluttanza delle popolazioni, stanche delle restrizioni e sfiduciate nei vaccini, emergere di una crisi economica che potrebbe riaprire il conflitto sociale su vasta scala, indebolendo la disponibilità della gente a mettere al primo posto la pandemia, soprattutto se dovesse continuare l’evidenza di provocare malattie non gravi e con scarso rischio di ricovero e decesso.

Internazionali: molti paesi potrebbero sottrarsi a un ulteriore allarme mondiale. In ciascuno di essi la gestione della pandemia ha fatto passi indietro grazie alle reazioni popolari. L’India è il caso più evidente: la lotta dei contadini non s’è fatta condizionare dai lockdown, con oltre un anno di mobilitazione ha vinto costringendo il governo a recedere dalla contro-riforma agraria e ha smantellato la narrazione pandemica, inducendo il governo a diffondere l’ivermectina che ha drasticamente ridotto ricoveri e decessi. In Russia non ci sono state mobilitazione di piazza, ma la popolazione ha semplicemente sabotato vaccini e GP. Rifiuti analoghi in molti paesi asiatici, africani, latinoamericani e dei Balcani (non solo i soliti serbi…).

La stessa Cina presenta caratteri diversi dalla gestione occidentale: fa lockdown rigidi, ma limitati nello spazio e nel tempo, perché avverte il pericolo di attacchi biologici (la scoperta dei laboratori in Ucraina la dice lunga sulla pratica Usa/occidentale di diffondere patogeni soprattutto verso Russia e Cina). Ciò non toglie che i lockdown siano ugualmente inutili a eradicare il virus e molto utili, invece, a operazioni di disciplinamento sociale. La Cina, comunque, non usa vaccini occidentali, non impone obbligo vaccinale e non usa il GP.

La riluttanza a obbligo e GP è molto forte anche nei due paesi occidentali decisivi: Usa e Germania.

L’Oms, non di meno, sta cercando di dotarsi di un potere mondiale accentrato in caso di pandemia al fine di disporre misure d’ogni tipo a tutti i paesi a prescindere dalle loro legislazioni. D’altronde, la definizione di pandemia è stata slegata da ogni criterio di quantità di morti e malati. È nella disponibilità dell’Oms dichiararla sulla base dei contagi (determinati con tests Pcr ampiamente manipolabili…).

Questo vuol dire che chi domina l’Oms non molla anzi rilancia. Grande finanza, Big Pharma, Big Tech, gli Stati occidentali non rinunciano a utilizzare gli allarmi sanitari per imporre a tutto il mondo il proprio dispotismo sanitario con il quale condizionare politica, economia, rapporti sociali di ogni paese. Finora solo la Russia ha avanzato qualche dubbio su questa assunzione di potere dell’Oms sugli Stati.

La pandemia, dunque, è ancora in caldo come mezzo di disciplinamento sociale interno e internazionale a vantaggio del grande capitale occidentale. Tuttavia, senza soluzione di continuità, una nuova emergenza è già iniziata. Quella bellica. Con l’intervento russo in Ucraina, provocato da una decennale aggressione alla Russia da parte di Nato e Occidente collettivo, è comparso un nuovo nemico. Governi e media lo trattano con le stesse modalità usate con il Sars-Cov-2. Un nemico oscuro, irrazionale, imprevedibile, terribile, privo d’ogni umanità, contro il quale è necessario unirsi compatti in una comunità resiliente sotto la guida dello Stato, accettare ogni sorta di sacrificio esistenziale, fare la guardia contro l’untore sedotto dal negazionismo o dal filo-putinismo (magari solo perché vuole tenere la temperatura di casa a 20° invece di 19°…).

Finora la propaganda emergenziale bellica non ha sfondato a livello popolare come quella pandemica. Innanzitutto perché è più complicato agire sulla minaccia alla propria vita, che per la pandemia è stato facile diffondere, mentre per la guerra è necessario convincere che le armate russe siano una minaccia alla vita maggiore di quella rappresentata dalla guerra Nato/Russia per la quale si invoca la necessità di intrupparsi. Questa, infatti, potrebbe divenire nucleare e ciò suscita più paura del propagandato rischio dell’arrivo dei disumani russi in casa propria. Sicuramente, poi, per le perplessità sull’utilità di farsi del male per punire Putin con le sanzioni. Ma anche perché sono cresciuti dubbi sull’affidabilità di Stato e media a proposito di pandemia, vaccini e GP. In ogni caso la maggior parte di chi ha colto la totale malafede di Stato e media su pandemia e vaccini è oggi in prima fila a contestare la versione che questi danno della guerra.

