Note di una disertrice responsabile
Riceviamo e diffondiamo:
Note di una disertrice responsabile
In un clima di Terrore, capeggiato non a caso da un Generale della Nato, che inocula vaccini oltre che paura per imporre la ragione di Stato, da anarchica è una responsabilità etica disertare.
Disertare dall’obbligo vaccinale anti-covid che lo Stato vuole impormi con il nuovo decreto del 4 aprile 2021.
Disertare perché in ogni dittatura democratica quale arma è più potete se non la paura?
Ci sono uomini e donne coraggiose che rifiutano l’imposizione nonostante il timore di perdere un lavoro… e poi ci sono io, anarchica, che gliela do vinta subito di fronte all’intimidazione della sospensione dal lavoro. Ancora prima che arrivi la lettera dal datore corro a prendere un appuntamento per farmi introdurre materiale geneticamente modificato o, peggio, biotecnologico senza oppormi. Rinnegando la mia idea dinnanzi alla sola minaccia di ricatto del nemico senza provare a resistere, e non con l’ignoranza di chi si affida totalmente alla scienza ma con la consapevolezza di essere oggetto di un esperimento senza precedenti. È questo il vero abominio… ma non mi serviva una buona ragione per alzarmi la mattina? Non credevo che questa buona ragione fosse LAVORARE. Oppure mi sbagliavo e “Non abbiamo nulla da perdere ma tutto da guadagnare” era solo uno slogan che da piccola borghese annoiata ripetevo per sentirmi più ribelle?
Come posso io, che non ho nemmeno la forza di reagire contro un sopruso del genere, essere pronta ad urlare sotto ad un carcere di resistere a quelle stesse persone che convivono ogni giorno con i loro aguzzini in divisa dopo i morti ammazzati dallo Stato durante le rivolte di marzo. Quale ipocrisia più grande?
E come farò se un giorno busseranno alla mia porta per stringermi le manette ai polsi (perché si sa che noi anarchiche il carcere lo dobbiamo mettere in conto, sperando che non arrivi mai il giorno in cui saldare)? Probabilmente perderò il lavoro e anche la casa, sicuramente mi strapperanno dai miei affetti… e chissà per quanto tempo.
Ma io ho deciso di essere partigiana in fin dei conti, cioè parteggio, prendo una posizione o almeno è quello che dovrei fare… così ho deciso di disertare.
In un’epoca che appare ormai molto lontana, in tante hanno perso il lavoro o la bottega, o sono finite in esilio perché rifiutavano di iscriversi al partito fascista. Alla fine, era “solo” una tessera di cartone così come oggi è “solo” un vaccino. Ma quella tessera e questo vaccino portano con sé una visione intera di mondo, non una narrazione ma un progetto concreto che oggi invade i corpi.
Non voglio voltare la testa come hanno fatto tante persone, mentre le strade venivano rastrellate e i campi di concentramento costruiti pietra dopo pietra. Non voglio essere complice silenziosa e posizionare anche io il mio mattone per erigere una prigione ancora più piccola di quella in cui già mi trovo. Il problema non è chi dico di essere ma cosa faccio. In definitiva sono le mie azioni che mi qualificano non le parole che uso per descrivermi.
Chiedo ad altre di seguirmi nel mio assalto al mondo ma non sono capace di affiancarmi a questa battaglia? Che seppur parziale, porta con sé una dichiarazione forte: la negazione di chi invade il corpo, decreto-legge alla mano. Donne e uomini si stanno opponendo, incuranti delle rivalse di dirigenti e direttrici, per far valere la libertà (o meglio, quel poco che ne resta se mai c’è stata) di autodeterminazione della propria persona. Ciascuna di loro ha le proprie ragioni e a nessuna di loro chiederei di abbracciare la mia nera bandiera, ma è un pezzo di strada che potremmo fare assieme senza per questo abiurare la mia idea e le mie posizioni… anzi forse potrei trovare delle alleate ma questo profumo non lo sentirò se rinuncio a priori ad annusare l’aria che sta tirando.
N.