L’intelligenza artificiale serve innanzitutto a fare la guerra

Segnaliamo questa interessante traduzione apparsa su terraeliberta.noblogs.org.

L’intelligenza artificiale serve innanzitutto a fare la guerra

di Jacques Luzi

Nota introduttiva

Il testo che segue è un capitolo del libro Ce que l’intelligence artificielle ne peut pas faire di Jacques Luzi, uscito nel maggio scorso in Francia per le edizioni La Lenteur. L’occasione per cui lo abbiamo tradotto sono le iniziative contro il “Wired Next Fest” che andrà in scena a Rovereto tra il 26 e il 29 settembre 2024. Ci è sembrato necessario ribadire, contro i cantori dell’umanità cablata, che l’Intelligenza Artificiale – parte e insieme motore delle tecnologie convergenti (info, bio, nano e neuro) – non è né positiva, come affermano i «tecno-entusiasti», né passibile di forme alternative di governance, come ripetono i «tecno-possibilisti». Nata in ambito bellico, l’IA serve innanzitutto a fare la guerra. A scanso di equivoci, ci ricorda lo stesso Luzi, il Pentagono lancia esplicitamente un nuovo Progetto Manhattan per l’Intelligenza Artificiale in chiave militare, mentre il partito-Stato cinese gli risponde con il MDPW (Multi-Domain Precision Warfare). Nel frattempo, in Ucraina si accelera la robotizzazione dei sistemi d’arma e di comando, mentre a Gaza si compie il primo genocidio automatizzato della storia. Dalla produzione automatizzata alla finanza ad alta frequenza, dalla disseminazione di telecamere e sensori nelle città all’agricoltura digitale, passando per l’ingegneria genetica applicata ai campi e ai corpi, quello che i complessi scientifico-militar-industriali stanno conducendo è una guerra generalizzata al vivente e ad ogni forma di autonomia individuale e comunitaria.

Contro l’artificializzazione della vita, la terra. Contro la schiavitù connessa, la libertà.

Rovereto, settembre 2024

Collettivo Terra e Libertà

L’intelligenza artificiale serve innanzitutto a fare la guerra

La scienza si è tradita diventando un fine in sé. Si è eretta a religione dell’omicidio […] Le piace essere diventata una religione e si affretta a sterminare gli uomini prima ch’essi abbiano afferrato a due mani il coraggio di spodestarla. Il sapere, di conseguenza, è divenuto potere, ma un potere divenuto folle, oggetto di una vergognosa adorazione.

Elias Canetti, Il libro contro la morte, 1942-1993

«Industrialismo» indica l’alleanza storica, a partire dal Rinascimento, tra lo Stato e il capitale. Tra Cesare e Mammona, ironizzava Charbonneau1. La potenza militare di Cesare dipende dalla prosperità di Mammona per il finanziamento, attraverso le tasse e l’indebitamento, dei suoi soldati, delle sue spie, dei suoi ricercatori, delle sue armi, della sua burocrazia e della sua logistica. E Mammona è tanto più prospera in quanto la potenza militare di Cesare le permette di estendere e securizzare il suo campo d’azione utile2. Da mezzo secolo, la mondializzazione del capitale e il neocolonialismo si dispiegano nell’universo della costrizione imposto dagli aerei da bombardamento ad alta quota, dai sottomarini nucleari, dai satelliti di osservazione, dai droni e dai missili intercontinentali. E questo arsenale, appunto, è finanziato dall’accaparramento delle risorse mondiali – che a sua volta permette.

Questa situazione deriva dal fatto che, a partire dal XVII secolo, l’alleanza tra potenza pubblica e capitali privati si è appoggiata sui crescenti poteri della tecnoscienza. La guerra e l’arricchimento della nazione sono diventati essi stessi oggetto dei saperi «scientifici», messi al servizio della lotta tra Stati per l’egemonia mondiale. La monetarizzazione dei rapporti sociali, la costruzione di vasti mercati finanziari, l’organizzazione burocratica delle amministrazioni come delle imprese, la disciplina di fabbrica e finanche la società del «benessere» (del sovraconsumo) sono prodotti di questo dispiegamento congiunto della potenza militare, dell’accumulazione del capitale e del progresso tecnologico. Il lavoro obbligatorio di consumo di gadget ad alta tecnologia, che mantiene il capitale attraverso la creazione di sbocchi alla sua produzione industriale, serve quindi non soltanto a riprodurre l’esercito del lavoro salariato, ma anche a sostenere lo sforzo di guerra3.

