Se non è già troppo tardi per questo lavoro. Anarchici di lingua yiddish di fronte al sionismo [corretto]

[8 agosto 2024: sostituiamo la precedente versione con questa, contenente alcune correzioni]

Se non è già troppo tardi per questo lavoro

Una polemica del 1929 tra anarchici di lingua yiddish a proposito di sionismo

Qui la versione impaginata:

troppotardi

Pubblichiamo, tradotto in italiano, uno scambio fra anarchici di lingua yiddish risalente a quasi cent’anni fa e recentemente apparso in una traduzione inglese su Jewish Currents1. Nel 1929, di fronte alle violenze scoppiate contro i coloni ebrei in Palestina, il giornale anarchico yiddish più letto al mondo, Di fraye arbeter shtime (“La voce del lavoro libero”), apriva alla necessità di una organizzazione militare sionista per difendersi dalla violenza dei nativi «arabi selvaggi», facendo al contempo proprio il topos per eccellenza del colonialismo d’insediamento: quella in cui si sono stabiliti gli ebrei sarebbe stata «una terra vuota». Dopo alcuni mesi arriva la risposta di un gruppo di anarchici polacchi. Questo secondo testo, che per lucidità e chiarezza ricorda la risposta di Malatesta al manifesto interventista dei Sedici2, è esemplare nella sua precisione e prezioso – oltre che per il suo valore storico – per la sua capacità di illuminare il confronto col presente.

Il testo si apre programmaticamente con la necessità di non subordinare l’analisi politica al turbamento legato al dramma della violenza: «Al contrario, quanto più grande e forte cresce la violenza, tanto maggiore cresce la nostra responsabilità e il nostro dovere di trovare la causa corretta e determinare la nostra diagnosi». L’articolo prosegue con una puntuale disamina del progetto sionista fondato sulla disumanizzazione dei nativi arabi e sulla pretesa di civilizzazione e di controllo esclusivo della terra di Palestina, identificando il ruolo geopolitico del sionismo come «baluardo per l’Occidente contro il selvaggio Oriente» a difesa degli interessi coloniali inglesi.

Sul piano etico, i compagni polacchi non hanno dubbi nel sostenere che la responsabilità dell’odio espresso dagli arabi negli attacchi contro gli ebrei va ritracciata nella «criminale campagna sionista» e in come questa ha informato l’atteggiamento degli ebrei nei confronti dei nativi. Significativa, inoltre, la testimonianza sulla convivenza pacifica con gli insediamenti pre o proto-sionisti, mentre la genesi dei conflitti viene ricondotta alla «pretesa storica» di «uno Stato per gli ebrei» che implica l’espulsione dei nativi.

Il testo si conclude suggerendo una possibilità, quella dell’internazionalismo: «Smettete di fungere da baluardo tra l’occupazione inglese e gli arabi. Fate lo sforzo di raggiungere un’intesa con gli arabi – non con gli effendi [signori, proprietari terrieri], ma con i fellahin, i contadini – se non è già troppo tardi per questo lavoro». Sepolte da quasi cent’anni di brutale spossessamento e oppressione ai danni del popolo palestinese, e dal genocidio accelerato perpetrato dall’occupazione militare sionista contro la popolazione di Gaza a partire dal 7 ottobre 2023, queste ultime parole dei compagni polacchi acquistano oggi un peso a dir poco drammatico. In assenza di un movimento dal basso interno all’occupazione militare che metta veramente in discussione la struttura del colonialismo d’insediamento sionista (e non, superficialmente, l’intensità della sua violenza più manifesta), difficile oggi non pensare che quella possibilità sia definitivamente compromessa.

A noi, in ogni caso, rimane la responsabilità e il dovere di «trovare la causa corretta e determinare la nostra diagnosi», e agire di conseguenza, consapevoli che una crisi generalizzata nel cuore dell’Occidente è l’unica possibilità di salvezza, nostra e della Palestina. Se non è già troppo tardi per questo lavoro.