Guerra permanente contro Russia e Cina

Ciò nonostante l’emergenzialismo bellico proseguirà. Si concluda o no l’operazione russa in Ucraina, il progetto politico occidentale è del tutto chiaro: aprire uno stato di guerra permanente contro la Russia, e dopo aver sconfitto o logorato questa, contro la Cina. Una guerra con tutti i mezzi a disposizione: politici, mediatici, economici, finanziari, militari, biologici, sportivi, culturali, religiosi, ecc.

L’Occidente aveva preparato contro la Russia un blitzgrieg. Dopo averla costretta a intervenire le ha scatenato contro un nugolo di sanzioni con le quali contava di precipitarla in una severa crisi economica fino al punto di provocare una crisi sociale e politica, con la caduta di Putin e il ritorno ai gloriosi (per l’Occidente) anni di Eltsin, con popolazione immiserita, saccheggio delle risorse naturali e minerali, e la possibilità di attuare quello che non era riuscito allora, ossia il completo annientamento della sua unità statuale. La Russia ha dimostrato, finora, di saper resistere contro le manovre occidentali, aiutata anche dal fatto che la maggioranza dei paesi si sono rifiutati di aderire alle sanzioni. Il blitzgrieg è fallito. Ciò ha fatto insorgere nelle élite occidentali qualche dubbio sulle modalità di prosecuzione. Da un lato si schierano coloro che premono per elevare il livello a scontro militare tra Nato e Russia, non perché convinti di vincerlo nell’immediato, ma perché contano sul fatto che la Russia arretrerebbe piuttosto che accettare la guerra totale, e, ancor più, sul fatto che una lunga guerra logorerebbe la Russia più dell’Occidente, che ha capacità produttiva di armi molto superiori alla prima. Dall’altro iniziano a farsi vivi settori economici e politici che temono i danni subiti da una guerra totale contro la Russia e mirano a un compromesso momentaneo sull’Ucraina con una prosecuzione della guerra tramite, per ora, i soli metodi finanziari, economici, ecc.

I primi sono dislocati soprattutto nell’anglosfera, ma hanno una presenza significativa altrove, a partire dall’Italia. I secondi, osteggiati pesantemente dai media che rivelano (come per la pandemia) la loro completa sottomissione agli ordini di scuderia Usa e delle grandi multinazionali, si manifestano, sempre meno timidamente, in alcuni paesi europei (e anche in Usa).

È possibile vedere in queste prime crepe i prodromi di un disallineamento tra Europa e Usa?

Una separazione nel campo occidentale è, prima o poi, possibile, non certo, però, per iniziativa di qualche borghesia, ma solo come effetto indotto da forti conflitti di classe, cui forzatamente offrire un piano di riscatto nazionalistico a sostegno delle proprie mire imperialiste anche contro precedenti alleati.

In mancanza di ciò l’Occidente collettivo si può dividere, al massimo, sulle tattiche di scontro e su come ripartire al proprio interno i suoi vantaggi e svantaggi, ma rimane unito nell’obiettivo di fondo: stroncare il tentativo russo e cinese di affrancarsi dal ruolo di produttori, l’una, di materie prime a basso costo, l’altra, di plusvalore a uso e consumo del capitale occidentale. Se Germania e altri europei dovessero, infatti, in futuro sganciarsi dagli Usa, non per questo costruirebbero con Russia e Cina rapporti alla pari, ma avrebbero persino maggiore bisogno di sottometterle sul piano economico e politico, di sfruttare a proprio vantaggio la loro potenza militare e utilizzare le loro popolazioni come carne da cannone nel caso di conflitto mondiale.