L’espansione dell’industrialismo genera due tipi di conflitti armati. Il primo è la guerra asimmetrica permanente, che garantisce il dominio dei centri industriali sulle nazioni poco industrializzate, nonostante conflitti contro-insurrezionali incessanti. Oggi, le macchine da guerra neocoloniali non mirano più, in generale, all’occupazione politica, ma semplicemente all’estrazione e al saccheggio delle risorse che alimentano l’alleanza tra Cesare e Mammona. Il secondo tipo è la guerra egemonica (o imperiale), nel corso della quale le superpotenze industriali rivaleggiano tra loro per la supremazia planetaria. Gli antagonismi che ne risultano sono continui, larvati e indiretti, ma provocano sporadicamente delle conflagrazioni mondiali, la cui ampiezza assassina è proporzionale alla potenza tecnologica dispiegata. Di ritorno, questi conflitti suscitano dei progressi tecnologici folgoranti.

All’alba della Prima Rivoluzione industriale, Carl von Clausewitz (1780-1831) notava che la pace è sempre nient’altro che la preparazione della futura guerra, e che, di conseguenza, l’azione reciproca tra avversari razionali, scevra d’ogni misura di autolimitazione, si traduce in una scalata verso gli estremi degli strumenti di morte4.

Questa scalata agli estremi si chiama oggi «corsa tecnologica».

Come auspicava di recente la sottosegretaria americana alla Difesa per la Ricerca e l’Ingegneria:

Non possiamo permetterci un livellamento del vantaggio tecnologico. È imperativo che il ministero incoraggi la ricerca nelle tecnologie emergenti al fine di prevenire le sorprese tecnologiche. Dobbiamo sfruttare le tecnologie commerciali di punta i cui rapidi progressi possono accrescere le nostre capacità militari.5

Dal momento che i cani non smettono di battersi per condurre il branco, la lotta per la potenza non ha mai avuto, né mai avrà, che dei vincitori provvisori e degli eterni pretendenti. Con la conseguenza che, non essendo la posizione egemonica mai davvero acquisita, la corsa tecnologica non ha in linea di principio altro termine che il prosciugamento delle risorse e (o) la reciproca autodistruzione. Alle fine delle fini, non rimarranno che dei vinti. Ma nell’attesa, ogni avversario imputa all’altro la costrizione di doversi precipitare sempre più verso l’Armageddon – la battaglia finale.

L’invenzione militare dell’intelligenza artificiale

Nella maggior parte dei casi, tocca ai poteri pubblici (Cesare) farsi carico dell’elaborazione e del lancio di nuove tecnologie. Poiché gli inizi sono troppo incerti e troppo costosi per essere immediatamente redditizi. E poiché queste tecnologie possono dotare il Paese in cui appaiono di un vantaggio militare, prima di servire all’accumulazione di ricchezze private (Mammona).

Il caso ideal-tipico è la creazione dell’industria nucleare attraverso il progetto Manhattan (fine 1942-agosto 1945) negli Stati Uniti. Vale a dire l’istituzione di un complesso scientifico-militar-industriale che ha mobilitato 600.000 persone in 32 siti, segreto sia nella realizzazione sia nelle conseguenze. Il suo obiettivo iniziale era la messa a punto accelerata dell’Arma assoluta, dalle ripercussioni ecologiche planetarie. Questo progetto segnò l’inizio della perdizione morale degli scienziati nel negazionismo nucleare che, in seguito, è diventato la norma, malgrado i 75 milioni di vittime legati ai primi bombardamenti, ai test, alle catastrofi e agli inquinamenti radioattivi. Ma come accusare i vincitori, che fanno le leggi, di «crimine contro l’umanità»? In seno all’eteronomia industriale, le leggi non si applicano forse soltanto a coloro che non hanno il privilegio di enunciarle? Più che assicurare la vittoria sul Giappone, i cui tentativi di resa si scontrano con il mutismo degli Stati Uniti, l’obiettivo di questi ultimi era quello di affermare la propria onnipotenza nei confronti dell’Unione Sovietica. Gli scienziati, naturalmente golosi di esperimenti in vivo, hanno quindi operato affinché Fat Man e Little Boy facessero il massimo di vittime. Ma, dopo l’esplosione della prima bomba atomica russa nel 1949, il seguito fu all’altezza: scalata agli estremi delle guerra fredda, monopolizzazione statale dell’industria nucleare civile al di fuori di ogni controllo democratico, erezione dei mezzi (militari e industriali) per spegnere ogni forma di vita sulla Terra – inaugurazione di quello che Günther Anders chiamò «il tempo della fine»6.

