Francia: L’impasse sanitario

Pubblichiamo più che volentieri questo bel volantino distribuito durante una manifestazione contro il lasciapassare a Parigi.

L’impasse sanitario

Certo la vaccinazione non è obbligatoria per tutti.

È proprio facendo leva sulla paura di non poter più muovere un dito che il governo calcola di trasformare l’intera popolazione in topi di laboratorio.

Ma  a parte i dubbi sull’appropriatezza della vaccinazione di massa con un vaccino incompiuto e potenzialmente pericoloso, ci auguriamo davvero di andare in giro con in fronte il marchio, il tampone, il  codice QR che faranno di noi, grazie al miracoloso effetto di una puntura, dei cittadini frequentabili?

Abbiamo una qualsiasi inclinazione a una vita le cui premesse, condizioni e la cui finalità consisterebbero nell’indecente esibizione del nostro stato di salute?

Da un anno e mezzo, e più, siamo paralizzati da un torrente di informazioni morbose, allarmanti e contradditorie, e da misure liberticide che ci allontanano sempre di più dal mondo reale, vissuto.

Ed ecco che si esige da noi, in nome di una “responsabilità civica”, di obbedire alla paura, di chiamare ciò “coraggio” e di dividere la società in due. Non c’è virtù alcuna nel farsi vaccinare.

Vaccinati o no, questo non ci riguarda, non ha da essere divulgato, non appartiene all’ordine del dibattito pubblico, non può essere una moneta di scambio, una considerazione di esistenza e di identità. Ciò appartiene al campo della credenza, dell’intimità, dell’abbandono.

E se io rifiuto di essere vaccinato, o se, anche vaccinato, rifiuto di esibirlo, sarò messo al bando di ogni vita pubblica? Perderò, per questa ragione, il mio impiego, non potrò più frequentare quelli che mi sono vicini? Che vita è quella in cui si è forzati a presentare pubblicamente una prova virtuale di una autorizzazione ad esistere? Di ostentare una legittimità digitale a detrimento della nostra semplice presenza?

E coloro che rifiutano la vaccinazione (e che non impediscono ad alcuno di accettarla) devono subire il sospetto permanente di essere dei pericoli fino a farlo visceralmente proprio al punto da segnalare la loro presenza con una campanella, come lebbrosi?

D’altronde il rispetto della confidenzialità e del segreto medico ci permetteva ancora di essere umani prima di non essere più altro che malati potenziali, amministrati sotto identità sanitarie.

Abbiamo voglia, quando mettiamo su un’attività economica o lavoriamo in un luogo pubblico, di servire da agenti della politica paranoica di un governo che conduce una campagna, a prezzo della cortesia e dell’ospitalità più elementari per una vita degna? Detto in altro modo, forse che i baristi, i pizzicagnoli, i bibliotecari, gli operatori, gli sportellisti, ecc. devono avere come ambizione quella di essere sbirri? Di esigere prima ancora di attaccare discorso i documenti di salute del pubblico?

Ed ecco che, non per ragioni di salute ma per paura di scomparire e vedersi sbarrare le porte di ogni spazio pubblico, milioni di persone si apprestano a subire un atto medico, un battesimo oltraggioso per poter accedere a una comunità da cui ogni vita viene a mancare a vantaggio dell’assolutismo digitale.

Dopo 200 anni di esperienze biochimiche di ogni genere, dovremmo contentarci di non essere più altro che cavie più o meno consenzienti dell’industria farmaceutica. I limiti etici (certo poco efficienti) nati da Norimberga, in seguito ai crimini nazisti, se ne vanno in pezzi; gli esperimenti scientifici sul materiale umano non hanno più barriere. Siamo ormai in fase 3 permanente del laboratorio-mondo.

Per avere una possibilità di ritrovare un cammino praticabile, occorre ricordare, al di qua o al di là di tutte le controversie, che il Covid è anzitutto una malattia industriale:

– per il suo emergere (che questo virus venga dall’artificializzazione di spazi selvatici, da un laboratorio di apprendisti stregoni mal rinchiusi o dalle capsule di Petri senza coperchio che sono gli allevamenti non a terra, è proprio lo sviluppo industriale ad esserne la causa);

– per il suo propagarsi (lo sviluppo inaudito e delirante del commercio mondiale è beninteso la sola causa di una contaminazione planetaria a una velocità del tutto inedita);

– per il tipo di persone che muoiono (la gran maggioranza delle persone morte di Covid erano colpite da malattie croniche la cui responsabilità è dovuta essenzialmente all’ambiente industriale in cui ci si condanna ad abitare).

Meno che mai è tempo di abbandonarsi alle promesse dell’industria.

Non inganniamoci. Di questi microbi infettivi emergenti siamo solo all’inizio. Già in allevamento da 30 anni, subiamo gli effetti di norme sanitarie stabilite in risposta a queste nuove epidemie: non si tratta di attaccare le cause – la proliferazione di modi di allevamento fuori terra (così simili alle condizioni di vita della maggioranza degli esseri umani) –, ma di far scomparire gli allevamenti all’aperto che restano tuttavia i soli a prometterci di farci uscire da una vita mortifera illusoriamente mantenuta sotto campana di vetro.

Decidiamo dunque di sostenere in modo sincero e non virtuale ogni persona refrattaria al passaporto sanitario e alla politica di vaccinazione di massa, di combattere l’insidiosa pressione che fermenta fra colleghi, amici, vicini, ecc., di non dare ascolto alla propaganda di Stato che vende l’uso del vaccino con un’aura di benevolenza menzognera, di raggrupparci attorno ai luoghi pubblici e ai negozi che affermano il loro rifiuto di ottemperare, e di far vivere questa domanda la cui assenza ci pesa: perché viviamo?

ALCUNI ERETICI ORDINARI