Il Diritto allo zio

Traduciamo e pubblichiamo questo testo di Anselm Jappe apparso nel mese di aprile sul blog francese mediapart.fr Benché contro la Procreazione Medicalmente Assistita e la riproduzione artificiale dell’essere umano siano apparse, soprattutto in Francia, delle riflessioni sia più approfondite sia più tempestive, queste considerazioni sono un riassunto piuttosto efficace sull’argomento. Ma soprattutto non provengono dai “soliti” giri anti-industriali, bensì da un filosofo marxista noto, oltre che per la biografia di Guy Debord, per la “teoria del valore”. Ecco, se persino “da quelle parti” lo sviluppo totalitario della tecnoscienza non appare più come una variabile secondaria dello scontro di classe, ma come un attacco alle facoltà stesse degli individui e della specie…

In Italia, invece, il dibattito su PMA e dintorni è pari allo zero.

Se, una quindicina di anni fa, in occasione del referendum sulla procreazione medicalmente assistita, ad attaccare contemporaneamente l’oscurantismo scientista e quello religioso fummo in poche e pochi (per usare un eufemismo), nessuno per lo meno ci diede dei “reazionari”; c’è da scommettere che, quindici anni dopo, le considerazioni di Jappe appariranno “scandalose” persino “dalle nostre parti”.

 

Il Diritto allo zio

da: https://blogs.mediapart.fr/anselm-jappe/blog/190421/le-droit-loncle

Il Senato ha appena rifiutato di validare la Procreazione medicalmente assistita (PMA, perché nel mondo del progresso tutto si riassume con gli acronimi) per tutte e tutti. L’Assemblea nazionale si appresta a ristabilirla, dal momento che era una promessa del presidente Hollande – o forse non la ristabilirà perché bisogna assecondare la destra… Intanto, manifestazioni di opposti orientamenti, ma sempre con partecipanti assai in collera, si alternano davanti ai luoghi del potere. Infatti, gli elementi in gioco sono numerosi e della maggior importanza: PMA solo per le coppie sposate o anche per le unioni libere; per gli omosessuali o meno; per le donne sole o no; rimborsata dall’assistenza sanitaria o con spesa a carico del cliente; con selezione prenatale degli embrioni o meno; sapere quanti embrioni “in sovrannumero” si creano; con congelamento degli embrioni in eccesso (e per quale uso) o con la loro distruzione; con donatore anonimo o no; con utero esterno o meno; post-mortem o no; con modificazione del genoma o meno; ecc. Ognuna di queste questioni solleva dibattiti appassionati, addirittura furiosi. Ma c’è una questione che non viene quasi mai posta: se deve esistere una forma qualunque di PMA, o se non sarebbe preferibile che non esistesse affatto. Quasi tutte le forze presenti sulla scena – i partiti politici, le associazioni di ogni genere, i manifestanti in strada, i media generalisti e specializzati – si scontrano unicamente sui dettagli dell’applicazione della PMA: nient’affatto sul principio. Anche la destra “dura”, la “Manifestazione per tutti”, gli integralisti cattolici osano assai di rado criticarla in quanto tale. In generale, vogliono semplicemente sottometterla ai criteri della loro morale, la quale appare disperatamente arci-datata al resto della popolazione. Ma se è una coppia tradizionale che vuole farvi ricorso, la maggior parte di loro non sembra aver obiezioni al riguardo. Non si può fare a meno di stupirsi di una tale acquiescenza degli “oscurantisti” e dei “reazionari” di fronte alla tecnoscienza più recente.