La Seconda Guerra mondiale fu quindi un periodo d’intense innovazioni tecnologiche, tra le quali il computer. La cibernetica è nata in seno al National Defense Research Committee, in seguito alla partecipazione di Norbert Wiener (1894-1964) al perfezionamento della difesa aerea, il quale lo aveva portato a interessarsi all’ottimizzazione dell’accoppiamento uomo-macchina. Propose allora, invano, la costruzione di un dispositivo automatico di predizione, i cui princìpi furono ripresi in seguito per fabbricare i super-calcolatori del dopo-guerra: macchina digitale, componenti elettronici, rappresentazione binaria dei dati, controllo logico e memoria di massa. In maniera più generale:

Durante la Seconda Guerra mondiale, quasi tutte le ricerche in informatica (così come la maggior parte della ricerca e dello sviluppo scientifico negli Stati Uniti), sono finanziati dal dipartimento della Difesa. Primo computer digitale americano, l’Eniac è costruito al fine di automatizzare il calcolo delle tavole balistiche. È terminato solo dopo la fine della guerra; ma non appena diventa operativo, il suo primo compito consiste nel risolvere un’equazione fisica complicata legata alle ricerche condotte a Los Alamos sulla bomba a idrogeno.7

Lo scienziato militarizzato più caricaturale fu probabilmente John von Neumann, al punto che servì più tardi da modello al personaggio del Dottor Stranamore (Stanley Kubrick, 1964). Colui che è considerato come uno dei più grandi geni del XX secolo ha lavorato per l’US Navy sulla messa a punto delle temibili «cariche vuote». Partecipò al progetto Manhattan, all’interno del quale migliorò la lente esplosiva e calcolò, grazie a dei proto-computer di sua concezione, l’altitudine dell’innesco allo scopo di massimizzare gli effetti omicidi dell’esplosione. Favorevole all’idea di provocare il maggior numero possibile di vittime, propose di lanciare la bomba nucleare su Kyoto. I suoi progetti furono a misura delle sue capacità tecnocratiche, lui che sognava una geo-ingegneria per condurre guerre climatiche capaci di affamare intere nazioni. Fino alla sua morte, verosimilmente dovuta alla sua esposizione alle radiazioni, perseverò, senza il benché minimo scrupolo etico, a collaborare all’escalation dell’arsenale atomico, partecipando al contempo a stabilire i princìpi dell’intelligenza artificiale.

Non fu certo il solo:

Gli architetti della guerra fredda avevano innanzitutto elaborato dei computer per controllare sistemi militari a lunghissima distanza, poi per gestire le immense burocrazie e catene di approvvigionamento di cui queste forze avevano bisogno. Ma in corso d’opera, utilizzarono questi computer anche per simulare quasi tutti gli aspetti possibili e immaginabili della guerra fredda: la strategia nucleare basata sulla teoria dei giochi, la fisica delle esplosioni nucleari, la concezione aeronautica e le politiche di corsa agli armamenti. Crearono quindi Arpanet, padre d’Internet, per facilitare la condivisione della potenza informatica, dei programmi e dei dati tra i ricercatori dell’esercito. 8

Tra il 1962 e il 1986, il Pentagono si è profuso nella ricerca in ingegneria informatica attraverso i programmi dell’Information Processing Techniques Office, incentrato principalmente sulla ripartizione del tempo, l’infografia, le reti (Arpanet) e l’intelligenza artificiale. Questi lavori s’inscrivevano nella continuazione di quelli di Minsky e del Massachusetts Institute of Technology (MIT) nel quadro del programma militare Command & Control9. Dal 1983 al 1993, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) ha speso un miliardo di dollari supplementari in ricerche informatiche, nel quadro della Strategie Computing Initiative, concepito per l’ideazione e la fabbricazione di microprocessori, l’architettura informatica e i software di intelligenza artificiale. Questa informatica militare ha permesso dei passi avanti nei sistemi esperti, nella visione tramite computer, nel riconoscimento e nella generazione della parola10.

