Una Comune in cammino

Un’altra Ucraina: quella rivoluzionaria e libertaria che emerge tra il 1917 e il 1921. Una terra dell’utopia vissuta, in cui le armi sono tutt’uno con i Consigli di contadini e operai, con le misure semplici e risolute del comunismo anarchico; in cui la resistenza proletaria contro gli eserciti occupanti è parte dello slancio di emancipazione dal nemico di classe. Ecco cosa ci ricorda questo “esercizio di gratitudine” uscito sul mensile anarchico “Invece” nel dicembre del 2012.

Una comune in cammino

Eccoci qui, siamo tra le braccia della morte.

Quelli fra noi che si mostreranno più intrepidi la vinceranno.

Amici, facciamoci intrepidi fino alla follia.

Nestor Makhno

Questa volta le corde della mia gratitudine non riverberano per un autore o per un libro, bensì per un episodio storico. “Episodio” non è il termine esatto. Senza retorica, si può parlare qui di una vera e propria epopea, una di quelle pagine di storia proletaria e rivoluzionaria che dovrebbero essere scolpite nella memoria e nei cuori di tutti coloro che si battono per la libertà.

La mappa

Un buco nello spazio-tempo: l’Ucraina rivoluzionaria e libertaria, dal febbraio del 1917 all’agosto del 1921.

In quella terra del sud-ovest russo, da secoli zona franca per fuggiaschi e ribelli, recalcitrante a tutti i poteri, la rivoluzione del 1917 trova mani e cuori risoluti, dando vita a Comuni e a Consigli di operai e contadini insorti che si organizzano liberamente senza aspettare alcun partito politico. Il più vasto e duraturo esperimento di autorganizzazione che la sollevazione contro l’impero zarista e contro i ricchi abbia prodotto. Un esperimento segnato fin dall’inizio dalla costante necessità della guerra partigiana contro gli occupanti.

Prima contro le truppe austro-tedesche, a cui il trattato di pace siglato dal governo bolscevico a Brest-Litovsk aveva aperto le porte ucraine. La resistenza contro l’occupante non viene organizzata da alcun esercito regolare, bensì dal coordinamento pratico di bande di partigiani a cavallo. Partigiani che erano quasi tutti contadini poveri (come l’anarchico Nestor Makhno, vero e proprio genio militare) e che avevano sul nemico il doppio vantaggio della perfetta conoscenza dei luoghi e del pieno sostegno della popolazione. L’implacabile tattica del mordi e fuggi messa in pratica da piccoli distaccamenti a cavallo riesce a sconfiggere il potente esercito austro-tedesco, confermando le critiche mosse da anarchici e altri rivoluzionari alla scelta dei bolscevichi di firmare un trattato di pace con i capitalisti di Innsbruck e Berlino. Riprendendo la felice intuizione bakuniniana durante la guerra franco-prussiana, l’idea era che, grazie al potente slancio rivoluzionario in corso nel Paese, sarebbe stato di gran lunga preferibile non firmare alcun patto, lasciare entrare le truppe austro-tedesche e affrontarle con un vasto movimento partigiano, il quale avrebbe dato uno straordinario esempio di antimilitarismo popolare ai proletari di tutta Europa, allargando così la portata geografica e sociale della rivoluzione russa. Con le clausole del trattato si sacrifica invece l’Ucraina. Ma un conto sono le piatte carte ministeriali, un altro le accidentate mappe dei vivi. I contadini insorti riescono ad unire la sconfitta del nemico esterno con un rinnovato slancio contro il nemico di classe: i ricchi proprietari terrieri e il loro braccio politico, la cosiddetta Repubblica di Skoropadsky.

Neanche il tempo, però, di assaporare il gusto di una nuova libertà, che altre truppe di occupazione si profilano all’orizzonte: quelle dei generali controrivoluzionari, prima “bianchi” e poi “rossi”.

