Sull’Operazione Bialystok. Uno scritto di Nico dal carcere di Terni
Sull’Operazione Bialystok
Queste brevi note, scaturite da una prima rapida lettura delle carte a mia disposizione e che riguardano la cosiddetta Operazione Bialystok, sono state scritte con l’intento di permettere una comprensione, seppur superficiale, causa il punto di vista soggettivo, degli elementi salienti contenuti in questa nuova inchiesta antianarchica e degli sviluppi della repressione che da essa si possono evincere. Le ondate repressive seguono da sempre i movimenti ciclici del conflitto sociale, tanto che spesso siamo portati ad affermare che non c’è “niente di nuovo sotto il sole”. Tuttavia analizzare i mutamenti di paradigma e degli strumenti in essa utilizzati, accanto a quelli che avvengono nella società nel suo complesso, ci permette di contestualizzarle individuandone le cause e gli obiettivi specifici, e di sviluppare di conseguenza le strategie di resistenza e di contrattacco indicate. La repressione non è infatti sempre uguale a se stessa e comprenderla nel suo trasformarsi dovrebbe essere d’interesse a chi si prefigge di “far sempre meglio” nella lotta anarchica contro ogni potere.
Nel caso specifico che mi riguarda la parte più interessante è costituita dal resoconto che il PM ha fornito al GIP con la richiesta delle misure cautelari. Fin dalle sue prime pagine appare evidente “l’ampio sguardo” che aspira ad avere l’inchiesta, il cui dichiarato obiettivo è quello di comprendere il recente evolversi del movimento anarchico attivo nel territorio italiano e, nella fattispecie, di quella che viene chiamata da qualcunx “Nuova Anarchia”.
A questo scopo si fa ampio ricorso alla ricostruzione storica elaborata nell’ambito dell’indagine Scripta Manent a partire dalla “spaccatura” del movimento a seguito dell’inchiesta Marini in “fazione lottarmatista” (a favore di un’organizzazione stabile e riconoscibile) e “fazione a favore dell’anonimato”, che avrebbe portato in seguito allo sviluppo delle ormai famose quattro tendenze dell’anarchismo insurrezionalista :”classica”, “informale”(altro modo utilizzato per indicare la tendenza definita “lottarmatista”), “sociale” e “ecologista”. A seguito delle condanne in primo grado contro la FAI, risultato coronato dopo decenni di indagini e processi falliti, gli inquirenti sembrano oggi voler “far fruttare” quanto stabilito giurisprudenzialmente da questa lunga serie di sentenze. E questo sembra valere anche per quanto riguarda i metodi d’indagine. Come per l’ Op. Scripta Manent, nella quale l’analisi dei documenti sembrava aver avuto una discreta centralità nelle indagini, il ROS continua infatti a distinguersi per un monitoraggio centralizzato (e privilegiato) dell’effervescenza anarco-insurrezionalista attraverso uno studio sistematico della “pubblicistica d’area”. Questa metodologia è la stessa elaborata all’interno dell’ex nucleo anticrimine del tristemente famoso generale Dalla Chiesa per contrastare il ribellismo armato degli anni ’70 e ’80: un contesto vasto e caotico viene scandagliato, sezionato, schematizzato e ricomposto per farne un quadro decifrabile dalla mentalità a forma di legge di magistrati e inquisitori vari.
Ê così, seguendo lo stesso metodo, questa “Nuova Anarchia” si caratterizzerebbe secondo gli inquirenti per un superamento delle ormai tradizionali divergenze sull’uso o meno di sigle e rivendicazioni per spostarsi verso una posizione più “fluida” che predilige l’alternanza del loro utilizzo con l’anonimato, in base alle valutazioni del momento. Questo passaggio sarebbe avvenuto seguendo i “dettami” che Alfredo Cospito avrebbe promulgato dal carcere attraverso vari articoli usciti sui giornali anarchici Vetriolo e Fenrir.
Nel quadro dell’inchiesta che mi riguarda le persone indagate sono quindi descritte come una sorta di “eredi” della FAI che avrebbero fatto proprie le “indicazioni” del Cospito, e questo alla luce dell’associazione contenutistica tra il “documento clandestino” “Dire e Sedire”(scritto a loro attribuito), assimilabile alla rivendicazione dell’attacco alla caserma dei carabinieri di S. Giovanni a Roma, e a quelli espressi più generalmente dalla FAI ( conflittualità in opposizione all’attendismo, risposta alla repressione con l’azione, campagne di solidarietá). Ulteriori evidenze sono costituite dalla solidarietà rivolta alle individualità prigioniere a seguito dell’Op. Scripta Manent con la partecipazione ad assemblee o iniziative e da una corrispondenza con Alfredo in carcere. Inoltre diverse azioni avvenute, rivendicate e non, ma sempre associate alla solidarietà, assieme ad alcuni dei contenuti divulgati nel merito dell’Op.Panico sarebbero un “chiaro indizio” di questo passaggio di strategia.
