Un piccolo spartiacque. Sul 15 marzo a Trento

Un piccolo spartiacque. Sul 15 marzo a Trento
Partiamo da un’immagine. La “piazza per l’Europa” scelta a Trento dal quotidiano “Il Dolomiti” è tra le più piccole della città ed ha accessi molto stretti. Insomma, se i Michele Serra nostrani non si aspettavano le folle, non escludevano le contestazioni. Il risultato è stato qualche centinaio di persone (300? 400?) che si sono parlate addosso letteralmente circondate dalla celere e dai carabinieri in tenuta antisommossa. Perché a cinquecento metri di distanza è stata lanciata una manifestazione inequivocabilmente contro il riarmo, contro l’economia di guerra, per la fine del massacro in Ucraina e del genocidio in Palestina, in solidarietà ai disertori ucraini e russi. Nonostante lo scarso preavviso (e la tanta pioggia), poco meno di 300 persone sono partite in corteo, passando dalle quattro strade attorno alla piazza dei guerrafondai (malamente) mascherati, disturbando con gli interventi amplificati proprio le parole del sindaco (neanche a farlo apposta). Le persone che passavano in centro si sono accorte degli europeisti con l’elmetto solo per via della polizia, mentre gli slogan e gli interventi che hanno sentito erano antimilitaristi, internazionalisti, anticolonialisti: “Gaza nel cuore, Jenin nella memoria, Intifada fino alla vittoria”, “Dalla von der Leyen a Michele Serra, cambiano le forme, la sostanza è guerra”, “Lo chiede l’Europa, la riposta è no. Per le loro guerre non mi arruolerò”, “Contro le guerre dei signori, siamo tutti disertori”, “Non un soldo né un soldato per le guerre del governo, dell’UE e della NATO”…
La composizione del corteo – più variegata rispetto alle ultime manifestazioni a fianco della resistenza palestinese – suggerisce un moto di risveglio di fronte a piani di riarmo che non hanno precedenti negli ultimi decenni. Poco, troppo poco. Ma le due piazze di sabato rappresentano un netto, necessario spartiacque. E infatti chi si muove nelle orbite di PD, Cgil, Arci, Anpi o AVS, e magari si considera antifascista e contro la guerra, non ha mosso un dito né una voce, perché sa che schierarsi davvero contro i progetti imperialisti e contro i complessi scientifico-militar-industriali significa oggi tagliare i ponti della compatibilità politica. Non caso a lanciare il corteo è stato quel pezzo di società che da 16 mesi si attiva senza se e senza ma contro il governo, contro l’Europa, contro le collaborazioni trentine con il genocidio a Gaza.
Il piano von der Leyen arma un plurisecolare suprematismo colonialista che oggi deve farsi la guerra anche al proprio interno. Il fatto che nelle risoluzioni belliciste dell’UE non si parli più di “Occidente”, bensì di “Europa”, significa che l’accordo sulla rapina delle masse palestinizzate del mondo non basta più; e che la guerra coloniale torna indietro sotto forma di furia estrattivista, di “monopoli radicali” e di fine delle pantomime democratiche. Se Volkswagen si dichiara pronta a riconvertire i propri stabilimenti insieme a Rheinmetall, si scopre per passaparola che Leonardo SpA sta contattando piccole aziende locali per proporre la produzione di armamenti (c’è da scommettere che, in tal senso, arriveranno a breve gli incentivi governativi sotto forma di sgravi fiscali). Esattamente come cento anni fa, il partito unico della guerra mobilita gli “intellettuali progressisti”, la sinistra del capitale e i sindacati di Stato per arruolare o irretire chi potrebbe rompere le righe. La novità è che oggi a schierarsi contro il riarmo UE (ma non quello nazionale) sono anche forze reazionarie. Motivo in più per prendere l’iniziativa. Che il genocidio e le guerra spacchino in due la società. Il 15 marzo ha creato solo le prime crepe.
Di seguito il volantino distribuito a Trento dall’Assemblea in solidarietà con la resistenza palestinese:
Prendiamo esempio dalla resistenza palestinese.