La rottura fra gli anarchici di lingua yiddish sulla Palestina

Introduzione di Eyshe Beirich

Venerdì 23 agosto 1929, voci esagerate sulla portata della violenza ebraica contro i palestinesi e sulla profanazione dei luoghi santi di Gerusalemme raggiunsero la comunità palestinese di Hebron (Al-Khalil, in arabo). Ciò che era iniziato con palestinesi infuriati che lanciavano pietre contro case ebraiche e infine con l’accoltellamento a morte di un giovane studente della yeshivah, presto esplose in una vera e propria rivolta: la mattina successiva, altri palestinesi entrarono nella comunità ebraica ortodossa di Hebron e uccisero 67 ebrei di varie nazionalità, età e provenienza, tutti disarmati e che in precedenza si erano rifiutati di collaborare con le milizie sioniste a causa della loro opposizione teologica al sionismo. Allo stesso tempo, dozzine di famiglie palestinesi ad Al-Khalil protessero centinaia di loro vicini ebrei dalla violenza.

L’agosto 1929 fu un periodo di proteste diffuse e di rivolte violente scoppiate in tutta la Palestina in risposta alla crescente repressione coloniale britannica, all’agitazione sionista anti-palestinese e alle divisioni ideologiche all’interno del movimento nazionale palestinese. Gli eventi dell’agosto 1929 – che provocarono la morte di 116 palestinesi e 133 ebrei entro la fine del mese – vengono definiti in modo diverso nelle diverse fonti, a seconda della loro prospettiva: “sommosse”, “fatti” o, in gran parte della stampa palestinese, “rivolte”. Spesso vengono citati metonimicamente come “il massacro di Hebron” o “il pogrom di Hebron”, in particolare nella memoria storica sionista.

Questi eventi cambiarono sostanzialmente la fedeltà politica delle comunità ebraiche al di fuori della Palestina. Fino a quel momento, i giornali yiddish di sinistra e comunisti in America avevano posizioni diverse sul sionismo, che andavano dal sostegno passivo all’agnosticismo fino all’antisionismo esplicito. Dopo il 1929, molti giornali yiddish scivolarono verso destra, abbracciando apertamente aspetti del sionismo che un tempo rifiutavano, in risposta a quelli che consideravano “pogrom” antisemiti in stile est europeo per mano dei “barbari arabi”.

Il giornale anarchico yiddish più letto al mondo, Di fraye arbeter shtime (FAS), offre un caso di studio meno noto sul discorso ebraico e sulla reazione politica dopo un’immensa violenza. Il 30 agosto, nemmeno una settimana dopo il massacro di Hebron, il giornale ruppe la sua storica opposizione al sionismo per pubblicare un editoriale intitolato “Una vergognosa macchia sull’umanità” che appoggiava la militanza sionista al fine di difendere le comunità ebraiche e gli insediamenti sionisti in Palestina. «È doloroso», hanno scritto i redattori, ma non abbiamo altra scelta». A differenza del loro concorrente comunista, il Morgn frayhayt3, anch’esso fratturato internamente dopo il 1929, la FAS non aveva mai assunto una posizione appassionatamente antisionista. Tuttavia, per molti dei suoi contributori, il sionismo era antitetico alla politica e ai princìpi anarchici. Questo è esattamente ciò che rende così scioccante il loro improvviso abbraccio alla militanza sionista: la FAS passò dal denunciare come fascista la «violenza fisica e cruda» associata al sionismo revisionista4 e al suo leader Vladimir Jabotinsky a considerarlo l’unico modo per garantire la sicurezza della comunità ebraica in Palestina. Questa prospettiva viene giustificata attraverso rappresentazioni sorprendentemente razziste dei palestinesi, che vengono presentati come «selvaggi» che non saranno mai in grado di apprendere gli insegnamenti del marxismo e quindi non potrebbero mai diventare pienamente umani.

Diversi mesi dopo, un gruppo di giovani anarchici ebrei polacchi pubblicò il proprio dissenso. In una sorprendente e vigorosa prosa yiddish, questi giovani anarchici condannarono la FAS per quella che vedevano come la simpatia del giornale per il «diavolo sionista» e il suo ipocrita abbraccio alla politica fascista. Resistettero alla riduzione dei palestinesi a «pogromisti». Invece, identificarono la difficile situazione del proletariato ebraico con i contadini palestinesi, i Fellahin, che secondo loro avevano più in comune con le vittime dei pogrom antisemiti che con i perpetratori. Contemporaneamente, mantennero un’assoluta insistenza sul diritto dei palestinesi a rimanere nella propria terra: «Non dobbiamo inoltre dimenticare che la costruzione di città e villaggi è stata fatta sui poveri corpi dei [contadini palestinesi] . . . terra che loro e i loro antenati hanno lavorato per generazioni».