Negli anni Novanta, con una buona dose d’aiuti governativi, la generalizzazione dei micro-computer è stata l’occasione della transizione verso le applicazioni mercantili ben presto monopolizzate dai Gafam: Google (Alphabet), Amazon, Facebook, Apple, Microsoft, così come dagli habitués dei finanziamenti militari (IBM, Intel ecc.). Tale generalizzazione ha aperto la strada all’estensione e alla riorganizzazione neoliberale dei mercati finanziari, affrancatisi dalle regolazioni pubbliche del periodo 1935-1975. Tanto più grazie all’high-frequency trading, che permette l’esecuzione a velocità sovrumana (nell’ordine dei decimi di millisecondo) delle transazioni finanziarie da parte degli algoritmi «intelligenti»11.

Ora, grazie alla loro estrema rapidità, queste macchine «intelligenti» generano dei crac improvvisi, ai quali i regolatori possono opporre unicamente dei disgiuntori. Di qui la questione: gli usi militari dell’intelligenza artificiale presenteranno lo stesso tipo di défaillance? E se è questo il caso, sarà possibile mettere fuori circuito una tale Megamacchina algoritmica universale12?

Storie di droni*

Per quanto riguarda gli scontri convenzionali, la strategia americana è piuttosto identica a quella stabilita durante la guerra fredda: volontà di supremazia aerea totale, sorveglianza e controllo a distanza. Questa strategia ha consentito delle vittorie facili, a colpi di bombe all’uranio impoverito, di missili a guida laser ecc., contro Stati militarmente minori come l’Iraq, seguite da immense difficoltà nel lottare contre le guerriglie urbane consecutive, che hanno costretto gli USA a una guerra contro-insurrezionale prolungata indefinitamente.

Stante la fascinazione del comando militare americano per l’alta tecnologia, questa impasse non poteva che tradursi nella spirale ispirata dai metodi con i quali lo Stato d’Israele gestisce i territori palestinesi. Vi si riconoscerà facilmente lo schema cibernetico abituale: «cattura dei dati/ analisi algoritmica/ retroazione sui comportamenti»:

I sensori raccolgono le informazioni tratte dai cellulari, dai televisori e dalle radio, ma anche dagli scanner biometrici, dalle telecamera e da una miriade di cartellini identificativi a radiofrequenze, vera e propria «polvere intelligente» preliminarmente «disseminata». […] In questo scenario, sciami di micro- e nano-sensori sono rilasciati in una città per fornire di continuo informazioni a tutto un insieme di armamenti automatizzati, i quali possono così uccidere o distruggere automaticamente i loro obiettivi. La sorveglianza automatizzata si trasforma dunque in arma di guerra automatizzata13.

L’idea di partenza era di poter inviare degli ordigni teleguidati (terrestri, aerei o marittimi), al posto dei fragili umani, nelle «zone ostili» (comprese quelle extraterrestri). Il problema è che con i droni armati, la reciprocità guerriera tra «poter uccidere» e «poter essere uccisi» si trova spezzata; le frontiere sovrane si trovano ignorate nel corso delle operazioni di assassinio mirato; e i fondamenti elementari del diritto internazionale sono, come minimo, erosi. Poco importa, dal momento che l’egemonia del «gendarme del mondo» procura l’impunità al suo monopolio della violenza efficace, vendendo al contempo alla propria popolazione, confortevolmente seduta davanti ai suoi schermi, la diminuzione delle perdite militari fino al «zero morti»14. Oggi, quando almeno 50 Stati possiedono dei droni militari senza pilota, l’esercito americano ne detiene più di 7 mila, e vanno dai famosi Predator («predatore») e Reaper («mietitore») alle minuscole «vespe» che trasmettono le immagini degli eventi sul campo. Mentre si profilano all’orizzonte gli sciami di «insetti-cyborg» mortali15.