Perciò nell’Occidente collettivo c’è piena condivisione sugli scopi delle misure anti-Russia. Si tratta di costringerla a sottomettersi pienamente alle esigenze di chi domina il mercato mondiale, la forma moderna dell’imperialismo, in cui un pugno ristretto di paesi si appropriano della stragrande quota di profitti mondialmente prodotti tramite il dominio del capitale finanziario accumulato grazie al fatto che il loro sviluppo capitalistico data da un tempo più lungo. Il capitale finanziario, moltiplicatosi con le sue ingegnerie, è divenuto ormai, con il credito, indispensabile per mantenere in vita lo stesso processo di accumulazione e per sostenere alcuni mercati solvibili di consumo, decisivi per tutta la produzione mondiale. Il suo potere si esercita, inoltre, con la violenza diplomatica e militare. Per affrontare la crisi dell’accumulazione, che perseguita da decenni l’intero sistema, deve incrementare ulteriormente la massa di profitto di cui si appropria. Ciò comporta la necessità di aumentare l’estorsione di plusvalore dai lavoratori di tutto il mondo, ma anche di centralizzare a sé tutti i profitti. La centralizzazione si traduce, in Occidente, in un attacco durissimo a piccole imprese, ceti medi proprietari e cognitivi, e per il resto del mondo nel tentativo di ridurre le pretese – se possibile annullarle del tutto – di paesi o Stati che cercano di trattenere per sé maggiori quote di profitto per finanziare un proprio sviluppo e per evitare l’esplosione di conflitti sociali interni.

Russia e Cina sono riuscite negli ultimi decenni a compiere passi, modesti ma reali, di accumulazione in proprio, con cui migliorare anche le condizioni delle proprie classi sfruttate (che non hanno mai smesso di battersi!). Ciò è stato possibile grazie al loro inserimento nel mercato mondiale, l’una come produttrice di materie prime, l’altra come officina del mondo. Questa loro risalita non è più tollerabile. Ogni quota di profitto trattenuta da loro è una quota di profitto sottratta al grande capitale occidentale in crisi. Questo è l’incubo che agita Wall Street, City, Washington, Londra, Tokyo, Berlino, Roma, ecc. Non la paura che la Cina, col supporto russo, possa sostituire gli Usa (e l’Occidente collettivo) nel dominio sul mercato mondiale. Questa è una sonora stupidaggine che non ha alcun fondamento reale sul piano finanziario, economico, politico, militare. È solo un argomento di propaganda agitato per suscitare la paura del proletariato occidentale sulla minaccia di nuovi e più paurosi mostri, cui possono dare credito solo certi marxisti abituati a prendere per buone tutte le panzane (come la pandemia incurabile se non con magici vaccini) distribuite dalle grancasse capitalistiche, governative e mediatiche per disciplinare proletari e ceti medi da spolpare.

Il ricatto che l’Occidente scaraventa sulla Russia è: se vuoi stare nel mercato mondiale devi starci alle nostre condizioni, rinuncia a un proprio autonomo sviluppo industriale, svendita delle materie prime, miseria delle masse proletarie e contadine.

La Russia capitalistica non vuole e non può rinunciare al mercato mondiale, ma deve provare a modificarne la struttura, cercando di elevare la sua quota di profitti per finanziare un maggiore sviluppo in termini di industrialismo, produttività agricola, autonomia finanziaria, creando, con ciò, anche le condizioni per una maggiore e durevole stabilità sociale al proprio interno.

Per difendersi, in questo momento di acutizzazione dello scontro, la Russia è costretta a cercare mercati alternativi, che, in buona parte, sta effettivamente trovando. Ciò induce alcuni a sostenere che ormai siamo entrati in una fase di de-globalizzazione con la formazione di due blocchi mondiali, l’uno intorno a Usa/Europa, l’altro a Cina/Russia. Altri a inaugurare l’era del multipolarismo, in cui ogni paese vedrà riconosciute le proprie esigenze senza subire più il dominio di un qualche egemone. Illusioni ottiche. Il capitale finanziario e l’imperialismo che vi è collegato non possono rinunciare ad appropriarsi della massa di plusvalore prodotto in ogni singolo angolo di mondo. Dall’altro lato nessun paese capitalista, debole o forte, può, ormai, fare a meno del mercato mondiale per sostenere e sviluppare i propri livelli di produzione di materie prime, e, ancora di più, di prodotti e servizi. La de-globalizzazione o il multipolarismo potrebbero, perciò, affermarsi al più per un limitato periodo, in cui, però, crescerebbero, inevitabilmente, tutte le condizioni per un nuovo violento scontro bellico mondiale.

Dentro o contro il mercato mondiale?