Novantacinque anni dopo, il problema della presunta necessità di ritorsioni e violenza punitiva persiste mentre lo Stato di Israele propone la sua campagna di genocidio a Gaza5 come una giusta risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Sia il periodo successivo al 1929 che quello successivo al 7 ottobre emergono come tra i periodi più dolorosi e violenti della storia della Palestina, periodi in cui ampie fasce della comunità ebraica globale sono state coinvolte in un discorso di «necessaria» violenza sterminazionista. Allo stesso tempo, la protesta ebraica visibile in solidarietà con Gaza – in luoghi di interesse come la Grand Central Station di New York6 o a fianco dei palestinesi7 nei campi studenteschi in tutto il paese8 – ha portato alla luce una frattura comunitaria più ampia.

La confutazione degli attivisti ebrei polacchi del 1929 offre un correttivo alla politica dominante del presente: «Anche i nostri spiriti sono sconvolti dalla distruzione che ha colpito così tanti ebrei. Questa, tuttavia, non è una giustificazione per perdersi. . . quanto più grande e forte cresce la violenza, tanto maggiore cresce la nostra responsabilità e il nostro dovere di trovare la causa e la diagnosi corrette». Agiscono come contrappeso a quello che vedevano come un ciclo di violenza destinato a ulteriore distruzione.

La politica antisionista e socialista dei radicali ebrei polacchi viene troppo spesso liquidata come un’ingenuità mortale che in qualche modo li portò alla morte nel genocidio nazista, oppure viene esclusa a favore di storie sioniste che mettono da parte l’urgenza delle loro richieste per un mondo migliore. Ma vale la pena ricordare la loro posizione di principio – rifiutando la politica reazionaria ed escludente a favore di un’analisi materiale sobria e solidale – nonostante il crescente pericolo che li circonda. Questi articoli offrono uno scorcio di quella tradizione.

La seguente traduzione è stata modificata per brevità e chiarezza. Il testo completo in yiddish può essere trovato qui9.

Una vergognosa macchia sull’umanità

Il comitato editoriale di Di fraye arbeter shtime

30 agosto 1929

Il sangue ebraico scorre di nuovo come fiumi. Decine di persone sono state assassinate a Gerusalemme, a Hebron, a Tel Piyot e perfino a Tel Aviv. Centinaia sono state ferite nelle antiche città, nei villaggi e nelle colonie di tutta la Terra d’Israele. Gli ebrei oppressi, picchiati e banditi sono sparsi per l’intero Yishuv10, cacciati dalle loro case e pieni di dubbi sul futuro che li attende. Una simile distruzione non veniva inflitta al popolo ebraico nella nostra terra ebraica da molti secoli.

Siamo intimiditi e scioccati dallo stupore per questi eventi sanguinosi. Non siamo ancora in grado di spiegare ciò che è accaduto. Chi è responsabile di questo sangue innocente che è stato versato? A chi dovremmo attribuire la colpa di questi crimini dei nostri tempi? Si tratta semplicemente di una questione di odio razziale? Fanatismo religioso? Opposizione all’immigrazione? Oppure dietro queste scuse si nascondono interessi economici e politici?

Gli arabi, o almeno molti di loro, sono davvero animati dal desiderio di liberare la loro terra dalla dominazione straniera, come i comunisti tentano di convincerci? Questi pogrom sono davvero null’altro che il precursore di una rivolta, un tentativo da parte degli effendi11 e del governo locale di distogliere la rabbia del loro popolo dai veri colpevoli e indirizzarla verso gli ebrei indifesi, che sono sempre il capro espiatorio?

Chi può sapere e chi può dire con certezza quali poteri possono animare una folla selvaggia e ribelle, scatenata verso l’omicidio e il massacro? È possibile che tutte le cause e i poteri menzionati in precedenza abbiano lavorato insieme per produrre queste incredibili immagini dell’orrore. In ogni caso, ora non è il momento di dedicarsi a speculazioni e cavilli. Ciò non fermerà la calamità in questo momento.

Il destino dell’ebreo è miserabile, qualunque cosa faccia e ovunque si trovi. L’ebreo non trova protezione da nessuna parte: nessuna sicurezza per la sua vita e nessuna possibilità di esistere come persona con pari diritti. Da qualunque parte provengano, con sommo sfinimento, gli ebrei si stabiliscono in una terra vuota nella quale hanno un pezzo di pretesa storica. Prosciugano le sue paludi, costruiscono città e villaggi, aumentano la qualità della vita dei suoi abitanti arretrati e semiselvaggi – poi vengono nuovamente condotti come pecore al macello sotto la cosiddetta protezione di un governo laburista inglese12!