Dal punto di vista militare, l’automatizzazione dei droni si misura nella sequenza «osservare, orientare, decidere, agire». Per i droni semi-automatici, l’intelligenza artificiale permette di selezionare e di colpire l’obiettivo sotto il comando di un umano, che agisce da lontano al riparo del suo bunker. Dal 2017, il progetto americano Maven, in collaborazione con Google (Alphabet), ha come scopo quello di perfezionare i sistemi «intelligenti» di riconoscimento di immagini, al fine di «rafforzare le capacità di sorveglianza e d’identificazione degli obiettivi da parte dei droni dell’esercito e dell’intelligence americani»16.

Nel caso dei droni autonomi supervisionati, le macchine osservano, decidono e agiscono da sole, ma un umano può ancora intervenire nel processo. Invece il sistema di combattimento Aegis dell’US Navy seleziona gli obiettivi grazie a dei radar, analizza il livello di minaccia e colpisce, in assenza di interventi da parte dei supervisori umani, in modo automatico. Nel frattempo, la Russia avrebbe sviluppato un nuovo siluro sottomarino intercontinentale autonomo, a propulsione e ad armamento nucleari17.

Poi arrivano, logicamente, i sistemi interamente automatizzati, senza più alcuna collaborazione umana. Dal 2014, la sentinella robotizzata SGR-Ai, fabbricata da Samsung, assicura l’identificazione e la capacità di colpire lungo la frontiera tra le due Coree. Duranti gli scontri tra le fazioni in lotta per il potere in Libia, nel 2021, un drone turco Kargu-2 ha colpito degli obiettivi senza che sia possibile risalire ad alcuna decisione umana18. Il 28 agosto 2023, il vice-segretario amricano alla Difesa ha presentato l’iniziativa Replicator (navi autopilotate, aerei senza equipaggio ecc.), la quale, grazie alla padronanza delle «tecnologia di domani» (l’intelligenza artificiale), permetterà di «dispiegare migliaia di sistemi autonomi attribuibili nel corso dei prossimi diciotto o ventiquattro mesi»19.

Non sorprende certo che la guerra tra Russia e Ucraina stimoli questo genere di innovazioni. Gli osservatori esterni, dagli stati maggiori agli industriali degli armamenti, scrutano con interesse quello che considerano il «laboratorio per le guerre future» tra nazioni industrializzate20. La robotizzazione del campo di battaglia vi progredisce inevitabilmente, con gli aggiustamenti che la pratica impone. Abbondano le armi che usano l’intelligenza artificiale, dalle munizioni «intelligenti» (come l’obice Excalibur, fornito all’Ucraina dal Canada) al missile da crociera ipersonico usato dalla Russia, passando attraverso la robotizzazione dei sistemi di attacco in profondità, le munizioni che cercano l’obiettivo, le munizioni erranti (Switchblade) e gli sciami di droni autodiretti. In entrambi i campi, sembra che i droni kamikaze (terrestri, marittimi, aerei) a buon mercato godano di gran favore in virtà della loro efficacia omicida. L’Iran fornisce i suoi droni suicidi Shahed alla Russia21. L’esercito ucraino ricorre al fai da te per trasformare i droni commerciali in armi d’assalto e gli smartphone in strumenti di intelligence e di puntamento. Esso impiega le stampanti a 3D per fabbricare i pezzi di ricambio. E avrebbe dotato un semplice kayak del motore di un jet-ski, di telecamere, GPS e ogive nucleari, «aumentandolo» in un temibile drone marino.

La «sperimentazione» russo-ucraina coferma quanto già noto in teoria, ad esempio nel campo della finanza, e cioè che l’automatizzazione digitale militare risponde a delle esigenze di duttilità e di velocità, con la vittoria assicurata a chi è il più rapido nell’essere rapido negli scontri. Il che incita i pianificatori militari a delegare alle macchine un potere decisionale sempre più importante. Ma con il loro ritmo furioso e la massa di dati d’osservazione, i battaglioni di droni sono votati a surclassare le capacità del loro comando militare, fino a immaginare dei robot-generali.

L’intelligenza artificiale come progetto Manhattan, ovvero i preparativi della guerra robotica totale

L’accelerazione continua delle operazioni militari «intelligenti», la simultaneità del funzionamento dei sistemi autonomi e dell’ipersonica determinano una crisi del controllo e del comando: come governare macchine dalla velocità sovrumana, se non automatizzando a sua volta la direzione delle operazioni? È l’oggetto dei progetti di intelligenza artificiale degli eserciti americano e cinese: il JACD2 americano (Joint All-Domain Command Control) contro il MDPW cinese (Multi-Domain Precision Warfare) – oppure il Nation Defense Management Center russo. In tutti i casi, ritroviamo la stessa strategia di organizzazione del progetto Manhattan, vale a dire un complesso scientifico-militar-industriale incaricato di apprestare quanto prima il comando «intelligente» dell’esercito22.