Il coinvolgimento nel mercato mondiale costituisce, quindi, un vero punto di debolezza per la Russia capitalista. Non può farne a meno, e, perciò, conduce la sua lotta con la prospettiva di un compromesso con chi lo domina. Chi lo domina, però, non può più tollerare alcun compromesso, anzi ha necessità urgente di revisionare al ribasso quelli tollerati finora. La crisi dell’accumulazione di capitale, e, in essa, il rischio di esplosione dell’immensa bolla finanziaria, esige sangue fresco per rinnovare la propria vita. Sangue e sudore del proletariato occidentale, sangue e sudore del proletariato internazionale, anche a costo di distruggere gli Stati dietro cui quest’ultimo cerca di sviluppare le proprie tutele.

La Russia capitalista può perciò guerreggiare fino a un certo punto contro l’aggressione, ma è pronta a sancire un compromesso, che sarà pagato soprattutto dalle sue classi sfruttate. Queste (e buona parte di quelle ucraine, sicuramente nelle zone russofone) sostengono lo sforzo bellico del paese, in quanto sono perfettamente consapevoli che lasciare spazio ai progetti occidentali vorrebbe dire essere ricacciate agli anni terribili di Eltsin o della Maidan occidentalista, anzi molto peggio. La prospettiva che, però, si para loro davanti porrà all’ordine del giorno la necessità di mettere in campo un proprio protagonismo.

Anche se la Russia, infatti, uscisse vincente in Ucraina, cosa probabile, dovrebbe affrontare uno scontro ancora più duro. La necessità capitalistica di non poter fare a meno del mercato mondiale costituirà per essa una pesante palla al piede. Perciò la prospettiva che si apre è: o la Russia cede, con conseguenze drammatiche per il suo proletariato, o la guerra totale. Nel primo caso il proletariato – vistosi tradito dai cedimenti dello Stato – sarebbe chiamato ad assumere direttamente sulle proprie spalle l’onere della lotta contro l’imperialismo, e, però, dovrebbe necessariamente rifiutare la palla al piede del coinvolgimento nel mercato mondiale capitalistico, e, dunque, ricercare, per la necessità pratica di riproduzione della propria vita, modi diversi dal capitalismo (qualcosa di molto simile alla Comune del 1871), ponendo, con ciò, la potenzialità di divenire, per la seconda volta nella storia, un esempio vivo per tutto il proletariato mondiale, questa volta, però, senza la zavorra della prima, di partire cioè da condizioni economicamente arretrate e scarso sviluppo delle forze produttive. Nel secondo caso dovrebbe necessariamente lottare per difendere la propria vita dalla minaccia distruttiva di una guerra totale mondiale. In questo secondo caso, tuttavia, è molto difficile che un’iniziativa contro la guerra mondiale del capitale possa svilupparsi a partire dalla sola Russia. Ci sarebbe bisogno che analoghi segnali di rottura del fronte tra le classi si aprissero anche, e soprattutto, in Occidente. Da questo lato i segnali sono, per ora, del tutto assenti, se persino coloro che annunciano pomposamente la volontà di lottare contro la guerra del capitale, recitate le rituali declamazioni, si dedicano poi a esercizi di funambolici contorsionismi per addebitare alla Russia le responsabilità dell’aggressione all’Ucraina o per mettere sullo stesso piano un (finanziariamente, economicamente, militarmente impossibile) imperialismo russo con quello occidentale…

Crisi economica devastante

In Occidente l’aggressione alla Russia sta, come detto, generando le prime contraddizioni. Queste non riguardano gli obiettivi, ma la ripartizione di vantaggi e svantaggi, per adesso nella conduzione della guerra, in seguito per i benefici di un’eventuale vittoria. L’esclusione della Russia dal mercato mondiale, anche se provvisoriamente dal solo mercato occidentale, produce, infatti, danni enormi all’economia europea e molto inferiori agli Usa. Gli Usa, anzi, ne hanno da guadagnare con la vendita delle armi e delle risorse energetiche e con il fatto che i maggiori costi per l’economia europea gli danno una possibilità di rilanciare la competitività della propria produzione industriale.

