Luci da dietro la scena (XXIII) – verso lo Stato totale, ovvero il confine stracciato tra militare e civile
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luci da dietro la scena (XXIII)
Da ogni lato
Gli svedesi ce l’hanno fatta – grazie a una pianificazione rigorosa e a un efficace sistema di trasporti urbani, con il rinnovo del centro di Stoccolma e la creazione di sana pianta di nuove città di periferia –, sono giunti a una tecnicizzazione quasi perfetta del tessuto urbano realizzando un ambiente gradevole. Non è semplicemente stata soddisfatta la razionalità tecnica. Questa diventa anche piacere solo quando correttamente impiegata. Sappiamo ora che ci vogliono un certo numero di luoghi di svago e strutture socio-culturali, tot metri quadrati di verde, ecc. Eppure a Stoccolma aleggia una certa inquietudine: come se ci si chiedesse che cosa accadrà una volta raggiunta tale perfezione. […] La verità è che oggi, in quanto uomini moderni, non siamo più chiamati a utilizzare delle tecniche, ma a vivere con esse nel loro ambiente. Sicuramente Rorvik può descrivere l’idilliaco matrimonio tra uomo e robot, ma il problema è più sottile: il nostro adattamento alle realtà naturali, che ci giunge dalla notte dei tempi, è diventato inutile. A che cosa serve sapere se un fungo è velenoso, o avvicinarsi a una preda… Dobbiamo adattarci a un nuovo insieme di realtà. Dobbiamo sviluppare nuovi riflessi, imparare tecniche per usare il cervello, per apprezzare l’arte (fattasi espressione della società tecnica), per stabilire relazioni umane attraverso tecniche. L’ambiente tecnico non è più un insieme di mezzi che usiamo saltuariamente (per lavorare o distrarci), ma un insieme coerente che ci cinge da ogni lato, che si introduce in noi, e del quale non possiamo più liberarci: è ormai il nostro unico ambiente di vita.
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, 1977
La città intelligente
Fortunatamente – forse –, il pedone medio è solo vagamente consapevole della presenza o dell’operatività di questi sensori. Visti dal marciapiede, essi appaiono come una profusione di involucri più o meno misteriosi e poco evidenti, appiccicati ai lampioni o alle facciate degli stabili, come un’incrostazione frattale fatta di dispositivi estremamente differenti per età, tipo e provenienza. Con l’eccezione delle telecamere a circuito chiuso – molte delle quali sono fatte apposta per essere viste –, questi dispositivi non hanno forme particolarmente appariscenti. Alcuni sono direttamente integrati nei muri, altri sono sigillati sotto il manto stradale e solo l’eventuale segno lucido della giuntura sulla pavimentazione o le scritte fluorescenti lasciate dal personale di servizio ne possono tradire la presenza. Molto spesso, non sono altro che mute scatole di policarbonato scuro dalla forma oblunga, attaccate come lamprede alla facciata di un edificio, difficili da notare nella frenesia della vita quotidiana. Per quanto opachi possano essere, tuttavia, questi oggetti non hanno che uno scopo: registrare tutto ciò che accade nello spazio pubblico e metterlo a disposizione della rete. […]
Possiamo pensare che la raccolta di questi dati sia un fatto fondamentalmente innocuo, se non un aspetto essenziale delle moderne arti di governo, e possiamo continuare a riporre un significativo grado di fiducia nelle istituzioni responsabili, convinti che queste ultime non perseguano altro che il nostro interesse. Si può avere una tale fiducia nelle buone intenzioni dei nostri governi democraticamente eletti e del controllo dei poteri imposto dallo stato di diritto da non temere l’esistenza di strumenti infinitamente più potenti di un lettore di schede Hollerith. Eppure la storia è piena di buoni motivi per dubitare di tutti questi tipi di contabilità statistica.
Adam Greenfield, Tecnologie radicali, 2017
Due scenari, una direzione
Proviamo a sovrapporre due scenari. Il primo è quello del Mum-T in un contesto militare: dobbiamo immaginare velivoli e mezzi terrestri a guida umana che si muovono in coordinamento con stormi di droni e anche con mezzi terrestri a guida automatica, comunicando tra loro con reti di trasmissione ad altissima capacità, massima sicurezza e bassa latenza, con un uso estensivo di sensori che garantiscono in tempo reale il monitoraggio del terreno e del cielo e inviano un volume enorme di dati a nodi di edge computing, da cui applicazioni di intelligenza artificiale assicurano l’interazione tra uomini e macchine e guidano i droni e i veicoli senza pilota, da soli o in formazione, in un sistema di sistemi complesso.
Il secondo scenario è quello di una smart city: veicoli a guida umana e a guida automatica e droni, che si muovono in modo coordinato grazie a una rete di sensori che monitorano l’ambiente in cui uomini e macchine interagiscono, mentre un flusso di dati arriva ai nodi decentrati di elaborazione e l’intelligenza artificiale assicura che il tutto funzioni in modo coordinato ed efficiente.
Somiglia troppo al primo?
Francesca Balestrieri, Luca Balestrieri, Tecnologie dell’impero, 2024
Dal punto di vista strategico significa che tutte le azioni di guerra verranno “prodotte” e fatte scoppiare nelle retrovie: con il che naturalmente le retrovie smettono di essere retrovie e diventano il fronte.
Günther Anders, L’uomo è antiquato, 1956
«Dalle labbra d’acciaio delle macchine»
A Hebron l’esercito israeliano dispone di un software estremamente avanzato che si chiama “Hebron Smart City”. Si basa su un sistema di telecamere piazzate in ogni strada della città. Dalla sala di controllo l’esercito può seguire i movimenti di qualsiasi palestinese da un punto all’altro della città. Le telecamere sono molto tecnologiche, consentono di zoomare per vedere fin dentro alle case. Possiamo tracciare i palestinesi praticamente in qualsiasi momento e ovunque.
“Blue wolf” è una nuova tecnologia di riconoscimento facciale, oggi la principale missione dei militari israeliani nei territori occupati è fermare la gente per strada e fotografarla. In questo modo il software incrocia la foto con tutti gli altri dati che abbiamo.
Joel Carmel, ex-soldato dell’esercito israeliano, 2024
Una generazione fa si cantava un ritornello – le SA lo avevano portato sulle strade della Germania – che suonava: «…e domani il mondo intero». Questo inno stridente al dominio totale, oggi noi non lo possiamo più sentire. Ma se avessimo orecchie fatte a misura del mondo attuale, quelle parole invece le udiremmo oggi proprio come allora: lavorano silenziosamente. Infatti, questo ritornello era nato dall’officina della tecnica, di quella tecnica il cui dominio è oggi indiscusso come allora se non anche di più; ed era stato concepito lì, già molto tempo prima che esistesse la parola «nazionalsocialismo». Per quanto ciò possa suonare spaventoso, quello che hanno fatto le SA non è stato altro che raccogliere il ritornello dalle labbra d’acciaio delle macchine; per poi, stordite dal suo veleno, marciare a passi rimbombanti come pezzi di macchina verso la grande macchina dello Stato totale.
Günther Anders, L’uomo è antiquato, vol. II, 1980