Negli USA, la National Security Commission of Artificial Intelligence, istituita dal Congresso americano nel maggio 2018, ha integrato tra i suoi membri i rappresentanti d’Amazon Web Services, d’Oracle, di Microsoft Researche Lab e di Google Cloud:

La competenza della Silicon Valley è indispensabile all’apparato militare se questo intende realizzare la sua visione di un sistema che integri l’insieme dei dati trasmessi dai sensori delle varie forze armate. Analizzate con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, queste informazioni permetterebbero di elaborare in seguito una riposta coordinata efficace. Alla fine del 2022, il Pentagono ha attribuito a quattro giganti tecnologici – Microsoft, Google, Oracle e Amazon – un lauto contratto di 9 miliardi di dollari per sviluppare l’infrastruttura di questo audace progetto.23

Questa commissione ha stabilito le raccomandazioni necessarie a «far progredire lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, dell’apprendimento automatico e delle tecnologie associate al fine di rispondere in maniera globale ai bisogni degli Stati Uniti in materia di sicurezza nazionale e di difesa»24. Nel quadro del JADC2, l’US Air Force si impegna a creare un sistema di controllo automatico, l’Advanced Battle Managemen System, «utilizzando l’intelligenza artificiale per permettere una presa di decisione più rapida»25.

In Cina, il partito-Stato si mobilita per fondere le basi industriali militari e civili allo scopo di sfruttare le innovazioni tecnologiche nei due settori:

Nel 2021, l’Esercito popolare di liberazione ha cominciato a discutere di un nuovo «concetto operativo di base», chiamato «guerra di precisione multi-dominio». MPDW è destinato a sfruttare C4ISR [comando, controllo, communicazioni, computer, intelligence, sorveglianza, riconoscimento] che [l’esercito] chiama «il sistema di sistemi d’informazione in rete che integra gli avanzamenti in materia di big data e d’intelligenza artificiale per identificare rapidamente le principali vulnerabilità del sistema operativo americano, poi per combinare le forze congiunte di tutti i domìni per sferrare dei colpi di precisioni contro tali vulnerabilità». 26

Oltre alle attuali lacune dell’intelligenza artificiale e le prospettive di crac militari improvvisi senza disgiuntore, la questione è sapere quale sarà il limite di questa competizione nella robotizzazione congiunta del campo di battaglia e del suo comando. E se, come nella Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams, l’accelerazione delle operazioni militari non sfocerà in sistemi d’arma nucleari automatizzati:

In un primo tempo, il JADC2 sarà concepito per coordinare le operazioni di combattimento tra forze americane «convenzionali» o non nucleari. A un certo punto, tuttavia, dovrà essere collegato ai sistemi di comando, di controllo e di comunicazione nucleare (NC3) del Pentagono, il che potrebbe affidare ai computer un controllo significativo sull’utilizzo dell’arsenale nucleare americano. «JADC2 e NC3 sono strettamente legati», ha dichiarato il generale John E. Hyten, vicepresidente dei capi di stato-maggiore inter-forze, in un’intervista del 2020. Di conseguenza, ha aggiunto nel linguaggio tipico del Pentagono, «NC3 deve informare JADC2 e JADC2 deve informare NC3». 27

La corsa mondiale al profitto economico e alla potenza militare vieta agli Stati industriali di farla finita con la guerra e con i preparativi tecnologici alla guerra. E putroppo non mancano d’immaginazione per giustificare i conflitti di oggi e di domani, sotto forma di profezie che si autoavverano. Come quella dello «scontro di civiltà», cioè di nuove «guerre di religione», enunciato dal neoconservatore Samuel Huntington nel 1996. Tuttavia, la storia dell’industrialismo ha ampiamento dimostrato che ogni periodo di concorrenza internazionale pacifica sprigiona un momento in cui soltanto la potenza tecno-militare decide del posto di ciascuno nel dominio della Terra. La strumentalizzazione delle religioni è unicamento un’aggiunta ipocrita a questa tendenza con cui l’industrialismo attizza il fanatismo delle masse e le aggioga alla propria dinamica distruttrice.