Questi due elementi stanno suscitando resistenze nei settori capitalistici europei legati alla produzione industriale. I problemi sono molteplici e la quadratura del cerchio non molto agevole, forse impossibile. Per il capitale finanziario, che domina essenzialmente dagli Usa, e per gli stessi Usa (pericolosamente esposti a gravi crisi economiche e sociali) come entità statuale è indispensabile incrementare la centralizzazione dei profitti a proprio maggiore vantaggio, riducendo anche le quote degli alleati. Anzi, più è difficile contrastare Russia (e Cina) nelle velleità di risalita, più, per il capitale finanziario e per gli Usa, è irrinunciabile aumentare la pressione anche sugli alleati, oltre che sul resto del mondo. Per gli alleati, il dilemma è shakespeariano. Hanno forte bisogno che gli Usa conservino il potere di stabilizzare il mondo, perché questo include anche la loro possibilità di appropriarsi di profitti ovunque prodotti e di conservare proprie aree di dominio, mentre non vorrebbero svenarsi per sostenerli. Come già detto, tuttavia, queste contraddizioni non sono in grado di produrre serie spaccature nel fronte occidentale, almeno fino a quando non dovesse irrompere un forte conflitto di classe. Sono costretti a rimanere, perciò, abbracciati a lungo, forse per sempre, e a cercare di affrontare insieme la fase complicatissima che si apre, tra crisi economica e crisi belliche.

La scarsità delle materie prime e l’incremento dei prezzi indotti dalle sanzioni per espellere la Russia, fatta la tara sulla ripartizione dei danni, provocherà comunque a tutta l’economia reale una crisi devastante, forse una vera e propria lunga depressione. Si cercherà, ovviamente, di salvare quanto più possibile il capitale finanziario con l’immissione monetaria a tasso zero per motivi bellici, dopo averlo salvato per motivi pandemici, e quando ciò non sarà più possibile, si cercherà di passare a una fase di sgonfiamento controllato e pilotato delle bolle ai danni dei piccoli risparmiatori e degli Stati che continuano a ingrossare i debiti pubblici e, ancora di più, dei paesi già oppressi dalla tirannia dei crediti occidentali.

Ma, classi sfruttate e ceti medi, proprietari e cognitivi, saranno sospinti in condizioni di vita e di lavoro sempre più povere e dure, con una crescita esponenziale della disoccupazione e della precarietà.

Il rischio, perciò, di acuti conflitti sociali diviene sempre più alto. Come fronteggiarlo?

Paradigma emergenziale

La gestione politico-sanitaria della pandemia ha sviluppato un’utile esperienza e una serie di strumenti adatti allo scopo. Lo Stato ha riconquistato il ruolo, consuntosi nell’epoca neo-liberista, di rappresentante benevolo della comunità nazionale e ha potuto, con ciò, assumere misure di controllo sugli individui e di disciplinamento sociale prima inimmaginabili. Ciò è stato possibile perché la maggioranza della popolazione ha avvertito il rischio di morte per causa di un virus, accettato l’esistenza di un’emergenza per la propria vita e ha trovato, quindi, necessario delegare allo Stato, al grande capitale, alla sua scienza e alla sua tecnica, la propria salvezza e la propria salute.

A causa, perciò, di un’emergenza riconosciuta oggettiva è apparso come necessario: 1. cedere allo Stato i propri diritti e la propria autonomia di vita, consentendogli di decidere quali cure e trattamenti farmacologici o meno introdurre nei propri corpi; 2. accettare molteplici forme di disciplinamento e una generale compressione del livello di vita relazionale e dei consumi; 3. accettare un’estensione dei poteri di controllo degli apparati tecnologici e, soprattutto, dello Stato.

Questo paradigma è destinato a segnare la fase storica appena iniziata: emergenza riconosciuta come oggettiva che attenta alla vita dell’individuo e provoca la cessione di potere allo Stato e alla tecnocrazia del grande capitale come una necessità per la difesa della propria nuda vita. Di emergenza in emergenza attraverso una crisi epocale del capitale, che non si sa come risolvere, ma che bisogna evitare che si trasformi in crisi sociale e politica che potrebbe mettere in questione le basi stesse del rapporto di capitale.

Non è finita, perciò, l’emergenza pandemica che già inizia quella bellica, e con essa l’emergenza (provocata dalle sanzioni non dalla guerra) degli approvvigionamenti di energia, materie prime e alimenti. In cantiere è già pronta anche l’emergenza climatica, con il suo nemico dichiarato dalla solita scienza: l’anidride carbonica. Ogni volta la nuda vita fisica individuale appare minacciata da un nemico comune. Ogni volta i soggetti in grado di risolvere o contenere l’aggressione sono lo Stato, supportato e guidato dal grande capitale e dalla sua presunta capacità di risolvere il governo degli uomini e della natura con la governance tecnocratica esercitata con algoritmi.

