Contro l’organizzazione scientifica del mondo. Un’intervista

Contro l’organizzazione scientifica del mondo.

Un’intervista

 

La Décroissance: Anche se Covid-19 sembra non essere stato prodotto in laboratorio, non è stravagante pensare che un incidente possa averlo fatto emergere, dato che i virus sono oggetto di ricerche all’avanguardia nei laboratori di tutto il mondo. Soprattutto per aumentare la loro virulenza, come spiegato in uno dei suoi recenti articoli [1]. Cosa resta della nostra libertà quando la tecno-scienza che è in gran parte responsabile del disastro si presenta anche come “la soluzione” con i suoi “comitati scientifici” che dicono ai politici come agire?

Pièce et main d’œuvre: Per decenni, il movimento ecologista anti-industriale radicale ha esposto la doppia aggressione tecno-industriale: la distruzione della natura, che è inseparabile dalla distruzione della libertà. La pandemia e le soluzioni applicate verificano queste analisi, mettendo in evidenza i legami reciproci tra la distruzione del pianeta e la società della costrizione. Di fronte alla scarsità di acqua, aria e suolo, ai virus trasmessi da animali selvatici con i quali non dovremmo avere alcuna intimità, o derivanti dal permafrost siberiano scongelato, solo una gestione razionale, ottimizzata, automatizzata e controllata delle risorse residue e delle “misure di barriera” permetterà di prolungare la nostra sopravvivenza. Insomma, un’organizzazione scientifica del mondo.


In uno studio del 2012, la rivista Nature ha osservato che il 43% della superficie terrestre è stato sfruttato dall’uomo e che la soglia del 50% (prevista per il 2025 se il consumo di risorse e la demografia rimarranno invariati) segnerà un punto di svolta verso una terrificante incognita. Ci stiamo arrivando. Il coronavirus è un danno collaterale della guerra alla vita condotta dalla società industriale. A queste distruzioni accelerate dalla potenza della tecnologia, i tecnocrati rispondono come sempre con l’accelerazione tecnologica. Questo rafforza il loro potere in un circolo virtuoso, poiché possiedono e controllano i mezzi tecnologici. Ciò che la pandemia mette in evidenza è il ruolo malvagio di questi pompieri dolosi che descriviamo da diversi lustri. Il governo si avvale di un “consiglio scientifico” presieduto da Jean-François Delfraissy, presidente del Comitato consultivo nazionale di bioetica, che ha dichiarato: « Ci sono innovazioni tecnologiche così importanti che si impongono a noi. C’è una scienza che si muove, e noi non la fermeremo». [2] E sarà ancora più difficile fermarla se si pensa che il governo ha promesso altri 5 miliardi di euro per la ricerca – la prima volta dal 1945. Un colpo scientifico coronato di fortuna [gioco di parole intraducibile tra scientifique e scientifric (fric significa denaro), n.d.t.].

In un aereo, i passeggeri non hanno altra scelta che affidarsi all’equipaggio tecnico, che ora segue gli ordini di un pilota automatico. Inoltre, in caso di guasto o di turbolenza, gli esperti consultano la macchina, decretano e obbligano. Quando la società nel suo complesso è un aereo, cioè un macro-sistema tecnologico totale, diventiamo passeggeri sottomessi, privati della nostra capacità di decisione e di azione. Vivere in una società tecno-industriale significa seguire gli ordini dei tecnocrati, che sono gli unici padroni del controllo – delle centrali nucleari, della programmazione degli algoritmi, dei satelliti, del pianeta intelligente, in breve del “General Machinery” (Marx).