Le sistema-mondo attuale è segnato dall’indebolimento relativo delle nazioni ancora egemoniche e l’emergere dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa): la parte del PIL mondiale reale della Triade (Nord America, Europa, Giappone), che corrispondeva al 47% nel 2010, non dovrebbe superare il 29% nel 2030, mentre la parte di questi paesi emergenti raggiungerà il 44%. Ora, tutti i periodi di oscillazione dell’egemonia mondiale si sono conclusi nel rumore, nel furore e nel sangue28. A questo si aggiungono i limiti naturali all’espansione globale della potenza, su di un pianeta attualmente sovrappopolato. Di qui al 2030, la Cina, prima potenza produttrice, sarà reponsabile da sola dell’aumento del 30% della domanda mondiale di energia, nel momento stesso in cui l’approvvigionamento delle risorse fossili sta declinando, senza sostituti di massa (che si tratti di idrocarburi non convenzionali o di illusioni rinnovabili).

Prendere coscienza delle conseguenze di questi sconvolgimenti presuppone di considerare che la potenza miltare-economica di uno Stato è proporzionale alla quantità d’energia di cui dispone per alimentare la propria macchina industriale. Fatto da cui deriva che la futura stagnazione delle risorse energetiche implica quella della quantità d’energia da ripartire tra gli Stati. Il principio industriale di un gioco a «somma positiva», nel quale ciascuno può accrescere la propria potenza senza deteriorare quella degli altri, è reso caduco dall’irrealismo del suo assioma implicito: la quantità infinita delle risorse naturali sfruttabili per la continuazione infinita del gioco. Privo di questo assioma, il gioco diventa definitivamente a «somma nulla»: i benefici degli uni sono le perdite degli altri.

Ne consegue che l’intelligenza artificiale apparirà ben presto come la causa e insieme l’effetto della preparazione precipitosa alla guerra robotica, chiamata «iperguerra» dagli americani. La sua materialitù contribuirà alla moltiplicazione e all’intensificazione dei conflitti per l’accesso alle riserve critiche delle materie prime strategiche (petrolio, gas naturale, minerali, acqua). Al contempo, le sue performance puntano direttamente a ottimizzare l’efficacia omicida delle armi impiegate in tali conflitti, figli della guerra contro la natura, ai quali hanno già comiciato a dedicarsi, per il momento in maniera indiretta, i pretendenti all’egemonia.

* Gioco di parole intraducibile tra histoires drôles («storie divertenti», «storie bizzarre») e histoires drones «storie (di) droni».

Note

1 Bernard Charbonneau, Lexique du verbe quotidien, Èditions Héros-Limite, Genève, 2016, p. 47.

2 Vedi ad esempio John K. Galbraith, Come uscire dal Vietnam. Una soluzione realistica del più grave problema del nostro tempo [1967], Einaudi, Torino, 1968.

3 Per maggiori dettagli su questo legame storico e logico profondo tra Stato, capitale e tecnoscienza, cfr. Jacques Luzi, Au rendez-vous des mortels. Le déni de la mort dans la culture moderne, de Decartes au transhumanisme, La Lenteur, Vaour, 2019, in particolare il capitolo intitolato «La contrainte (politique) et le capital», pp. 79-84.

4 Karl von Clausewitz, Della guerra, Rizzoli, Milano, 2009.

5 Heidi Shyu, citata da David Vergun, «DOD in Search of Disruptive Technologies That Will Enable the Warfighter», US Department of Defense, 8 marzo 2022, <defense.gov>. L’acronimo DOD significa US Department of Defense.

6 Sul contenuto dei due paragrafi precedenti, cfr. Jean-Marc Royer, Il mondo come progetto Manhattan. Dai laboratori nucleari alla guerra generalizzata alla vita, Mimesis, Udine, 2023 (edizione francese orginale 2017). E, dello stesso autore, Appel international : Hiroshima, Tchernobyl, Fukushima, des crimes contre l’humanitè, 12 marzo 2012, <fukushima-blog.com>. [Sempre di Royer, è disponibile in italiano anche Filosofia politica del nucleare, <ilrovescio.org>, NdT].

