[it, en, gr] Sotto il cemento, qualcosa ribolle. Dalla nuova occupazione “Rasprava” ad Atene

Riceviamo e diffondiamo questo bel testo e questa bella notizia. Chi ce lo invia ci manda anche queste righe, utili a contestualizzare l’occupazione:

«In Grecia la pratica dell’occupazione è uno strumento forte di lotta e di presidio importante sul territorio ed è anche una pratica molto conflittuale soprattutto di questi tempi, quindi la scelta di attuarla e la sua difesa sono estremamente impegnative. Nasce da vari fattori, primo fra tutti il fatto che l’università è stata chiusa al pubblico e l’asilo al suo interno non è più riconosciuto, cose che hanno reso sempre più difficile il potersi organizzare e incontrare a una realtà di movimento che contiene molti gruppi differenti.
Ad Atene, dopo gli sgomberi di Villa Amalia e Skaramaggà, non si è più riusciti ad occupare uno spazio come movimento anarchico. Sì, ci sono state occupazioni di palazzi per le persone migranti di passaggio in Grecia nel 2013 e dopo. Ma nulla del genere. I differenti gruppi hanno scelto, il più delle volte, la forma dello “steki” ovvero uno spazio in genere affittato, dove poter discutere ecc.

La zona di Exarchia, dove nasce questa nuova occupazione, non è più quel luogo liberato, il presidio permanente 24 ore su 24 dei MAT ( squadre antisommossa) e di ogni tipo di polizia, nella piazza centrale del quartiere, per proteggere delle transenne che dovrebbero essere il perimetro degli scavi della nuova metro, ha completamente militarizzato quel luogo di conflitto, scontro, incontro e da sempre centro nevralgico per il movimento antagonista ateniese.»

Qui il testo originale: https://athens.indymedia.org/post/1634793/

Qui il testo impaginato: il silenzio delle metropoli

Titolo originale : Κάτω απ’ το τσιμέντο, κάτι βράζει

Rasprava Squat, 2025

Sotto il cemento,

qualcosa ribolle

Dopo la fine dell’evento “Memoria rivoluzionaria e prospettive della lotta” in via Mesologgiou, una folla di compagni e compagne è scesa nelle vie di Koletti e Themistokleo per difendere la liberazione di un edificio.

Di seguito la presentazione scritta dagli stessi occupanti:

Il silenzio della metropoli pesa come una pietra sulle nostre spalle. Le strade sono piene di sguardi consumati, di corpi che strisciano per abitudine, per paura, per sottomissione. Il mondo si muove lungo percorsi predeterminati, senza interrogarsi, stemperando i sogni. Tutto è programmato per funzionare esattamente come vogliono loro: lavoro, consumo, obbedienza. Eppure, incessantemente, sotto la superficie, qualcosa ribolle.

La storia non è scritta dagli obbedienti. Alcuni scelgono di portare il peso della disobbedienza. Di rompere il cemento della normalità, di affrontare la mano invisibile del potere che soffoca ogni aspetto della nostra vita. Rifiutare di sottomettersi non è una semplice presa di posizione. È una chiamata a mettere in discussione, a rovesciare l’ esistente, a riprendersi ciò che è nostro.

Siamo compagni e compagne, anarchici e anarchiche che provengono da contesti politici e ideologici diversi e che si sono trovati nello stesso fuoco di lotta. E’ lì, che le nostre lotte comuni e le esperienze collettive ci hanno unito, dove abbiamo riconosciuto la necessità vitale di creare uno spazio di incontro, di agitazione politica1, di scambio di opinioni e potenziamento organizzativo.

In un momento in cui l’isolamento è imposto e le comunità in lotta vengono smantellate dalla repressione, la formazione di questi spazi non è solo necessaria, è cruciale.

Gli attacchi repressivi degli ultimi anni non sono arrivati a caso. Le autorità stanno cercando di eliminare ogni focolaio di resistenza, di schiacciare ogni forma di auto-organizzazione e di spegnere la fiamma della contestazione.