Un altro elemento che bisogna focalizzare e su cui ruota l’inchiesta è invece di ordine puramente giuridico. Il problema che si cerca di risolvere attraverso le numerose inchieste e operazioni che ciclicamente investono le realtà anarchiche è costituito, come ammesso dagli stessi inquirenti, dalla difficoltà di applicare i reati associativi alle modalità organizzative anarchiche. A questo proposito l’accusa cita come novità giurisprudenziali la sentenza del tribunale di Riesame di Firenze in merito all’associazione a delinquere ipotizzata nel processo Panico e quelle nei confronti della FAI. La prima si esprime nella natura dei vincoli associativi indicando che essi “non devono necessariamente avere carattere di continuità” ma basta che essi siano attivi in funzione del fine dell’associazione, ovvero per un suo rafforzamento. Essendo la partecipazione ad un’azione anarchica essenzialmente a “forma libera”, essa può assumere quindi una “consistenza” variabile. Per quanto riguarda invece l’organizzazione FAI, si era già espressa nel 2013 la Corte di Cassazione stabilendo il suo effettivo carattere eversivo in quanto essa:
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È formata da una pluralità di cellule autonome che condividono un determinato credo ideologico
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È animata da un dibattito interno che ne indirizza l’operato
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Prevede dei ruoli specifici che possono essere diversi da quelli comunemente attribuiti ad un’associazione, essendo anch’essa un’organizzazione anarchica, e quindi senza capi
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Ha l’obiettivo dichiarato di voler distruggere l’attuale assetto istituzionale ed economico
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Accetta il rischio di vittime collaterali
Questi aspetti, uniti ad altri più generici come per esempio quelli indicati precedentemente (conflittualità, solidarietà, …), vengono anch’essi utilizzati per inquadrare l’anarchismo contemporaneo e associarne le caratteristiche alla FAI presentandoli come delle “inquietanti corrispondenze” e poter così contestare il reato di 270 bis nell’Op. Bialystok. Concetti e strumenti che sono patrimonio dell’anarchismo da secoli vengono così presentati come caratteristiche peculiari di un’organizzazione eversiva, e di conseguenza ogni loro manifestazione potenzialmente tacciabile di “contiguità ideologica”:
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Il mutuo appoggio in caso di repressione e la “solidarietà conflittuale” sarebbe uno strumento terroristico in quanto metodo assunto dalla FAI ( leggasi “campagne di solidarietà”)
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La manifesta volontà di opporsi alle diverse forme del potere e del capitalismo (come l’opposizione al predominio tecnologico) diventa un “progetto eversivo”
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La naturale dinamicità del movimento anarchico che si esprime attraverso il dibattito interno avrebbe la funzione di far convergere le diverse componenti su obiettivi comuni (“istigare e progettare azioni violente”)
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L’ interesse verso tematiche di respiro internazionale e casi repressivi avvenuti all’estero sono “un’espressione anonima della progettualità FAI”
Si comincia così a creare la bozza di quello che sembrerebbe profilarsi come una sorta di reato ideologico: l’intenzione di voler abbattere lo Stato e le diverse forme di potere, la prassi del mutuo appoggio, la solidarietà e il supporto verso le individualità prigioniere, i contributi al fermento di idee e al confronto tra diversi approcci, analisi, strategie, insomma tutto ciò che caratterizza l’anarchismo nel suo senso più ampio è potenzialmente associabile al terrorismo. Anche qui potremmo dirci, niente di nuovo. Ma vorrei porre l’attenzione sul fatto che questi elementi non sono estrapolati da un generico pensiero anarchico, ma ricondotti alle posizioni di una “rinomata” organizzazione terroristica. La differenza è evidente.
Ma manca ancora un passaggio per dare il colpo finale al nostro quadro indiziario. Come previsto dalla legge per essere ammesso il terrorismo in relazione ad una associazione deve essere dimostrata l’effettiva possibilità che quest’ultima sia capace di atti consoni a mettere a repentaglio la democrazia, la normale attività delle istituzioni, o come minimo a destare “panico e terrore nella popolazione”. Ed è qui che viene sfoderato l’ultimo brillante concetto per puntellare l’architettura dell’accusa. Se il riproporsi di elementi simili tra diverse rivendicazioni o nei fatti specifici contestati (come per esempio indicare il ruolo di ENI nello sfruttamento della Terra, i rapporti tra Libia e Italia in merito all’immigrazione o l’interesse verso determinate individualità prigioniere o casi repressivi come l’Op. Scintilla o lo sciopero della fame delle anarchiche rinchiuse all’Aquila) sono considerati “evidenti indicazioni” di un medesimo progetto criminoso, e se i “rapporti fluidi” all’interno di un ambiente che condivide i presupposti della lotta anarchica si configurano parimenti come “vincoli associativi”, allora è proprio quest’ultimo a creare la possibilità effettiva di una reale minaccia alla stabilità del potere, e a costituire conseguentemente motivo di allarme nelle istituzioni. Come espresso infatti dalla sentenza del Riesame di Roma che ha confermato le misure cautelari in carcere, ciò che indicherebbe la pericolosità operativa dell’associazione sarebbe appunto “ il contesto” all’interno del quale essa si trova ad operare. In altre parole se esiste un “intorno” capace di accoglierne le “proposte operative” e metterle in pratica, allora non è necessario che le persone indagate siano effettivamente passate all’azione per indicarle come promotrici di un progetto “eversivo” e quindi facenti parte di un’associazione terroristica. Viene utilizzata insomma la formula che generalmente precisa l’ambito in qui debba esprimersi l’istigazione a delinquere (perché l’istigazione si profili deve necessariamente esserci un contesto “sensibile” a raccogliere l’invito a delinquere) per stabilire quello del terrorismo. Ci troviamo di fronte ad una sorta di inversione della causa con l’effetto. Non è perché esiste un’organizzazione/associazione eversiva che conseguentemente vengono messe in atto delle azioni pericolose per l’ordine costituito. Piuttosto viene costruito un discorso tautologico secondo cui sarebbe perché esiste un “intorno”, in questo caso l’anarchismo, al cui interno circolano dei contenuti come la solidarietà e la volontà di distruggere lo Stato, il Capitale e le loro espressioni, e perché parallelamente si registrano dei fatti che sono il tentativo di perseguire nella pratica quei contenuti, che deve di conseguenza esistere necessariamente un’associazione terroristico/eversiva che li pianifica.