La crisi sta aprendo finestre di opportunità per il potere tecnocratico di intensificare la sua presa tecnologica. Mentre molti sembrano aver capito cosa sono i droni di sorveglianza di massa, la geolocalizzazione degli smartphone per seguire i flussi di popolazione, il tracciamento digitale della contaminazione, ecc. – per noi, la principale aggressione del mondo delle macchine rimane la disumanizzazione. La pandemia sta accelerando l’uso del calcolo meccanico – “intelligenza artificiale” – per la prognosi medica o la ricerca sulle cure, ma anche per la modellazione del “deconfinamento” e delle decisioni politiche. La macchina governante cibernetica funziona a pieno regime, con il solo obiettivo dell’efficienza. La disumanità del trattamento degli anziani in Residenze protette, o l’evacuazione tecnica dei morti, non pesa nulla di fronte alle statistiche. Scientifreak. Scopriamo in questa occasione che l’AP-HP (Assistance publique -Hôpitaux de Paris) ha un dipartimento “Innovazione dei dati” il cui budget potrebbe probabilmente coprire l’assunzione del personale mancante. Anche se i medici non hanno più i mezzi per curare le persone, l’ospedale pubblico sta investendo in soluzioni big data di IBM per gestire i flussi e le scorte dei pazienti.

Nella “guerra” contro il virus, è la Macchina che vince. La Macchina Madre ci tiene in funzione e si prende cura di noi. Che accelerata per il “pianeta intelligente” (alias mondo-macchina) e le sue smart cities (alias città-macchine). Con l’epidemia alle spalle, gli Smartiani saranno piegati ad abitudini che non perderanno. Gli uomini-aggeggi vogliono una macchina [Gioco di parole in francese: Les machins veulent une machine, n.d.t.]. Coloro ai quali la libertà pesa troppo aspirano al loro mondo macchina. Sicurezza più che libertà. Arresti domiciliari, tracciamento elettronico, operazione virtuale senza contatto in “stato di emergenza” condotta da esperti della scienza, piuttosto che una vita libera, autonoma e responsabile. Ma la conservazione sotto “protezione” di una specie in pericolo non è vita.

LD: Dopo anni di inchieste e analisi, come spiega il fatto che negli ultimi decenni abbiamo accettato così facilmente – a volte anche in modo schiacciante – tutti questi macchinari tecno-scientifici? Nel suo Essai sur la liberté, Bernard Charbonneau osserva che «se una voce dal profondo chiama ogni uomo alla sua libertà, mille altri lo esortano a rinunciarvi; e sarà sempre nel suo nome». C’è qualcosa di “difettoso” nell’essere umano che lo spinge ad abbandonarsi nelle braccia della Macchina Madre? Si è spenta la “voce degli abissi”?

PMO: Sono state scritte biblioteche per sezionare la sottomissione, l’alienazione, il mimetismo, tra gli altri fattori antropologici e politici di questa rinuncia alla libertà. Più di 400 anni a.C., Tucidide affermava: “Bisogna scegliere: riposare o essere liberi”. La libertà non è né un diritto né un dono di natura, ma uno sforzo personale – e socialmente collettivo. Ci richiede di preservare il nostro io interiore per resistere alle ingiunzioni, alle tentazioni e alle manipolazioni del corpo sociale, ma anche per resistere alle lusinghe del comfort, della sicurezza e delle cure. Pesiamo le parole dello storico greco, misuriamo lo sforzo. Fare uno sforzo è rendersi più forti. Allo stesso modo, i bipedi stanno in piedi, resistendo al peso della gravità.

La volontà di potenza spinge i suoi schiavi ad accumulare i mezzi della potenza – terra, bestiame, armi, capitale e ora macchine – per rendersi come gli dèi e liberi come loro. Ma in cambio la loro volontà di potere illimitato si trasforma in una volontà di volere che non ha altro scopo che se stessa, portando così alla macchinazione totale dell’uomo e del mondo. I potenti si danno dei mezzi/meccanismi (è la stessa parola in greco: mekhané), che si trasformano in un fine in sé. Essi stessi diventano i mezzi dei loro mezzi, schiavi della loro volontà di potere illimitato che si trasforma in una volontà di sottomissione illimitata.
Bisogna fare una distinzione tra coloro che hanno più o meno i mezzi della loro volontà (i potenti, i tecnocrati) e coloro che, privi di questi mezzi (i sottomessi, gli acrati), subiscono la volontà dei primi, ma sperano di beneficiare dell’effetto-cascata della potenza (smartphone, gadget connessi, “app”). Né gli uni né gli altri possono mai avere abbastanza potere, e tutti vogliono ciò che li perde. Basta vedere il fascino per le creazioni superiori ai loro creatori (il computer incoronato campione di Go), poi il desiderio di auto-meccanizzazione per rimanere uguali a queste supermacchine e diventare superuomini-macchine.