Grandi conquiste sono andate perdute, il movimento è stato messo sulla difensiva, la recessione è ormai all’orizzonte. Ma sappiamo che la storia viene scritta da chi non arretra, da chi non ha paura di confrontarsi con la realtà. Rimanere sulla difensiva significa accettare la sconfitta. E questo non accadrà..

È il momento di passare dalle parole ai fatti, di passare dalla difesa all’attacco.

Facciamo capire al nemico che non si sbarazzerà di noi così facilmente.

Dobbiamo forgiare il nostro campo di lotta, reclamare il nostro spazio e il nostro tempo.

Per liberare i territori dal dominio, creare un centro vibrante di resistenza, una cellula radicale per la mobilitazione2 sia nella teoria che nell’azione.

Percepiamo l’occupazione come parte integrante del movimento e il movimento come elemento organico dell’occupazione. L’esistenza di territori di lotta non è solo una questione pratica, ma profondamente politica.

Gli squat non sono solo luoghi di ritrovo, non sono solo luoghi di ospitalità.

Sono roccaforti di resistenza, laboratori di pratiche radicali, crepe nella normalità che cercano di imporci.

E questa realtà non è negoziabile.

Ogni quartiere, ogni strada, ogni piazza non è un terreno neutro.
È una mappa vivente di contraddizioni, conflitti e rivendicazioni.

Le città sono costruite sulla base della disciplina, della polizia e della sterilizzazione dello spazio pubblico. Le piazze sono piene di telecamere di sorveglianza, i muri sono dipinti di grigio, gli edifici diventano bastioni inaccessibili per coloro che non possono permettersi di pagare il prezzo dell’esistenza in un mondo in cui tutto ha un prezzo. Il dominio sta attuando un piano strategico di controllo universale delle metropoli, schiacciando ogni forma di resistenza.

Armato di una propaganda nera e da una guerra ideologica, cerca di plasmare le coscienze, mentre spinge deliberatamente nel degrado interi quartieri utilizzando la criminalità organizzata, che spiana la strada all’espulsione violenta della popolazione locale e al completo assorbimento del territorio da parte del capitale.

La repressione dello Stato agisce come una guardia armata per gli investitori, le agenzie immobiliari divorano terreni, le case diventano merci, gli affitti salgono alle stelle, gli spazi pubblici diventano sterili campi di sorveglianza e uniformità di consumo.

Il flagello della gentrificazione e dell’imborghesimento sta inghiottendo le città, agendo come meccanismo di assoggettamento e controllo sociale.

Exarchia, un quartiere che ha una storia vibrante di lotte, è nel mirino dell’assalto statale e capitalista.

Lo Stato, da un lato, scatena ondate di repressione: gli squat vengono sgomberati, la presenza della polizia viene rafforzata, gli spazi pubblici vengono militarizzati. Dall’altro lato, il capitale saccheggia la memoria collettiva assorbendo i simboli della resistenza e trasformandoli in merce turistica. Le nostre sottoculture vengono forgiate e adattate a progetti commerciali “alternativi”, mentre il quartiere viene modificato per servire l’industria dell’intrattenimento e del “life-style”.

Non permetteremo che trasformino il luogo delle nostre lotte in un’altra attrazione “ornamentale”. Per tutte queste ragioni, abbiamo fatto l’occupazione nel quartiere storico di Exarchia.

Perché le sue strade non sono in vendita.

Perché le memorie non sono commercializzabili..

Perché le resistenze vive non diventino attrazioni turistiche, ma campi di battaglia.

Gli squat possono certamente essere anche isole di resistenza nell’arcipelago delle lotte, ma possono essere barricate. Sono spazi dove il dominio perde il controllo, dove lo Stato cessa di essere il regolatore assoluto della vita. Sono laboratori di lotta, punti di incontro, centri di auto-organizzazione e di azione.

La cultura insurrezionale e rivoluzionaria non nasce da sola.