7 Paul N. Edwards, Un Monde clos. L’ordinateur, la bombe et le discours politique de la guerre froide [1996], Èditions B2, Paris, 2013, pp. 60-61.

8 Ibidem, p. 8.

9 Cfr. Arthur L. Norberg & Judy E. O’Neill, Trasforming Computer Technology. Information Processing for the Pentagon, John Hopkins University Press, Baltimore, 1996.

10 Cfr. Alex Roland & Philip Shiman, Strategie Computing: Darpa and the Quest for Machine Intelligence (1983-1993), MIT Press, Cambridge, 2002. Questa strategia è stata attualizzata da Barack Obama: cfr. «Executive Order: Creating a National Strategie Computing Iniziative», National Archives, 29 luglio 2015, <obamawhitehouse.archives.gov>.

11 Nel 2020, il trading ad alta frequenza rappresentava circa il 50% del volume delle transazioni sul mercato azionario americano, e il 43% del volume su quello europeo: cfr. Johannes Brekenfelder, How Does Competition Among High-Frequency Traders Affect Market Liquidity?, Banca centrale europea, «Research Bullettin», n. 78, dicembre 2020, <ecb.europa.eu>.

12 Cfr. le riflessioni di Paul N. Edwards, Virtual Machines, Virtual Infrastructures: The New Historiography of Information Tecnology, «Isis», vol. 89, n. 1, marzo 1998.

13 Stephen Graham, Villes sous contrôle. La militarisation de l’espace urbain, La Décooverte, Paris, 2012, p. 85 e p. 87.

14 Cfr. Grégoire Chamayou, Teoria del drone. Princìpi filosofici del diritto di uccidere, DeriveApprodi, Roma, 2017 [edizione originale francese 2015].

15 Cfr. Barbara Ehrenreich, War Without Humains, «Tom Dispatch», 20 agosto 2020, <tom.dispatch.com>; e David Hambling, The US Navy Wants Swarms of Thousands Small Drones, «MIT Technology Review», 24 ottobre 2022, <techologyreview.com>.

16 Charles Thibout, La compétition mondiale de l’intelligence artificielle, «Pouvoirs», vol. 3, n. 170, 2019.

17 Cfr. Department of Defense (USA), «Nuclear Posture Review», febbraio 2018, p. 33, <media.defense.gov>,

18 Cfr. il «Rapporto del gruppo di esperti sulla Libia», Consiglio di Sicurezza dell’ONU, 8 marzo 2021, p. 20, <documents.un.org>.

19 Kathleen Hicks, “The Urgency to Innovate” (as Delivered), Department of Defense, 28 agosto 2023, <defense.gov>. «Attribuibili» rinvia, nel gergo militare, ad armi dal costo di fabbricazione minimo e dal massimo grado di efficacia letale.

20 Annika Burgess, What Ukraine’s Weapons Innovation and Commercial Technologies Tell Us About the Future of War, «ABC News», febbraio 2023, <abc.net.au>.

21 Su questi vari punti, cfr. gli articoli dell’Atlantic Council, think tank americano specializzato nelle relazioni internazionali e vicino alla NATO, disponibili su <altlantic.council.org>.

22 Cfr. Hope H. Seck, Congress Wants a “Manhanntan Project” for Military Artificial Intelligence, «Military.com», 29 settembre 2020, <military.com>. Per quanto riguarda la Francia, cfr. le direttive di Florence Parly (all’epoca ministro della Difesa), L’intelligence artificielle au service de la défense, settembre 2019, <vie-publique.fr>.

23 Evgeny Morozov, Une guerre froide, «Le Monde diplomatique», maggio 2023.

24 National Commission on Artificial Intelligence, Final Report, marzo 2021, <nscai.gov>.

25 John R. Hoehn, Advanced Battle Management System (ABMS), Congressional Research, 15 febbraio 2023, <crsreport.congress.gov>.

26 Department of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of Chine, 23 novembre 2023, pp. 5-6, <defense.gov>.

27 Michael T. Klare, Artificial Intelligence and the Future of War, «Le Monde diplomatique» (USA), 19 dicembre 2018, <mondediplo.com>.

28 Cfr. Immanuel Wallerstein, Le capitalisme historique [1983], La Découverte, Paris, 2011, pp. 57-59 (trad. it., Il capitalismo storico, Einaudi, Torino, 1985).