Passaggio a nord-ovest (e ritorno)

Leggendo le Memorie di Makhno, la Storia del movimento makhnovista di Archinov e La Rivoluzione sconosciuta di Volin (sia detto per inciso, uno dei più bei libri di storia rivoluzionaria), un racconto nel racconto mi ha sempre colpito, entusiasmato e commosso: l’odissea del “regno in cammino” della Makhnovcina braccata dalle truppe bianche del generale Denikin.

Nell’estate del 1919, Denikin organizza un secondo, feroce attacco contro la popolazione insorta dell’Ucraina per riconsegnare quest’ultima ai ricchi proprietari terrieri. Un attacco reso più minaccioso dal comportamento infame del partito bolscevico. Non potendo sopportare che un’intera regione sfugga al loro controllo e riesca a difendersi senza la loro Armata rossa, i dittatori “comunisti” dichiarano “controrivoluzionari”, “fuorilegge” e “al soldo dei generali bianchi” i liberi Soviet di operai e contadini assieme al Consiglio Rivoluzionario Militare di Makhno e compagni (Trotzsky ripeterà le stesse identiche calunnie contro il Soviet e il Comitato Rivoluzionario Provvisorio di Kronstadt, poco prima di “abbatterli come pernici”), reprimendo nel sangue anarchici e contadini insorti e spianando la strada alle truppe di Denikin.

Tra luglio e agosto del 1919, l’esercito insurrezionale rivoluzionario makhnovista, dopo aver retto per più di sei mesi il fronte verso il Caucaso, pugnalato alla schiena dai bolscevichi viene sopraffatto dall’avanzata di Denikin. Massacri, stupri e incendi costellano la scia dei “bianchi” nelle città e nelle campagne. Ecco allora l’odissea a cui accennavo: i circa ventimila partigiani makhnovisti si mettono in marcia assieme alla popolazione e al suo bestiame verso est.

Prendete in mano una cartina geografica, e immaginate diverse decine di migliaia di persone in movimento a piedi e a cavallo, con bambini e bestiame, dalle terre sopra il mare d’Azov fino a Kiev, ingaggiando giorno e notte feroci scontri con i loro inseguitori e trasportando migliaia di feriti. Nel settembre del 1919, la Makhnovcina viene definitivamente circondata nel distretto di Kiev. Non le rimane che una scelta: attaccare con tutte le proprie forze, in una battaglia campale, le soverchianti truppe controrivoluzionarie. Ed è ciò che avviene il 26 settembre a Peregonovka. Una battaglia in cui la rodata tecnica militare della fanteria e della cavalleria non può bastare: ci vuole anche e soprattutto quell’audacia folle, quell’estremo coraggio che viene dall’ideale, dal sentirsi parte di una storia impossibile tutta da scrivere. E l’impossibile si realizza: l’esercito di Denikin viene sbaragliato. Tra urla di vera e propria estasi collettiva, il regno dei poveri in cammino riprende, a redina bandita, il lungo viaggio di ritorno, liberando paesi e città. Il grande drappo nero con scritto a caratteri d’argento: “La Libertà o la Morte” e “La terra ai contadini, le fabbriche agli operai” porta con sé le misure semplici del comunismo anarchico. I detenuti vengono liberati, le prigioni fatte saltare in aria, i ricchi proprietari, le autorità e i poliziotti uccisi senza alcun “tribunale rivoluzionario”. I manifesti ai muri informano che ora spetta agli abitanti organizzarsi liberamente, che i makhnovisti non sono né un partito politico né un nuovo potere. Tra le pagine più belle di questa rivoluzione sconosciuta figurano quelle dell’ultimo congresso dei delegati contadini e operai dell’Ucraina insorta e libera, tenutosi ad Alexandrovsk nella settimana dal 20 ottobre 1919 in poi. Duecento delegati si riuniscono per giorni, senza partiti né gruppi rivoluzionari separati, al fine di organizzare fraternamente gli scambi tra città e campagna, definire i compiti della difesa militare, riaprire le scuole ecc. Volin racconta al riguardo un episodio apparentemente minore, ma in realtà molto significativo. Un “capo militare” makhnovista fa affiggere un avviso alla popolazione in cui la esorta a non girare ubriaca per strada, vista la situazione di costante minaccia controrivoluzionaria. Un delegato contadino fa presente al congresso che proprio il suddetto “capo” è stato riaccompagnato a casa, qualche giorno prima, completamente sbronzo. Il “capo”, un giovane anarchico molto amato dai compagni e più volte ferito in combattimento, si presenta al congresso e… si scusa, dicendo di annoiarsi da morire a fare il “capo militare” in città, seduto in un ufficio, e chiede il permesso di tornare al fronte. Dopo una bonaria redarguita, il congresso lo scusa e lo delega alle operazioni al fronte. Immaginate un capo militare dell’Armata rossa comportarsi allo stesso modo! Scrive Volin: “A certi lettori, questi episodi sembreranno forse insignificanti e indegni di occupare così tante pagine. Mi permetto di dir loro che, da un punto di vista rivoluzionario, li considero infinitamente più importanti, più suggestivi, e più utili, fin nei minimi dettagli, di tutti i discorsi di Lenin, di Trotzsky e di Stalin pronunciati prima, durante e dopo la Rivoluzione”.