Ma ci si sbalordisce ancora di più – o per lo meno bisognerebbe sbalordirsi – dell’entusiasmo quasi unanime a “sinistra” per questo nuovo diritto umano reso possibile dalla tecnoscienza. Un’adesione che si estende anche al campo ecologista, libertario, femminista radicale. Si dovrebbe pensare che la PMA, in tutte le sue varianti, dalla “semplice” inseminazione artificiale fino all’impianto di un embrione geneticamente modificato in un utero “affittato” (gestazione per altri), l’innesto di utero, e fino all’utero artificiale ancora in via di elaborazione, appartiene allo stesso mondo delle centrali nucleari e dei pesticidi, della clonazione di animali e dell’amianto, della diossina nei polli e della plastica negli oceani: una violenta invasione di prodotti tecnologici molto recenti nei cicli biologici, con delle conseguenze incalcolabili. È del tutto incomprensibile che persone sinceramente contrarie a tutte queste invenzioni mortifere possano d’un tratto accettare uno dei loro sviluppi più invasivi. Essi o esse ci tengono talmente che attaccano violentemente i punti di vista opposti (impedendo, ad esempio, le conferenze di persone tra l’altro così differenti come Alexis Escudero o Sylvaine Agacisnski) e riescono a ridurre al silenzio le numerose voci (di sicuro più numerose delle loro) che non condividono il loro entusiasmo, tacciando ogni avversario, persino delle femministe storiche, d’omofobia, misogenia, transfobia, oppure di essere reazionario, lepenista, fascio, impiegando delle strategie che ricordano il controllo dello stalinismo sulla sinistra tra le due Guerre mondiali con il pretesto dell’“antifascisnmo”. Si constata anche una curiosa convergenza degli interessi di multinazionali come Monsanto1, o delle mafie che organizzano la gestazione per altri nei Paesi poveri, e i pro-PMA a sinistra: una convergenza che non si spiega probabilmente con finanziamenti o con oscuri complotti, ma attraverso una ennesima astuzia della non-ragione, in questo caso della forma-soggetto borghese.

Il punto non sono soltanto le conseguenze per la salute (è un altro mistero perché delle donne e delle femministe scalciano per offrirsi come cavie alla scienza o accettano tacitamente la schiavitù delle “gestazione per altri” nei Paesi poveri). La PMA è anche una specie di coronamento, di conclusione del processo plurisecolare di espropriazione di ogni nostra “dotazione originaria”. Le terre (nel processo noto come enclosures), le acque, i saperi, la comunicazione, la cultura, la riproduzione domestica – tutto è stato poco a poco sequestrato dal capitale, e non soltanto dal capitale economico, ma anche dalla tecnoscienza. Non possiamo più né muoverci né nutrirci, né scaldarci né istruirci, senza l’aiuto della megamacchina. Alcuna autonomia, da nessuna parte. Una buona parte dei nostri contemporanei ha perso persino la capacità di attraversare la strada senza l’aiuto del proprio GPS. Già in passato, la capacità di addizionare 5+3 senza l’uso di una calcolatrice era diventata rara2.

Si potrebbe continuare la lista quasi all’infinito. Gli individui appartengono ancora a dei gruppi sociali differenti, a delle etnie o religioni diverse, vivono in differenti parti della Terra, sono analfabeti o eruditi, rifugiati o autoctoni: ma tutti, o quasi, vivono nella stessa dipendenza dal biberon tecnologico. In Somalia come in California. Tutti si lamentano del rispetto che non ricevono, della discriminazione o marginalizzazione o mancanza di riconoscimento che subiscono e insistono sull’empowerment al quale hanno diritto: ma nessuno trova umiliante di non poter più vivere un solo giorno senza il proprio smartphone, un mezzo di cui si poteva molto bene fare a meno fino a una data assai recente – perché non esisteva – e che è gestito da imprese private che non perseguono altro che i loro interessi.