La loro esistenza è stata abbandonata. La loro più grande disgrazia non ispira empatia nel cuore di nessuno. Perfino gli stessi ebrei, per quanto vergognoso possa essere, non sono minimamente commossi dalla difficile situazione che hanno sofferto i loro stessi fratelli!

Molti ebrei intelligenti e di sinistra traggono silenziosamente un po’ di sadico orgoglio da questi eventi, cantando «Speriamo di vivere abbastanza per vedere altre vendette simili sugli odiosi sionisti!» In effetti, non mancano gli ebrei che ritraggono gli assassini arabi come eroi, combattenti per la libertà e rivoluzionari. Il barbaro, l’animale – ce ne sono molti tra noi. E verranno lasciati liberi di distruggere il mondo alla prima occasione.

L’attuale pogrom è per molti aspetti una distruzione molto peggiore rispetto a fatti simili avvenuti nell’ex impero russo o di qualunque evento sia accaduto nella Romania contemporanea. La malvagità del governo e la miseria del regime furono responsabili di quei pogrom – poteri che speravamo sarebbero stati rapidamente resi insignificanti [attraverso la rivoluzione].

Ora persino la speranza e la consolazione ci sono state tolte. La nostra ultima e unica speranza – una speranza triste e piena di rammarico, non c’è dubbio – è creare dentro di noi, nel nostro popolo, il potere di reagire e combattere la violenza con la violenza. La gioventù ebraica deve essere cresciuta, evoluta e preparata a difendere la propria terra da un attacco. In Palestina, soprattutto, questa è una necessità assoluta e non più rimandabile.

È doloroso che nel XX secolo la pura forza fisica sia ancora l’unica protezione contro aggressioni e pericoli letali. È anche deplorevole perché ciò porta a ulteriori conflitti, al fascismo e a un rafforzamento della barbarie.

Tuttavia, non abbiamo altra scelta.

Potremo fare la morale agli arabi selvaggi, insegnare loro un perek13 di marxismo, illuminarli, trasformarli in uomini e internazionalisti, solo quando avranno cessato i loro sfoghi, quando sentiranno e sapranno che attaccare gli ebrei significa mettere in pericolo la propria vita.

Le loro vite non riceveranno altra sicurezza da nient’altro.

L’altra faccia della medaglia

Un gruppo anonimo di anarchici polacchi

8 novembre 1929

Abbiamo letto il vostro articolo “Una vergognosa macchia sull’umanità”. A quanto pare, avete dato cittadinanza nelle vostre menti ad un’ideologia reazionaria. Tale ideologia vi risparmia pensieri faticosi e stressanti. E, guarda un po’, finite per pubblicare un’opinione che ogni singolo sionista sciovinista appoggerebbe con tutto il cuore!

Possiamo comprendere che i fiumi di sangue ebraico versato abbiano profondamente turbato i vostri animi. Anche il nostro animo è turbato dalla distruzione che ha colpito tanti ebrei. Questa, tuttavia, non è alcuna giustificazione per perdersi. Scrivete: «Ora non è il momento di dedicarsi a speculazioni e cavilli. Ciò non fermerà la calamità in questo momento». Al contrario, quanto più grande e forte cresce la violenza, tanto maggiore cresce la nostra responsabilità e il nostro dovere di trovare la causa corretta e determinare la nostra diagnosi.

Comprendiamo benissimo che l’imperialismo inglese è la Roma moderna, e sappiamo quanto siano volgari e sporche le sue unghie. Per noi è chiaro che l’Inghilterra vorrebbe che sia gli ebrei che i lavoratori [arabi] non ricevessero nulla, stessero zitti e si accontentassero di permettere all’Inghilterra di praticare il suo omicidio coloniale e la sua politica di predazione. Ma il nostro mondo peccaminoso non possiede persone che si accontentano così facilmente. Entrambe le parti avanzano richieste e lamentele, e l’Inghilterra utilizza l’antico metodo romano: divide et impera. Accendi un fuoco tra i popoli e poi frustali per la loro disonestà.