Disciplinamento sociale

Ognuna delle emergenze, e la loro combinazione, sono occasioni per perfezionare gli strumenti di disciplinamento sociale avviati con la pandemia. Per affrontare le carenze energetiche, alimentari, per salvare il mondo dalla CO2, per tenere sotto controllo l’esplosiva massa di capitale fittizio, diverranno, infatti, ancora più indispensabili per il bene di tutti il controllo pervasivo dello Stato, il controllo reciproco tra i cittadini e la diffusione delle tessere verdi.

Il fulcro di questo sistema di controllo e disciplinamento è l’ID, Identità Digitale, un portafoglio di dati personali per verificare la conformità di ciascuno ai comportamenti disposti dallo Stato per perseguire il presunto bene comune. L’ID è l’obiettivo ultimo del GP e dei passaporti vaccinali, utile nell’immediato futuro anche per il razionamento del cibo, l’impronta del carbonio, la moneta digitale, il reddito di base universale, l’accesso a internet, il controllo delle relazioni sociali, dell’attività sindacale e politica, ecc. Per esso va completato il percorso di acquisizione dati: dati biometrici, cartelle cliniche, finanze, abitudini di consumo, e l’intero arco delle esperienze umane devono essere archiviate su un database inter-operabile. E va completata la diffusione di 5G e 6G. I problemi da risolvere sono, quindi, ancora enormi, ma, intanto, di emergenza in emergenza poste come vitali per la vita di ciascun individuo e della collettività, si farebbero passi avanti verso un disciplinamento totalitario.

I caratteri di questo progetto sono ormai chiaramente delineati non solo nei pensatoi del grande capitale, ma anche nelle azioni e programmi di tutti i governi occidentali a partire dalla dichiarazione di pandemia. Con esso si delinea un nuovo totalitarismo che supera e perfeziona quello realizzato da fascismo e nazismo. Ora come allora non si tratta di una pura e semplice dittatura che si impone col solo ricorso alla violenza, che viene riservata solo a chi resiste e si oppone apertamente. Ora come allora sono in atto meccanismi che tendono a guadagnare il consenso di parti rilevanti delle popolazioni. Ora più di allora il totalitarismo assume rilievo onnipresente in ogni aspetto della vita collettiva e individuale. Un totalitarismo con un duplice carattere: totalitarismo del capitale che si è introdotto fin dentro l’intimità desiderante di ciascuno, totalitarismo dello Stato che impone il suo comando come frutto benevolo di istanze provenienti dal basso (si veda: https://ilrovescio.info/2021/11/30/no-pass-fascismo-fascisti/).

Crisi epocale del capitale

Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi epocale del capitale. Non risolvibile con i soliti strumenti in grado di far ripartire un nuovo ciclo di accumulazione. Il nuovo totalitarismo diviene, perciò, una necessità per affrontare il rischio di conflitti di classe a scala mondiale che potrebbero mettere in serio pericolo le basi stesse del rapporto di capitale. Il capitale ha esaurito le possibilità di stemperarlo con mediazioni formali e sostanziali, come aveva potuto fare nella fase del compromesso socialdemocratico e di quello neo-liberista. Una sorta di compromesso vigeva, infatti, anche nella fase neo-liberista. Le classi sfruttate erano assoggettate alla crescente precarizzazione della vita e all’intensificazione dello sfruttamento, ma potevano, però, compensare almeno in parte con un generalizzato accesso al credito, facilitato dall’incremento del capitale fittizio e dalla sua necessità di trovare nuove forme di valorizzazione, e dall’illusione dell’individuo proprietario che considerava sé stesso un capitale da investire, anche nell’esercizio dell’intelligenza necessaria per sfruttare le opportunità di arricchirsi offerte dalla giostra finanziaria. Il totalitarismo diviene, inoltre, una necessità anche per il disciplinamento ai fini di un sempre più probabile conflitto mondiale.

