Su un presidio al CPR di Trapani
Riceviamo e diffondiamo:
da https://sicilianoborder.noblogs.org/post/2023/12/18/presidio-a-trapani-contro-il-cpr/
Dopo che a metà novembre alcunx hanno provato a inceppare la macchina della deportazione da Pian del Lago, dove sta il CPR di Caltanissetta, domenica 17 dicembre ci siamo ritrovatx fuori dal CPR di Trapani Milo.
Ci siamo messx di fronte alle grate gialle, intenzionatx a stare lì.
Prima un volantinaggio qualche strada più in là, per raccontare a chi passava che c’è altro in questo mondo rispetto al poter passare una domenica di sole al supermercato. Ci sono persone rinchiuse che resistono, c’è la possibilità di non lasciarle da sole.
Mettersi fuori da quella prigione: il minimo che abbiamo sentito di fare di fronte alla sua violenza, alla polizia che vi agisce indisturbata, che “picchia e violenta” impunita, come hanno urlato da dietro le sbarre, allunga i tempi di detenzione, nega ogni possibilità, anche meramente legale, di provare ad andarsene.
I CPR siciliani sono quelli da cui lo Stato italiano deporta di più. Da Trapani, come anche da Caltanissetta, martedì e giovedì parte un autobus per l’aeroporto di Palermo. Albastar la compagnia che più spesso riceve i soldi per fare i voli di deportazione in Tunisia.
La scorsa domenica eravamo inaspettatx, ma siamo statx subito calorosamente accoltx da chi è detenuto.
Certo non c’è stata solo la musica, le parole di conforto, i ‘fratelli’ e ‘sorelle’ ricevuti da dentro.
Ci sono stati i sordi e potentissimi colpi inferti, a risuonare contro il nostro battere sulle barriere in metallo.
Due camionette di militari, due di celere e una di carabinieri sono giunti a dare manforte. Abbiamo sentito la rabbia e il timore che entrassero a sedare le urla, a mettere a tacere le 120 persone recluse li dentro.
Alcuni sono lì da più di tre mesi. Provengono principalmente da Tunisia e Albania, ma ci sono anche gambiani. Raccontano di psicofarmaci dati di di nascosto, messi nei pasti. L’inverno senza riscaldamento. L’avvocato, quando va bene, è d’ufficio. Ovvero qualcuno che spesso sa poco o nulla di leggi sull’immigrazione e non prova neanche a farti uscire.
I contatti con il fuori di fatto impossibili: 5 euro per una telefonata di 4 minuti, quando decidono di fartela fare. Più persone da quando sono dentro non hanno potuto avvisare nessuno, famiglie, amici. Scomparsi in mare, scomparsi in questi luoghi: si infligge dolore non solo a chi è rinchiuso, ma anche agli affetti fuori.
E’ una macchina che produce agonia che va fermata, inceppata.
La speranza viene da dentro, va resa possibile anche da fuori. Domenica, per sei ore l’isolamento si è rotto, si è mostrato che è possibile comunicare e starsi vicino, che non possono controllare tutto.
Domenica da dentro e da fuori si è gridato assieme il proprio odio contro le prigioni e il proprio desiderio di hurrya, libertà.
La liberté est d’abord dans nos coeurs, la liberté non ci fa paura.
L’indomani, un amico è uscito.
L’indomani una rivolta è in corso.
Alcunx compagnx contro le frontiere e le galere.