Tuttavia, persino i più miserabili hanno sempre avuto almeno una cosa che era loro. Come si chiamava la classe più bassa e più povera dei cittadini della Roma antica? I proletari: non possedevano altro che i loro proles. I bambini erano il grado zero della proprietà, ciò che tutti possono avere e ciò attraverso cui si può, in mancanza di altri mezzi, essere membri della comunità. Nessuna espropriazione subita su altri terreni poteva togliere ai poveri la facoltà più fondamentale, quella di riprodursi e di inserirsi nella comunità attraverso la “filiazione”, senza l’aiuto di chicchessia, senza permessi da chiedere. Oggi, la PMA ci spossessa della nostra ultima facoltà, quella di cui il potere non poteva fino a qui appropriarsi: la filiazione biologica. La PMA ci rende letteralmente dei sotto-proletari, dei men-che-proletari: coloro che non hanno più nemmeno i loro proles, perché hanno accettato di delegare quest’ultimo residuo d’autonomia alla tecnoscienza del capitale (la sola che esiste)3.

Gli argomenti a favore della PMA sono ben noti. Cosa proporre alle persone che vogliono avere dei figli e non possono? Si è proclamato il “diritto al figlio”. Che idea bizzarra! Esiste forse il diritto ad avere uno zio? Posso chiedere alla tecnoscienza di crearmi uno zio dal momento che la natura non me ne ha fornito uno e la mia vita è incompleta senza uno zio? E un altro essere umano può costituire un “diritto” per me?

Bisogna quindi che le persone senza figli si rassegnino a un così funesto destino? In verità, tutte le culture umane hanno offerto delle soluzioni a questo problema, ma nessuna ha avuto l’idea di ricorrere alla PMA. La soluzione consiste evidentemente nelle diverse forme di adozione. Non è sufficiente per coloro che non possono o non vogliono ricorrere alla procreazione biologica? Si sa che attualmente è molto difficile e costoso adottare un bambino. Ma non sarebbe, a conti fatti, più facile cambiare delle leggi umane che le leggi biologiche? Si direbbe che la preferenza accordata alla PMA piuttosto che all’adozione nasconda un desiderio molto “essenzialista” e “naturalistico”: avere un figlio “dello stesso sangue”, con lo stesso DNA. È strano che delle persone che fustigano uno giorno sì e l’altro pure le mentalità “retrograde” o “tradizionaliste” dei loro avversari pratichino esse stesse un’attitudine che più borghese e “biologica” non si potrebbe. Un bambino che non provenga dal mio sperma o dai miei ovociti non mi interessa…

Le diverse culture hanno sviluppato delle risposte spesso sorprendenti ai problemi di filiazione. L’antropologa Françoise Héritier ricorda, insieme ad altri, questo caso particolarmente illuminante: presso i Nuer del Sudan, una donna che dopo il matrimonio non partorisce (la sterilità viene attribuita automaticamente alla donna) viene rispedita dal marito nella famiglia di origine, dove ella può, se ne ha i mezzi, “comprare” una o più spose che fa mettere incinta da un custode di vacche, per poi tenere per sé i nuovi nati. Si può trarne la conclusione – come fanno molti “esperti” dei “comitati etici” – che la famiglia occidentale classica è tutto fuorché “naturale”, e che non si vede perché uscire dal suo ambito dovrebbe causare di per sé dei traumi nella crescita dei bambini. Ma se ne può anche concludere che il ricorso alle soluzioni mediche testimonia come minimo una terribile mancanza di immaginazione: piuttosto che ricorrere al simbolico – a dei “figli” accettati come tali anche se geneticamente non lo sono – si pratica una zoologia medicalmente assistita. Una “zoologia applicata”: gli esseri umani ridotti, come bestiame, alle loro caratteristiche biologiche, che si tratta di trasmettere. Si tratta del principio fondamentale dell’allevamento, la cui riedizione presso gente che passa la propria vita a tuonare contro l’“essenzialismo” e il “naturalismo”, promuovendo la “decostruzione”, è per lo meno sorprendente…