Si coltiva.

Si sviluppa negli scantinati, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo, negli sguardi che non si piegano, nei corpi che non accettano di essere disciplinati dal nemico.

L’occupazione non è un evento isolato.

Ha la capacità di impegnarsi nella pratica della negazione, di ricordarci costantemente che non siamo numeri nei registri dello Stato, non siamo ingranaggi nella macchina della produzione, non siamo pedine sulla scacchiera del potere.

Siamo qui per prenderci ciò che è nostro, per aprire crepe da cui scaturiranno nuove possibilità.

Le circostanze ci lasciano quindi indenni per quanto riguarda la nostra coscienza e pratica anarchica. Non vogliamo unirci al terrore che deriva dai “tempi repressivi e avversi”. Siamo contro la retorica riformista, la cui manifestazione è lo scadere del campo dell’azione nel conformismo politico, noi siamo radicalmente per una rottura permanente e totale.

La nostra preoccupazione non è la repressione che è esistita e che esisterà contro di noi, ma la scommessa continua con noi stessi, per evitare strategie politiche che minacceranno un movimento e lo faranno passare nell’oblio attraverso una presenza militante sempre più carente sia a livello di eventi che di strutture.

Ci rendiamo conto che, come movimento, l’assenza di una cultura militante ci indebolisce, ci rende vulnerabili e indifesi di fronte all’assalto del potere.

L’inazione equivale alla sconfitta.

Cerchiamo quindi, attraverso questo progetto, di costruire una solida base che promuova la prospettiva rivoluzionaria/insurrezionale, che intensifichi la minaccia contro i meccanismi oppressivi del presente e coltivi le coscienze ribelli di domani.

Perché la rivolta non è uno schema teorico. È azione, è fermento3, è conflitto costante.

PERCHÉ SCEGLIAMO e PROMUOVIAMO una cultura RIVOLUZIONARIA e INSURREZIONALE (AZIONE DIRETTA)?

i. Perché è l’unico mezzo per uno scontro diretto con il nemico qui e ora. È la pratica che crea il “punto d’inizio”, rompendo le catene della normalità e consentendo ai soggetti di determinare il proprio destino.

ii. Perché, nella sua essenza, l’anarchia è una lotta costante per la libertà. Non è uno slogan, non è una teoria, è un conflitto, è una prassi.

iii. Perchè le relazioni tra compagni/e non è un concetto astratto, ma relazioni vive e non negoziabili tra militanti. Si forgiano nel fuoco della lotta, fianco a fianco in ogni crisi, in ogni sconfitta, in ogni momento difficile. È lì che ritroviamo il nostro io collettivo perduto.

iv. Perché spinge gli individui a superare i propri limiti, a spezzare le catene della paura, a mettere in discussione l’impossibile.

v. Perché la violenza dell’azione diretta non è violenza casuale, ma una decisione strategica.

L’espansione dell’azione rivoluzionaria, la generalizzazione del confronto violento con le forze di potere, è necessaria per la demolizione dello Stato e della struttura capitalistica e per la distruzione dei rapporti sociali di oppressione.

Il dovere di ogni persona che lotta è quello di arricchire quotidianamente i propri strumenti, sia a livello pratico che teorico, che la porteranno alla realizzazione dei propri ideali. Richiede coraggio, rischio, immaginazione, organizzazione, fede e coerenza. L’intenzione non basta, occorre la decisione. Per queste ragioni l’apertura di questa occupazione rientra per noi in questa direzione.

PER L’ANARCHIA

Insieme possiamo fare tutto, possiamo gettare via la visione della fine che sembra così vicina.

Possiamo vivere come esseri umani orgogliosi e liberi.

Possiamo abbattere il muro e vedere una intera vita di gioia che ci aspetta!