A mio parere sembra chiaro a questo punto che uno degli elementi che si voglia colpire con questa ennesima operazione sia il dibattito anarchico e , più nello specifico, la “comunicazione attraverso l’azione”. Vengono infatti citati, tra le pagine dell’indagine, diversi “scambi” avvenuti tramite rivendicazioni, anche internazionalmente, con rimandi ad altre azioni, richiami a concetti espressi altrove, dichiarazioni di solidarietà verso anarchicx prigionierx in altri stati ecc. Questo viene fatto per delineare i tratti di un contesto recettivo a proseguire “il filo” di percorsi o ragionamenti propagandati da singoli gruppi o individualità, attraverso una rivendicazione o un semplice scritto. Una proposta di intervento, o una determinata riflessione, per poter essere colta deve essere visibile, chiara, riconoscibile. Deve quindi “apparire” all’interno di un contesto, e la rivendicazione e il contributo scritto, al di la’ del mezzo di diffusione utilizzato, hanno proprio questo scopo.
Inoltre con questi presupposti il reato associativo può facilmente diventare un nebuloso cappello da poter calare in maniera indiscriminata su chiunque faccia in qualche modo riferimento a contenuti e pratiche ritenute di volta in volta motivo di preoccupazione per le istituzioni, come per esempio il sabotaggio della macchina delle espulsioni, l’opposizione alla guerra, o ad una particolare ondata repressiva.
Ma potenzialmente essi vanno persino oltre, ovvero nella direzione di tacciare come terroristiche le stesse basi teoriche e le pratiche più elementari dell’anarchismo. All’oggi sono ancora necessarie dei fatti che generino un certo livello di allarme nelle istituzioni per giustificare una simile ipotesi di reato. E’ per questo motivo che nell’inchiesta vengono inseriti l’attacco a firma FAI di S. Giovanni e l’incendio di alcune macchine appartenenti al car sharing “eni enjoy”, attribuito a una persona che secondo l’accusa non farebbe neanche parte dell’associazione o che vengono riportate le proteste che avrebbero portato al trasferimento di Paska dal carcere di La Spezia. Fatti che avrebbero “impedito a un’istituzione dello Stato di svolgere correttamente le sue funzioni”, come supporto all’ipotesi terroristica (tesi che ha permesso agli inquirenti di tentare perfino di includere Paska nell’associazione, tentativo fallito soltanto per un errore tecnico del GIP). O che vengono citati diversi altri attacchi incendiari avvenuti nella capitale che, seppure non attribuiti a nessuna delle persone indagate, sarebbero tuttavia riconducibili a loro essendo “simili per tipologia di obiettivo, metodologia d’azione e rivendicazione solidale”. O che venga espressa preoccupazione a causa di alcuni plichi esplosivi inviati nel marzo 2020, principalmente nei dintorni di Roma, per giustificare “l’effettività del pericolo”. Questi ultimi sono tra l’altro contenuti in una nota integrativa alla richiesta delle misure cautelari, il che mi da conferma del carattere preventivo della loro applicazione. Come nel caso dell’Operazione Ritrovo, anche questa richiesta si trova infatti nel cassetto del GIP da diversi mesi, ma con lo stato d’eccezione che ha accompagnato il diffondersi del corona virus si deve essere creata una pressione di tipo emergenziale che ha spinto il GIP a firmarla.
Credo che l’accelerazione di alcuni processi dell’evoluzione Stato-Capitale provocata dalla crisi del corona virus riguardi anche l’ambito repressivo, la gestione dell’insorgenza interna e dell’ordine pubblico in generale e che sarebbe bene incominciare già da ora a sviluppare ragionamenti che possano essere utili per fronteggiarlo.
Spero che questo scritto possa essere un contributo in questa direzione, invito chiunque a ribattere e ampliare queste considerazioni che sono per forza di cosa limitate dalle mie conoscenze e pertanto il riflesso di uno sguardo parziale.
Col cuore, la mente, la mano.
Nico,
uno dex 6 di Bialystok