La libertà è anche questo: un regno sospeso tra il coraggio, la sbronza, la tirata d’orecchi…

Venti mesi dopo il congresso di Alexandrovsk, nonostante un patto sottoscritto dal potere “sovietico” in cui veniva riconosciuta l’autonomia politica e militare della Makhnovcina, l’Armata rossa sterminava duecentomila contadini insorti e ne deportava altrettanti. Gli anarchici venivano imprigionati e fucilati dalla Ceka, le loro sedi devastate, i loro giornali chiusi. Il commento a tale furia dittatoriale lo avevano già scritto, a futura memoria, i marinai insorti di Kronstadt sulle loro Izvestia (“Notiziari”) nel marzo di quello stesso 1921: “Lenin dice:‘ll comunismo è il potere dei Soviet più l’elettrificazione’, ma il popolo ha potuto constatare che il comunismo bolscevico era l’assolutismo dei commissari e le fucilate”.

Caravanserraglio

Esercito insurrezionale e rivoluzionario” è senz’altro un ossimoro. Quello makhnovista aveva tuttavia ben poco dell’esercito tradizionale: la partecipazione era volontaria, i comandanti eletti e revocabili dalle assemblee dei soldati. Questo per quanto riguarda le operazioni di guerra. Per quanto riguarda la vita sociale rivoluzionaria – cui la guerra ha concesso ben poche tregue – l’ingerenza dell’esercito makhnovista era esclusa per principio e per statuto. Tuttavia.

Tutte le forze armate – anche partigiane, anche libertarie – tendono tuttavia a rendersi autonome rispetto alla “comunità” che difendono e di cui sono parte. La lotta armata deve avere sempre un ruolo di ancella rispetto all’insieme della trasformazione rivoluzionaria. Un aspetto, questo, su cui non si rifletterà mai abbastanza. Per questo, consiglia Volin, è importante fissare, “fin d’ora, certi princìpi”. “Il tempo incalza. Le conclusioni potranno essere utili prima di quanto non si creda”.

Chiudo i libri di storia e la cartina geografica per togliere ogni distanza.

Se c’è un equilibrio possibile tra forza armata e comune rivoluzionaria, esso ha forse i contorni di quella gigantesca migrazione di massa tra le terre dell’Ucraina, di quel comunismo anarchico in cammino, in cui i fucili viaggiano assieme agli animali e ai bambini. Un caravanserraglio dell’utopia che aspetta di essere riscattato, vendicato, vissuto.

M.

tratto dal mensile anarchico “Invece”, n. 19, dicembre 2012