Nella società governata dall’“individualismo gregario” la prima domanda che si pone è la seguente: se l’individuo lo vuole, chi ha il diritto di opporvisi? Sempre che questo desiderio non nuoccia ad altri individui. Si tratta di un argomento perfettamente “liberale”, ed è ben curioso che a farvi ricorso siano le stesse persone che in tutti gli altri ambiti criticano giustamente la “libertà dell’individuo” di circolare con tutti i mezzi, consumare senza freni, di dire sempre “io, io, io”. Pretendere di mettere la biologia a testa in giù per aver un proprio bambino “vero”: non è appunto il colmo del narcisismo, il quale misura il mondo intero secondo i propri capricci? Non è il trionfo del liberalismo e del “ciascun per sé”?

Così, arriviamo all’argomento decisivo che sembrerebbe inaggirabile: chi è contro la PMA deve essere “omofobo”. Sicuro? Questo argomento equivale più o meno all’affermazione secondo cui chi critica l’uso dei pesticidi è “contro gli agricoltori”, affermazione che ha già prodotto la “divisione Demeter” della polizia per combattere l’agro-bashing, parola che definisce ogni critica dell’agricoltura industriale. Lo stesso vale anche per l’affermazione secondo la quale coloro che chiedono la chiusura delle fabbriche più inquinanti o delle centrali nucleari sarebbero “contro gli operai”.

L’eugenetica sembrava scomparsa dal mondo insieme con il nazismo che aveva rivelato la verità di tale “scienza”, la quale aveva in precedenza sedotto persino certi militanti di sinistra (da Trotskij a Salvador Allende, tra gli altri). Ma l’applicazione diretta della tecnoscienza alla biologia umana “collima” troppo con il progresso in generale per poter scomparire a causa di un episodico uso “malvagio”… L’eugenetica è quindi tornata in pompa magna a partire dagli anni Ottanta, questa volta in veste liberale: nessuno vi è costretto. Dall’eugenetica “negativa” (evitare la trasmissione dei geni cattivi attraverso la sterilizzazione forzata, il divieto di procreare o l’eliminazione fisica vera e propria) si è passati all’eugenetica “positiva”. I portatori dei materiali genetici migliori sono incoraggiati a riprodursi, e soprattutto si migliora direttamente il patrimonio genetico: selezione prenatale degli embrioni, scelta dello sperma e degli ovociti su catalogo, intervento diretto sul DNA, creazione (futura?) dei geni di sintesi.

Il film Gattaca di Andrew Niccol (1997) ha mostrato al grande pubblico l’aspetto che avrebbe una società di caste basate sulla genetica, nella quale i ricchi possono permettersi dei discendenti che fanno parte automaticamente delle classi superiori, mentre coloro che nascono senza l’aiuto della scienza sono destinati ad essere i servitori dei “migliorati”. La lettura e il cinema hanno proposto anche altri approcci; ma quasi tutto l’essenziale sull’eugenetica è stato detto ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley (il cui fratello Julian è stato uno dei rappresentanti principali dell’eugenetica). Con due differenze: nel 1932 non si conosceva ancora la struttura del DNA, per cui la manipolazione degli embrioni avviene, in Ritorno al mondo nuovo, attraverso la chimica. E soprattutto essa è organizzata dal potere pubblico e rompe ogni legame di filiazione: tutti i “donatori” sono anonimi. Chiamare qualcuno “padre” o “madre” è un insulto osceno. Nel migliore dei mondi postmoderni, invece, la famiglia tradizionale sopravvive, e si paga per avere dei discendenti dal futuro assicurato.