Lo sappiamo fin troppo bene. Sappiamo anche, però, che ciò non sarebbe possibile se non ci fosse già la legna necessaria per accendere il fuoco. È per questa ragione che non possiamo liquidare sommariamente gli ultimi avvenimenti con il magro pretesto degli interessi inglesi. Siamo anche altrettanto lontani dal dare tutta la colpa al nostro detestato capitalismo e dal dichiarare questo come un tentativo «da parte dell’effendi e del governo locale di distogliere la rabbia del loro popolo dai veri colpevoli e verso gli ebrei indifesi, che sono sempre il capro espiatorio». Proprio adesso gli «ebrei indifesi» non sono impotenti, né sono un capro espiatorio.

Il diavolo sionista, con la sua criminale, irresponsabile campagna demagogica, ha convinto gli ebrei «indifesi», le masse ingenue, che li riporterà nella loro patria nazionale sotto la protezione delle ampie e potenti ali di quel grande popolo biblico, gli inglesi. Le masse credulone e ingenue hanno preso tutto ciò per oro colato e si sono lanciate alla conquista della terra palestinese gridando «Hurrah!» sotto la bandiera britannica e assistite dai battaglioni inglesi. Questo popolo pietoso, agitato dalla demagogia sionista, non si è accontentato semplicemente di conquistare la terra, di diventarne proprietario, ma ha iniziato anche con gioia una nuova campagna: la conquista del lavoro14 con lo slogan «Swój do swego»15, per la quale esso stesso soffrì nella sua terra di Polonia e che condannò come un’ingiustizia.

Non bastava semplicemente rubare la terra dell’arabo; bisognava poi cacciarlo dalla sua terra! Gli ebrei volevano consolidare tutti i diritti per se stessi. Quando sembrava che un certo diritto sarebbe caduto nelle mani degli arabi e avrebbe fatto loro del bene, i sionisti lanciarono un grido: «I filistei sono contro di te, Israele!» L’obiettivo è trasformare l’arabo in una creatura degradata e privata dei diritti civili, che non dovrebbe mai smettere di tremare di paura al pensiero del proprietario terriero ebreo.

Abbiamo avuto la possibilità di parlare con molti ebrei comuni in Palestina che si sono vantati allegramente del fatto che gli arabi tremano di paura per l’ebreo; «Li teniamo nella paura!»; «Se un arabo fa un fischio, riceve un colpo sui denti e impara a non farlo più».

Questa criminale campagna sionista ha portato una tale insensata faccia tosta contro gli arabi nella psicologia del pubblico ebraico, che esso considera gli arabi peggio di quanto i Centoneri16 nel periodo zarista consideravano gli ebrei! C’è quindi da meravigliarsi che lo spirito arabo abbia raccolto così tanto odio di natura incontrollabile da essere destinato prima o poi a scoppiare? Di questa iniziativa hanno certamente approfittato sia gli imperialisti inglesi, sia i manipolatori comunisti, sia gli effendi, che hanno accelerato l’intero processo. Ma anche senza di loro, sarebbe sicuramente esploso.

Se solo gli ebrei fossero venuti semplicemente con il loro «pezzo di pretesa storica»! Come avete scritto, invece, sono arrivati a «prosciugare le paludi [della Palestina], a costruire città e villaggi, ad aumentare la qualità della vita dei suoi abitanti arretrati e semiselvaggi». Senza questo, non ci sarebbe stato nessun conflitto! Una prova di questo è la storia del Vecchio Yishuv, così come il lungo e tranquillo movimento Hibbat Zion17 che gli arabi considerarono con calma e in gran parte lasciarono stare. Ciò però non bastò al sionismo politico, che volle sfruttare le sue «pretese storiche» per diventare l’unico proprietario della terra. È per questo motivo che la «pretesa storica» ebraica era destinata a scontrarsi con la pretesa concreta degli arabi, attuali proprietari della terra. Gli arabi risposero ai sionisti con un vecchio detto ebraico: Loy meuktsekho veloy miduvshekho, «Non vogliamo il vostro miele e non vogliamo il vostro pungiglione!»

Non dobbiamo inoltre dimenticare che la costruzione di città e villaggi avvenne sui poveri corpi dei fellahin, che furono scacciati dalle loro terre dagli effendi. Terra che loro e i loro antenati hanno lavorato per generazioni. Naturalmente, gli effendi non lo fecero per amore del sionismo, ma per amore della moneta ebraica.