Rasprava Squat

(Koletti and Themistocleous )

1(πολιτικής ζύμωσης nel testo originale, significa letteralmente fermentazione politica), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione

2(εστία ζύμωσης, nel testo originale, significal letteralmente epicentro (punto focale) di fermentazione)

3(Ζύμωση nel testo originale), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione nello stesso contesto della nota nr.1.


[In english:]

Original title: Κάτω απ’ το τσιμέντο, κάτι βράζει

Author: Rasprava Squat, 2025

beneath the concrete,

something is burning

Following the end of the event “Revolutionary memory and perspective of the struggle” in Mesologgiou street, a crowd of comrades descended to Kolettis and Themistokleous streets to defend the liberation of the building.

The following is the self-introductory communique of the occupation:

The silence of the metropolis weighs like a stone on our shoulders. The streets are filled with worn-out stares, bodies crawling out of habit, out of fear, out of submission. The world moves along predetermined paths, without a second thought, tempering its dreams. Everything is programmed to work exactly as they want: work, consumption, obedience. Yet, always, beneath the surface, something is boiling.

History is not written by the obedient. A few choose to bear the burden of disobedience. To crack the concrete of normality. To confront the invisible hand of power that chokes every aspect of our lives. Refusing to submit is not a mere stance. It is a call to question, to overturn, to take back everything that belongs to us.

We are comrades, anarchists who derive from different political and ideological backgrounds, but we have found ourselves in the very same fires of struggle. It is there, where our common struggles and collective experiences united us, that we recognized the vital need for the creation of a space for meeting, political maturation1, exchange of views and organizational empowerment.

At a time when isolation is imposed and communities of struggle are being dismantled by repression, the formation of such spaces is not only necessary – it is crucial.

The repressive blows of recent years have not come by accident. The authorities are attempting to eliminate any focus of resistance, to crush any form of self-organisation and to extinguish the flame of contestation.

Great achievements have been lost, the movement has been put on the defensive, the recession is now on the horizon. But we know that history is written by those who do not fall back, by those who are not afraid to confront reality.

To remain on the defensive is to accept defeat. And that is not going to happen.

The time is now to turn words into action, to move from defense to attack.

So let’s make it clear that the enemy will not get rid of us so easily.

We must define our own field of struggle, reclaim our space and time.

To liberate territories from domination, to create a vibrant centre of resistance, a radical cell for mobilisation2 both in theory and action.

We perceive the occupation as an integral part of the movement and the movement as an organic element of the occupation.

The existence of territories of struggle is not just a practical question, but a deeply political one.

Squats are not just places to hang out, they are not just places of hospitality.

They are strongholds of resistance, laboratories of radical practices, cracks in the normality they try to impose on us.

And this is a non-negotiable reality.

Every neighbourhood, every street, every square is not a neutral ground. It is a vibrant map of oppositions, conflicts and claims. Cities are built on the basis of discipline, policing and the sterilization of public space. Squares are filled with surveillance cameras, walls are painted grey, buildings become inaccessible bastions for those who cannot afford to pay the price of existence in a world where everything has a tag price.

Dominance is implementing a strategic plan of universal control of the metropolises, crushing any source of resistance.

Armed with black propaganda and ideological warfare, it attempts to shape consciousness, while the deliberate degradation of neighbourhoods through the spread of organised crime and the violent expulsion of the local population is paving the way for its complete absorption by capital.

State repression acts as an armed guard for investors, real estates agencies are devouring land, houses become commodities, rents soar, public spaces become sterile fields of surveillance and consumer uniformity.

The plague of gentrification and flashiness is devouring cities, acting as a mechanism of subjugation and social control.

Exarchia, a neighbourhood that has a vibrant history of struggles, is in the crosshairs of the state and capitalist onslaught.

The state, on the one hand, unleashes waves of repression: squats are evacuated, the police presence is reinforced, the public spaces are militarised. On the other hand, capital is plundering collective memory by absorbing symbols of resistance and turning them into a tourist commodity. Our subcultures are forged and adapted to “alternative” commercial projects, while the neighbourhood is altered to serve the entertainment and lifestyle industry.