Fermiamo e cacciamo chi ci ha trascinato nella spirale della guerra
Le “piazze per l’Europa” lanciate a Roma da “Repubblica” e qui a Trento dal “Dolomiti” sono un capolavoro della propaganda, quel terreno infido che è uno degli elementi costitutivi della guerra al pari dell’artiglieria.
L’Europa come terra della libertà, della fratellanza tra i popoli e del Diritto internazionale è un mito che gronda sangue. La storia delle classi dominanti europee è quella del colonialismo e del suprematismo bianco, di cui gli stessi Stati Uniti sono un prodotto. I «valori europei» dei quali si straparla in queste piazze li vediamo a Gaza. Se tutto l’Occidente è schierato con il colonialismo genocida israeliano (non una sanzione, non un embargo militare, non una sola cessazione delle collaborazioni e degli scambi strategici… alla faccia del Diritto internazionale!) è perché Israele compendia fino all’estremo la storia europea e occidentale. In tal senso, l’unica differenza fra Trump-Musk e von der Leyen è che il primo si dichiara esplicitamente suprematista, mentre la seconda pratica il suprematismo senza dichiararlo.
Ma nelle “piazze per l’Europa” si va oltre l’ipocrisia. Ci si mobilita per la guerra. Partiti, partitini e sindacati che vi partecipano sembrano in disaccordo su alcuni aspetti (tra chi appoggia apertamente il piano di riarmo dei singoli Stati e chi preferisce la «difesa comune europea»), ma sul rafforzamento dell’industria bellica per continuare a depredare il resto del mondo sono tutti d’accordo. Il punto è chi ci deve guadagnare.
Tutto ciò non c’entra nulla, sia chiaro, con la protezione della popolazione ucraina. Massacrata e depredata sia dalla Russia sia da USA-NATO-UE, la gran parte delle gente in Ucraina vuole il cessate il fuoco (come dimostra il livello di massa raggiunto dalle diserzioni). Quello che l’UE non può accettare non è certo l’invasione di un Paese sovrano (vogliamo parlare dell’Iraq, della Serbia, dell’Afghanistan, della Libia, della Siria, della Palestina, del Libano?), peraltro ampiamente ricercata dal blocco occidentale con una serie di continue provocazioni volte a far entrare Ucraina e Georgia nella NATO, ma solo di essere tagliata fuori da un bottino su cui le sue classi dirigenti hanno scommesso tutto. L’«orgoglio europeo» dei vari Michele Serra è il tentativo di rilanciare una potenza imperialista europea in declino. Rilancio che passa oggi attraverso l’economia di guerra – chiamata furbescamente «difesa» – quale ulteriore concentrazione dei monopoli economici e finanziari, pagata come sempre da chi sta in basso.
Viviamo in un’epoca che non permette alcuna pigrizia nel pensare. La guerra è condotta, oltre che sui campi di battaglia e nelle retrovie, contro i nostri cervelli. Se vogliamo opporci ai venti di guerra e di riarmo; se vogliamo spezzare le collaborazioni nei nostri territori con il genocidio a Gaza e la pulizia etnica in Cisgiordania, dobbiamo disintossicarci dalla propaganda e contrapporle idee e princìpi ben saldi.
A volere la guerra è un’infima minoranza: quella che si arricchisce. Per tutti gli altri un riarmo da 800 miliardi di euro significa salari miseri, bollette alle stelle, sanità al collasso, scuole in cui si impara poco e si obbedisce molto, criminalizzazione del dissenso, città militarizzate.
Prendiamo esempio dalla resistenza palestinese. Fermiamo e cacciamo chi ci ha trascinato nella spirale della guerra.
Da perdere non abbiamo che una vita sempre più invivibile. E la nostra disumanità.
Trento, 15 marzo 2025
Assemblea in solidarietà con la resistenza palestinese
(ci troviamo ogni lunedì, dalle ore 18,30, alla Talpa di via S. Martino a Trento)