Impressioni di febbraio
Impressioni di febbraio
L’effetto combinato di diversi fattori: l’annuncio israeliano dell’operazione di terra contro Rafah, dove nel frattempo si è concentrato un milione e mezzo di gazawi, alloggiati in tende di fortuna e sempre più esposti alla fame, alla sete, alle malattie; la spedizione militare nel Mar Rosso – a cui partecipa anche il governo italiano – che ha il significato inequivocabile del sostegno attivo al genocidio in corso; la notizia ufficiale secondo cui le navi da guerra israeliane montano cannoni fabbricati dalla Oto Melara; e, da ultimo, l’ignobile comunicato dell’amministratore delegato della RAI che esprime solidarietà a Israele senza nemmno nominare il popolo palestinese (un comunicato non solo servile, ma talmente stupido da far reagire persino l’immondo e complice PD). Tutto questo ha innalzato la soglia emotiva e la disposizione al conflitto delle piazze in solidarietà con la resistenza palestinese, soprattutto grazie al significativo aumento della partecipazione giovanile. Ce ne siamo accordi già martedì sera a Trento, dove una manifestazione spontanea di circa duecento persone si è trasformata nel blocco della trafficata via sotto la sede della RAI: tanti giovani, interventi carichi di rabbia e un clima più intenso del solito (anche per la notizia delle cariche a Napoli). Impressione confermata dal presidio-corteo di Torino, dove centinaia di ragazze e ragazzi hanno affrontato con coraggio i manganelli della Celere, per invadere in seguito un McDonald’s e proseguire con la manifestazione; e poi a Bologna, dove un affollato presidio lanciato dai Giovani Palestinesi in Italia si è scontrato con polizia e carabinieri. Ma anche dove non ci sono stati scontri – a Milano, a Genova, a Firenze… – intensità, vasta partecipazione giovanile e forme meno ingessate di protesta hanno caratterizzato queste ultime giornate. Dal divieto dei cortei nella Giornata della Memoria (selettiva) alle reazioni di fronte a un semplice “Stop Genocidio”, anche i sassi si sono accorti che le “richieste” sioniste possono contare su tre scorte: le circolari del Ministero degli Interni, la propaganda di Stato e i manganelli della polizia. Il comunicato RAI, arrivato dopo oltre quattro mesi di sistematici bombardamenti su Gaza, è stata la classica goccia dentro un clima crescente di guerra nel quale la resistenza palestinese interviene come imprevisto. Tanti giovani scoprono nel genocidio del popolo palestinese il loro Vietnam, nei “valori occidentali” solo ipocrisia e infamia, nella liberazione palestinese dal sionismo – e dall’imperialismo che lo sostiene – una leva per la loro stessa liberazione da un futuro di massacri, disastri ambientali e controllo sociale.
Il fatto che la propaganda sionista sia sempre più isolata è ben dimostrato dal finto “dietrofront” nelle dichiarazioni sulla “esagerazione” e sulla “sproporzione” dei bombardamenti israeliani: le parole di Biden sono state subito ripetute da Tajani e poi sono spuntati mozioni e presìdi dell’“opposizione” per un “cessate il fuoco umanitario”, mentre invece la Lega chiede di vietare ogni manifestazione in solidarietà con la Palestina. Se quest’ultimo attacco (contro la solidarietà, ma anche contro il protagonismo degli immigrati) arriva fuori tempo massimo, gli improvvisi “distinguo” sulla politica israeliana sono in realtà preoccupazioni per la tenuta dell’imperialismo occidentale, nonché fumo negli occhi visto che rispetto alle collaborazioni militari, tecnologiche e commerciali con Israele nessuno muove un dito (Cina e Russia comprese), mentre sulle navi militari italiane in Mar Rosso tutta la classe dominante nostrana è d’accordo.
Intanto nell’aria – speriamo proprio di non sbagliarci – sembra circolare una maggiore disponibilità a tradurre in atti un sentimento di orrore che toglie il sonno. In tal senso, lo sciopero generale del 23 febbraio – soprattutto là dove assumerà la forma del blocco di merci e logistica – e la manifestazione del 24 febbraio a Milano contro tutte le guerre del capitale sono due occasioni. Con la consapevolezza che senza l’aggiunta di pratiche più incisive di azione diretta, scioperi e manifestazioni non possono impensierire davvero governo, padroni e signori della guerra.