We will not let them turn the site of our struggles into just another ornamental attraction. We are launching the squat in the historic neighborhood of Exarchia for all of these reasons.

Cause its streets are not for sale.

Cause memories are not commercialized.

Cause living resistance is not a tourist attraction, but a battlefield.

Squats can surely be isles of resistance in the archipelago of struggle. They are also barricades. They are spaces where domination loses control, where the state is no longer the absolute regulator of life. They are workshops of struggle, meeting points, centres of self-organisation and action.

Insurrectionary and revolutionary culture does not happen by itself.

It is cultivated.

It evolves in the basements, in the squares, in the haunts, in the eyes that do not bow, in the bodies that do not accept to obey the enemy.

Squatting is not an isolated event.

It has the potential to drift in the practice of negation, to constantly remind us that we are not numbers in the state registers, we are not cogs in the wheels of production, we are not pawns in the chess game of power.

We are here to take what is ours, to create the cracks from which new possibilities arise.

The circumstances therefore leave us untouched when it comes to our anarchist consciousness and action. We do not want to align ourselves with the terror that arises from the ‘repressively harsh times’. Against reformist rhetoric, the manifestation of which are choices of political conformism in the field of action, we are determined for a long lasting and total radical rupture.

Our concern is not the repression that has and will continue to exist against us, but the constant stake with ourselves over the avoidance of political strategies that would threaten a movement to pass into oblivion through an increasingly incomplete militant presence both in terms of events and structures.

We understand that as a movement, the absence of a militant culture weakens us, makes us vulnerable and helpless in the face of the onslaught of power.

Inaction is synonymous with defeat.

We therefore, through this initiative, attempt to build a solid base that will promote a revolutionary/insurrectionary perspective, will intensify the threat against the oppressive mechanisms of the present and will cultivate the insurgent consciousnesses of tomorrow.

For insurrection is not a theoretical schema. It is practice, it is fermentation3, it is constant conflict.

WHY do we CHOOSE and PROMOTE REVOLUTIONARY and INSURRECTIONARY (DIRECT ACTION) as a culture?

i. Cause it is the only means of direct confrontation with the enemy right here, right now. It is the practice that creates “ground zero points”, by breaking the chains of normality, enabling individuals to determine their own destiny.

ii. Cause, at its core, Anarchy is a constant struggle for freedom. It is not a slogan, it is not a theory, it is a conflict, it is a praxis.

iii. Cause camaraderie relationships are not an abstract concept, but living and non-negotiable relationships between militants. They are forged in the fire of battle, side by side in every crisis, every defeat, every difficult moment. It is there that we rediscover our lost collective-self.

iv. Cause it pushes individuals to go beyond their limits, to break the chains of fear, to question the impossible.

v. Cause the aggressiveness of direct action is not random violence, but a strategic decision.

An expansion of revolutionary action, the generalisation of violent confrontation with the forces of power, is necessary for the demolition of the state and capitalist structure and the destruction of social relations of oppression.

It is the duty of every militant human being to enrich on a daily basis the tools that, both on a practical and theoretical level, will bring him or her to the fulfilment of their ideals. It requires boldness, risk, imagination, organization, faith and consistency. Intension is not sufficient enough, decision is required. For these reasons, therefore, the opening of this occupation is for us a contribution in this direction.

TOWARDS ANARCHY

Together we can do everything, we can throw away the vision of the end that seems very close.

We can live as proud human beings and free human beings

We can tear down the wall and see a whole life of joy waiting for us!

Rasprava Squat

Koletti and Themistocleous str.

1(πολιτικής ζύμωσης in the original text, it litterally means political fermentation), the theoretical debate within a political, social, etc. space that prepares the change of a situation.

2(εστία ζύμωσης, in the original text, it litterally means epicentre (focal point) of fermentation)

3(Ζύμωση in the orginal text), the theoretical debate within a political, social, etc. space that prepares the change of a situation, in the same context of footnote no.1.