L’equazione di libertà e onnipotenza è un’illusione. C’è libertà solo di fronte alla resistenza: un uccello non può volare nel vuoto, l’aria deve resistergli. La nostra unica libertà è figlia dell’autolimitazione (della giusta misura) e, dice Epicuro, del controllo dei desideri artificiali.

L’imballaggio tecno-industriale ha trasformato l’umanità e i suoi effetti sono irreversibili. I propagandisti che sciorinano i guadagni in aspettativa di vita (quantità) dovuti al progresso scientifico, nascondono le perdite in autonomia e libertà (qualità) che comportano in egual misura. L’imbottirsi il cranio di “intelligenza artificiale”, di oggetti “intelligenti”, di “intelligenza ambientale”, persuade l’essere umano della sua inferiorità e di rinunciare a qualsiasi iniziativa: siate piuttosto i passeggeri della vostravita e lasciatevi pilotare.

Questa popolazione, degradata da decenni di progressivo abbandono alla Macchina Madre, ha perso persino la memoria delle sue capacità precedenti. Tutti trovano più conveniente obbedire al GPS, questo guinzaglio elettronico. Combattere questa presa richiede che gli umani di oggi facciano un passo indietro rispetto alla realtà, il che è ben più difficile di quanto non lo fosse per i luddisti del XIX secolo di fronte alla fabbrica. A maggior ragione per i nativi digitali.

Quando tutta l’organizzazione sociale è basata sul primato dell’efficienza e della razionalità tecnica, la “tirannia della logica” (Arendt) – la logica inerente all’espansione della potenza meccanica – ci impedisce di pensare liberamente. Sfuggire a questa costrizione richiede un immaginario di rivolta fuori dalla portata dell’uomo delle masse, soggetto alla pressione del gruppo, alla pubblicità e all’ipnosi dello schermo.

Inoltre, l’interconnessione cibernetica degli Smartiani distrugge sempre più le condizioni della loro libertà. Ci vuole un passo di lato, un’uscita dalla folla per “andare contro”. La sovrasocializzazione elettronica – l’incarcerazione nel mondo delle macchine – era il progetto dei tecnocrati per ottimizzare la gestione dello stock umano liberandosi del fattore umano. Ci sono riusciti.

Questa interconnessione è, in altro modo, il progetto dei promotori della “tecnologia cyborg”, grazie alla quale diventa “sempre più difficile dire dove finisce il mondo e dove comincia la persona”. [3]

Quelli che ancora aspirano a una vita libera hanno contro di loro il tecno-totalitarismo, le masse mimetiche, la volontà di potenza. Sopravvivono su una Terra devastata. Per quanto brutta sia la situazione, essa deve rafforzare la nostra determinazione a vivere contro il nostro tempo; finché rimane possibile essere qualcuno, non solo qualcosa. Una persona, non una macchina.

Intervista pubblicata su La Décroissance, estate 2020

 

 

1 Il virus che verrà e il ritorno all’anormale, 26/04/20, su www.piecesetmaindoeuvre.com e sulla carta: opuscolo N. 92

2 Intervista con Valeurs actuelles, 3/03/18.

3 A. Clark, Natural-Born Cyborgs: Minds, Technologies and the Future of Human Intelligence, Oxford University Press, 2003