Trento: 23 anni di carcere per un’iniziativa contro il carcere

Riceviamo e diffondiamo:
Trento: 23 anni di carcere per un’iniziativa contro il carcere
Il 5 marzo scorso, il giudice Gianmarco Giua ha condannato in primo grado 25 tra compagne e compagni a pene che vanno dagli 8 mesi ai 2 anni di galera per un presidio del novembre 2020 sotto il carcere di Spini. Tenuto conto che il processo si è svolto con rito abbreviato (il quale prevede la riduzione di un terzo della pena) e che le condanne hanno superato quanto chiesto dallo stesso PM, si tratta di una sentenza su cui vale la pena fare qualche riflessione. Si tratta, infatti, di una palese anticipazione del DDL (ex) 1660 in discussione al Senato. 19 tra compagne e compagni sono stati condannati per “istigazione” (16 a 10 mesi, 3 a 1 anno). Il motivo è aver urlato “Fuoco alle galere” e frasi simili. Il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” esiste da decenni, ma non aveva mai portato a condanne – per lo meno a Trento – per slogan che caratterizzano da sempre le presenze solidali sotto le carceri. Sembra, appunto, un’anticipazione del “terrorismo della parola” con cui nel nuovo Decreto si vogliono colpire le idee che metterebbero a rischio l’ordine pubblico. Un paio di compagni sono stati condannati rispettivamente a 1 anno e a 1 anno e 2 mesi per “resistenza” in quanto accusati di aver disturbato con dei laser ottici le riprese della Digos. Anche questa sembra un’anticipazione dell’estensione del reato di “resistenza” o – per carceri e CPR – di “rivolta” a condotte che non sono “violente” e nemmeno particolarmente “attive”, coincidendo di fatto con tutto ciò che ostacola l’operato delle forze di polizia o dell’autorità. Due compagni sono stati condannati a 2 anni per un blocco stradale con dei cassonetti incendiati avvenuto in un’altra zona della città.
L’iniziativa finita sotto processo si era svolta mentre vigeva il divieto di ogni assembramento e mentre nel carcere di Spini – come in tanti altri – era in corso una protesta. Nella realtà rovesciata dei tribunali, ad “istigare” i prigionieri non erano le condizioni repressive interne (culminate, nei mesi precedenti, nella strage di Modena) bensì le parole solidali di compagne e compagni. La sentenza, insomma, prolunga il cordone poliziesco-mediatico con cui lo Stato ha cercato di imporre il silenzio sulle proteste dei detenuti e sulla violenza delle guardie, e prepara il terreno per quell’“istigazione alla rivolta” con cui il DDL vuole punire proprio i presìdi solidali davanti a carceri o CPR. Mai scordare il fatto che l’atto fondativo del primo lockdown su scala nazionale della storia (quello imposto il 10 marzo 2020 dal governo Conte) è stato l’assassinio di 14 prigionieri.
Non è la prima volta che compagne e compagni vengono condannati per degli interventi al microfono (è accaduto di recente a Udine, ed era già accaduto anche a Trento qualche anno fa). E nemmeno per degli slogan: era successo agli 11 compagni condannati a 2 anni di carcere ciascuno per aver urlato “la fabbrica ci uccide, lo Stato ci imprigiona, che cazzo ce ne frega di Biagi e di D’Antona” durante il corteo contro il 41 bis del giugno 2007 all’Aquila (in appello furono poi assolti).
La sentenza di Trento, tuttavia, colpisce a grappolo tutte le espressioni di solidarietà con i detenuti manifestatesi quel giorno (cassonetti incendiati ma anche dei semplici laser ottici, fino a un banale “Fuoco alle galere”). Ora, i giudici sono per lo più dei burocrati e dei passacarte a cui è spesso fuorviante attribuire chissà quali intenti politici. Ma quando il contesto è quello del riarmo, della guerra e dell’economia di guerra, lo spirito del tempo scrive esso stesso le sentenze. Società dei varchi (zone rosse), creazione di masse eccedenti (niente reddito, niente casa, niente documenti), discariche in cui tenerle isolate e impaurite (drastico aumento delle pene per chi lotta in carcere o nei CPR), pedagogia dell’indifferenza (la solidarietà che diventa “istigazione alla rivolta”), attacco alle idee sovversive (“terrorismo della parola”) sono tutti esempi di militarizzazione e di israelizzazione della democrazia. Per questo è necessario non separare le iniziative contro la repressione da quelle contro la guerra.
Fuoco alle galere.
anarchiche e anarchici