Il passato è passato

Tratto da http://edizioni.cierrenet.it/

Perché il desiderio di estraneità non diventi mutilazione rassegnata, ma si armi contro ogni forma di autorità e di sfruttamento. Perché dal Potere del dialogo (con cui si pensa di risolvere tutto) e dal dialogo del Potere (che invita tutti ad una ragionevole contrattazione) si passi ad un sentimento di radicale inimicizia verso l’esistente, di distruzione di ogni struttura che aliena, sfrutta, programma e irreggimenta la vita degli individui. Il nero del cane (questo animale cui generalmente si associa l’idea di sottomissione, di servile mansuetudine) è proprio la volontà di uscire dal gregge della servitù volontaria e di aprirsi alla gioia della ribellione. Non il nero in cui tutte le vacche sono uguali (sia pure nel loro essere contro o fuori), bensì quello in cui scompare il confine tra la demolizione e la creazione, tra la difesa oltranzistica di se stessi e la costruzione di rapporti di reciprocità con gli altri.”

Oggi, in questo periodo di emergenza sanitaria, diventa di particolare importanza condividere e approfondire riflessioni sui temi della malattia e della sicurezza della vita. Per questo riproponiamo dei testi di Canenero, scritti tra gli anni ’94 – ’95, che possono aiutarci ad avere uno sguardo più lucido sulla situazione, poiché inseriti al di fuori del flusso mediatico delle notizie in cui invece noi siamo immersi.

Questa pandemia ha trovato impreparati tutti: dall’individuo che non si era mai posto tante domande su questa società a chi ha sempre trovato assurdo accettare di passare l’intera vita a respirare polveri sottili per poi ritrovarsi con un tumore. Ma anche negli ambienti cosiddetti radicali la critica sulla sicurezza della salute è venuta meno. Quello che sentiamo e leggiamo quotidianamente dai media e dai giornali è il costante bombardamento di notizie sui morti e i malati che il Coronavirus ha fatto. Dunque, come viene intesa la malattia e perché questo terrore di essa e della morte? In questa società la medicina è riuscita a creare l’opinione comune – o luogo comune – secondo il quale la salute deve essere necessariamente medicalizzata, ogni malattia o sintomo devono essere nell’immediato curati, spesso senza chiedersi nemmeno troppo l’insieme delle cause che li hanno generati. La maggior parte delle persone, di fronte al rischio di ammalarsi, si affida ciecamente nelle mani dei medici e degli esperti, rassegnandosi all’espropriazione della propria vita in cambio di una esistenza menomata ma garantita.

Infatti, sotto questa coltre di paura collettiva che lo stato e i media hanno creato, in particolar modo riguardo alla diffusione del virus, le persone si fidano del parere degli esperti senza porsi più di tanto la domanda se la distanza di sicurezza, la mascherina e i domiciliari forzati possano davvero essere la soluzione a questa pandemia.

L’idea della sopravvivenza a tutti i costi, l’idea di una vita (sopra)vissuta il più a lungo possibile anche senza goderne intensamente, per quanto qualcuno di noi possa non trovarsi idealmente d’accordo, ci porta comunque ad affidare i nostri corpi nelle mani di chi quei corpi li vede solamente come macchine funzionali alla volontà dello stato di continuare a perpetrare il suo potere.

Nei diversi testi emerge, ad esempio, la critica alla tecnica e alla paura del nulla e dell’ignoto in quanto attraverso la lotta contro il terrore del nulla può essere letta l’intera storia della civiltà della tecnica. Perché, mentre per la società la sopravvivenza è un dovere, c’è chi pensa che la propria vita appartenga esclusivamente a se stessi. Qualcuno, di fronte alla consapevolezza di non voler più continuare ad esistere, decide, senza chiedere permesso a nessuno, di togliersi la vita, qualcun altro, di fronte all’incrollabile speranza di guarire dal tumore, decide di sottrarsi alla medicina e di fuggire dalla paura della morte andandole incontro. E altri spunti, per tentare, ancora un’altra volta, di dare alla ribellione la gioia randagia e l’impulso di una distruzione tanto auspicata da chi si sente straniero in territorio nemico. E questo territorio dicasi mondo intero.

Canenero