Il mondo di Gattica aiuta a cogliere meglio anche un’altra questione: la PMA non sarà mai la regola, non sarà mai maggioritaria, perché la maggior parte delle persone preferisce, e probabilmente preferirà sempre, il buon vecchio metodo per fare figli, e perché le varianti più sofisticate – quelle migliorative – sono troppo costose. Sia pure. Ma non è necessario che un fenomeno sociale sia praticato dalla maggioranza della popolazione per diventare un parametro, un ideale, una norma di ciò che è desiderabile, e per stabilire delle gerarchie sociali. Anche in Europa, la maggior parte delle persone non può passare le vacanze alle Seychelles, vestire Prada o esibire l’ultimo modello d’I-phone: ma coloro che possono farlo dànno il tono alla società intera e indicano agli altri ciò che è necessario fare per essere delle persone “come si deve”. Allo stesso modo, la maggioranza che non ricorre alla tecnoscienza per procreare sarà invitata a sentirsi colpevole verso i propri figli e allo stesso tempo inferiore verso la società. Già oggi, coloro che non si sottomettono agli esami prenatali e in seguito mettono al mondo un figlio handicappato sono considerati più o meno degli irresponsabili (che costano caro allo società). Certo, non mancano delle anime pie a sinistra per chiedere, in uno sforzo di “uguaglianza”, che si vegli affinché ogni cittadino/a abbia accesso alle tecniche riproduttive, comprese le più care.

D’altronde, una gestione “democratica” e “popolare” di queste tecniche non sarebbe affatto preferibile. Qualche anno fa, si proponeva il “bio-hacking” (chiamato anche “Do-ityourselfbiology”, o “biologia partecipativa”): sotto forma di kit spediti a casa e open source, oppure in “bio-caffè” concepiti in analogia con i cyber-caffè, ciascuno può accedere alle tecnologie e ai consigli necessari per fabbricare il proprio mostro personale, almeno sotto forma di mosca.

Questa iscrizione della gerarchia sociale nei geni stessi è giustamente considerata come l’orrore assoluto da numerosi anticapitalisti. In compenso, niente ferma i suoi promotori: l’eugenetica positiva ha prodotto del tutto naturalmente il “transumanesimo”. I suoi adepti più convinti non sono, per il momento, degli Stati totalitari, ma Google e i libertarians californiani. Non si vede proprio come si potrebbe avere, nelle condizioni attuali, una PMA senza rafforzare la spinta verso l’uomo geneticamente aumentato e senza rafforzare ulteriormente il potere di coloro che ne detengono le chiavi. Ma quelle e quelli che pensano solo al loro “diritto al figlio” ne sono talmente ossessionati da gettare alle ortiche tutti i loro princìpi abituali. Alcune femministe, soprattutto negli anni ’80 e ’90, avevano denunciato nelle tecniche di riproduzione un’espropriazione dei corpi da parte di una tecnoscienza d’impronta maschile. Sono state “invisibilizzate” dai fanatici e dalle fanatiche della PMA?

19 aprile 2021,

Anselm Jappe

1) «Così come Monsanto aveva fatto la propria fortuna sterilizzando le sementi per poterle rivendere ogni anno, i tentativi di banalizzare l’eteronomia riproduttiva assomigliano davvero al progetto di obbligarci a comprare i nostri figli» ha commentato una persona avveduta.

2) In 1984, O’Brien tortura Winston per costringerlo ad ammettere che 2+2=5. La prima volta che O’Brien gli chiede quanto fa 2+2, Winston risponde spontaneamente «4». Oggi è molto probabile che avrebbe chiesto di poter utilizzare una calcolatrice.

3) A scanso di equivoci: qui non si parla delle famiglie “proletarie” moderne e del ruolo che vi svolgono le donne, ma della categoria giuridica romana antica. Poter avere dei figli era una condizione sufficiente per essere cittadini. E questa condizione era attribuita automaticamente a ogni uomo libero: era ciò che nessuno poteva perdere. Evidentemente, si tratta di una situazione che non ha nulla di desiderabile in sé: questa forma di cittadinanza era riservata agli uomini, e agli uomini liberi. Essa rispondeva inoltre a delle esigenze militari. Ma su un piano metaforico si può dire che perdere l’autonomia riproduttiva significa cadere ancora più in basso degli antichi proletari.