Non bisogna inoltre perdere di vista il ruolo volgare e vergognoso che i sionisti hanno svolto come prima linea di protezione e mezzo di fortificazione per la predatoria occupazione inglese. Chi di noi non ha familiarità con la santa e storica missione che i sionisti si sono assunti – difendere gli interessi dell’occupazione inglese e servire da baluardo per l’Occidente contro il selvaggio Oriente?

Questa è solo la conferma che finché gli Yishuv ebrei furono senza pretese di potere esclusivo, furono lasciati in pace! Quando gli Yishuv iniziarono a scrivere sulle loro bandiere «Uno Stato per gli ebrei», solo allora si dovettero confrontare con il diritto marginalizzato degli arabi, i quali considerano la terra come il loro paese arabo, non con il potere di «privilegi precedenti», ma con il privilegio attuale, fattuale e concreto di un popolo insediato nella propria terra!

Crediamo tuttavia che esista una terza via per uscire da questi questi inutili slogan di propaganda sciovinista come «Stato ebraico» e «Patria nazionale». Smettete di fungere da baluardo tra l’occupazione inglese e gli arabi. Fate lo sforzo di raggiungere un’intesa con gli arabi – non con gli effendi, ma con i fellahin, i contadini – se non è già troppo tardi per questo lavoro.

1 https://jewishcurrents.org/yiddish-anarchists-break-over-palestine-1929

2 https://www.edizionianarchismo.net/library/manifesto-dei-sedici

4 https://yivoencyclopedia.org/article.aspx/Revisionist_Zionists

5 https://jewishcurrents.org/a-textbook-case-of-genocide

6 https://www.aljazeera.com/news/2023/10/28/protesters-shut-new-yorks-grand-central-station-demanding-gaza-ceasefire

7 https://newlinesmag.com/reportage/jewish-activists-mobilizing-against-war-are-finding-a-new-community/

8 https://jewishcurrents.org/jewish-organizing-at-columbias-encampment

9 https://s3.us-east-1.amazonaws.com/jewish-currents/authors/Freie-Arbeiter-Stimme_1929.pdf

10 Letteralmente “insediamento” o “colonia”. Yishuv può riferirsi sia al “Vecchio Yishuv”, la comunità ebraica residente in Palestina per secoli prima dell’arrivo del movimento sionista, sia al “Nuovo Yishuv”, che si riferisce all’insediamento sionista della Palestina.

11 Un titolo ottomano che si riferisce a un signore o proprietario terriero. In questo testo viene usato come prestito ottomano che si avvicina al termine yiddish “balebos” o “capo”, “proprietario terriero”. Gli scrittori si riferiscono alla classe più ricca di sudditi (post-)ottomani che possedevano gran parte della terra in Palestina.

12 Gli autori qui si riferiscono a Ramsay MacDonald, il primo ministro inglese che aveva recentemente ripreso il potere dai conservatori per formare un governo laburista all’inizio di quell’anno.

13 Un perek (peyrek in yiddish) si riferisce a un capitolo di un testo ebraico, come il Tanach. Qui viene usato scherzosamente in riferimento a testi marxisti, come se fossero testi liturgici ebraici.

14 L’espressione «conquista del lavoro» si riferisce alla campagna sionista di “Kibbush ha-Avodah”, un’iniziativa per boicottare i prodotti arabi e i lavoratori arabi per rafforzare e omogeneizzare il settore ebraico dell’economia. Ciò è stato visto come un’agitazione razzista e come una prova delle aspirazioni sioniste alla proprietà della terra da parte di molti palestinesi.

15 Slogan polacco, «Ognuno per conto suo», utilizzato dai nazionalisti polacchi durante il boicottaggio dei beni ebraici a Varsavia nel 1912-1914.

16 Il movimento delle Centurie Nere era un movimento nazionalista russo di estrema destra, filo-zarista, che incitava ai pogrom contro gli ebrei.

17 Il movimento Hibbat Zion o Hovevei Zion (che significa “Amore di Sion” o “Amanti di Sion”) fu il primo, alcuni sostengono “proto-”, movimento sionista a raggiungere la Palestina. In gran parte senza successo, il movimento Hibbat Zion riuscì a fondare il primo insediamento sionista in Palestina, Rishon LeZion (Primo a Sion) nel 1882, dando così inizio al “Nuovo Yishuv”.