Tutto ciò, tuttavia, difficilmente potrà realizzarsi senza profonde resistenze sociali, senza conflitti di classe, nelle mille forme in cui questi possono manifestarsi in tutto il mondo, pur dovendo affrontare condizioni terribilmente più complicate quanto a repressione, controllo e disciplinamento. Resistenze contro gli effetti della crisi economica e degli attacchi alle condizioni di vita e di lavoro, contro il disciplinamento – per via sanitaria, alimentare, energetica, climatica, ecc. –, contro l’intruppamento bellico e le distruzioni provocate da guerre locali o totali. La domanda, che per coerenti militanti anti-capitalisti è anche impegno politico e organizzativo, su cui è indispensabile concentrarsi è se è possibile resistere al nuovo totalitarismo della crisi epocale del capitale con un nuovo partigianesimo volto a ripristinare le condizioni quo ante, oppure se nel seno di queste resistenze si può finalmente sviluppare il bisogno di superare lo stesso rapporto di capitale.

Il rapporto di capitale è uno dei vari modi con cui l’umanità ha affrontato il problema di come riprodurre la propria vita individuale e di specie. Oggi esso è dinanzi ai propri limiti storici. Dopo avere prodotto e riprodotto sé stesso ma fornito, nel bene e nel male, anche la riproduzione della vita umana, inizia oggi a contrapporre la prima alla seconda. La sua conservazione implica ormai un arretramento della vita umana:

– produce una massa crescente di popolazione eccedente, inutile alla propria riproduzione e anzi di ostacolo a essa (su questo sarebbe utile iniziare ad affrontare, con cautela ma senza tabù, un’indagine sui progetti di de-popolamento, che non esistono solo nella mente malata di qualche complottista);

– estende la pratica di lavori con salari al di sotto della soglia di sopravvivenza;

– permette di riprodurre la propria vita solo se si rinuncia a ogni autonomia umana e si accetta di trasformarsi in robot manipolato da remoto grazie al transumanesimo e all’uomo potenziato dalla Intelligenza Artificiale.

L’opposizione alla gestione autoritaria della pandemia, all’obbligo vaccinale e al GP, è stato un piccolo esempio di come possano emergere mobilitazioni che si distanziano dal terreno sindacale, sia pure senza negarlo, e si dispongono sul terreno imposto dall’avversario, che era apparentemente sanitario, ma in realtà pienamente politico. E questo è il dato che ha caratterizzato e unificato la mobilitazione internazionale su questi temi. Con tutte le confusioni del caso è stata chiara la consapevolezza che non si trattava di semplici rimedi sanitari o para-sanitari, ma di una presa di dominio totalitario da parte delle élite dominanti per provocare un inflessibile disciplinamento sociale al fine di attuare una profonda ristrutturazione degli assetti economici, sociali e politici ai danni delle classi sfruttate e dei ceti medi in via di impoverimento. E con tutte le confusioni del caso in questo movimento ha iniziato a farsi spazio anche il dubbio che forse il sistema capitalistico non sia esattamente la cosa migliore per la vita umana.

Lo stesso dubbio che si fa strada nei milioni di persone che rifiutano il lavoro per salari che non danno neanche il minimo vitale. Lo stesso dubbio che serpeggia tra i lavoratori che vedono come non si tratti più di lavorare per vivere, ma di vivere per lavorare. Non tanto come coscienza ideologica, ma come necessità pratica: per sottrarsi al suo dominio totalitario, per esempio, non basta rifiutare vaccino e green pass, ma forse è necessario rifiutare la sottomissione della vita alla riproduzione del capitale, un sistema che, ormai, permette di vivere solo se si rinuncia, appunto, a ogni autonomia umana.

La crisi del capitale prepara per il proletariato e i popoli del mondo oppresso dall’imperialismo un futuro (prossimo e remoto!) di miseria e di schiavitù allo Stato e al capitale.

Ma, forse, per la prima volta nella storia, può svilupparsi una resistenza pratica di massa che getti le fondamenta per lo sviluppo di una reale necessità di eliminare il rapporto di capitale, di superarlo con una comunità umana di individui sociali che abolisca, non per decreto di qualche potere dittatoriale, ma come risultato di un movimento pratico – da cui solo può conseguire un moto anche politico, teorico e organizzativodi massa internazionale, lo scambio, il salario, la moneta e lo Stato, con tutto il corollario di sfruttamento, oppressione, rapporti disumani, distruzione della vita e dell’ambiente che portano con sé.

15 maggio 2022

Nicola