Pola Roupa: Vogliono rimettermi in carcere + Iniziative in solidarietà
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Pola Roupa: Vogliono rimettermi in carcere
Il 13 dicembre, quasi un mese dopo il mio rilascio [17 novembre], mi è stato notificato un ricorso del sostituto procuratore della corte d’appello dell’Eubea contro la decisione di scarcerarmi, chiedendo che io sia tradotta in carcere. Nel suo ricorso, chiede la “scomparsa” dell’ordinanza del tribunale distrettuale di Tebe che mi ha rilasciato dal carcere. Si tratta di una mossa politica, dettata dall’evidente malcontento politico che la mia liberazione ha suscitato in alcuni centri di potere.
In base alla logica di questo appello, alle argomentazioni e alle “prove” che menziona, è scontato che nessun pubblico ministero se ne sarebbe occupato se avessero riguardato qualsiasi altro prigioniero o detenuto. Ad esempio, il sostituto procuratore dell’appello dell’Eubea “critica” nel proprio ricorso la “metodologia” seguita dal consiglio del tribunale distrettuale di Tebe, cioè il fatto che non sono stata convocata di persona al consiglio quando stava esaminando l’istanza di scarcerazione condizionale che mi riguardava, mentre migliaia di donne sono state rilasciate dal carcere di Eleonas prima di me utilizzando esattamente la stessa metodologia e nessun pubblico ministero si è mai occupato di nessuna di loro. Perché secondo l’approccio – apparentemente corretto – alla questione da parte dei consigli dei tribunali distrettuali di Tebe, il pubblico ministero che raccomanda la scarcerazione temporanea di un detenuto è quello che si trova anche in carcere, conosce le detenute e, in collaborazione con il servizio che ha più “attriti” con le donne, ha un’opinione di particolare peso che non può essere oggettivamente ribaltata da pochi minuti di presenza della detenuta via skype nel consiglio, che è composto da persone che la vedranno per la prima volta. La presenza di una detenuta nel consiglio per il suo rilascio temporaneo avviene solo se la proposta del pubblico ministero è negativa e ciò al fine di verificare nuovamente se la proroga proposta della detenzione è giustificata.
È impossibile per me credere che i procuratori dell’Eubea apprendano ora per la prima volta la metodologia che è stata seguita per decenni per le detenute del carcere di Eleonas da innumerevoli consigli giudiziari di Tebe (e di Atene, poiché lo stesso metodo è applicato nel carcere di Korydallos). Solo nel mio caso è stato presentato un ricorso, ovviamente perché… io sono io e perché c’è uno sfondo e un motivo politico.
Un altro punto dell’appello è l’invocazione da parte del procuratore delle assoluzioni per i rapporti disciplinari relativi alle proteste avvenute nel carcere di Korydallos nel 2017. Tralasciando il fatto che si tratta di assoluzioni – e che anche le condanne per infrazioni disciplinari, come previsto dal Codice Penitenziario, non sono sufficienti a impedire la scarcerazione condizionale di un detenuto – il procuratore non sembra essersi preoccupato del fatto che tali rapporti e le relative assoluzioni riguardavano decine di detenute che avevano partecipato alle mobilitazioni. Tuttavia nessuna di queste donne ha avuto problemi inerenti questi temi durante il procedimento di scarcerazione condizionale. Il fatto stesso che vengano citati come argomenti per una mia nuova traduzione in carcere è indicativo del tipo di terreno su cui si basa l’argomentazione e del grado di arbitrarietà che si cerca di esercitare su di me.
Ciò che indubbiamente motiva questo specifico ricorso è il fatto che vuole (o, per essere più precisa, vogliono) da me delle dichiarazioni di legittimazione politica e di ravvedimento. Questo può essere dedotto, tra l’altro, dal riferimento alle motivazioni delle prime due ordinanze della direzione del carcere che hanno respinto le mie prime istanze di congedo ordinario, le cui argomentazioni erano di natura politica, poiché la prima decisione riguardava posizioni politiche che avevo occasionalmente espresso in pubblico e in tribunale (in sostanza, queste erano la mia “linea” difensiva) e la seconda riguardava il mio libro Κράτος εναντίον Κομμούνας [“Stato contro Comune”]. Il totale di sette congedi di uscita regolari di cui avevo usufruito è considerato un motivo insoddisfacente per concedermi la scarcerazione condizionale, mentre la giustificazione politica del rifiuto delle mie prime due istanze di congedo regolare, successivamente annullate, è considerata più rilevante. Nemmeno risulta essere significativo per il procuratore d’appello che l’unico procuratore del carcere citato nel ricorso sia quella che alla fine mi ha concesso cinque permessi di uscita regolari e due permessi d’emergenza della durata di 48 ore per gravi motivi familiari, uno dei quali senza scorta di polizia; è stata infine lei a fare la proposta favorevole al tribunale distrettuale di Tebe per la mia scarcerazione condizionale. In breve, il procuratore d’appello l’“accusa” di non aver preso in considerazione… se stessa, specificatamente una sua vecchia opinione espressa un anno e mezzo fa.
Non mi dilungherò ulteriormente in questo testo sulle motivazioni del ricorso, ma questi elementi sono indicativi della mia affermazione che si tratta di una mossa politicamente motivata e intenzionale, poiché un ricorso contro una decisione di una commissione per la scarcerazione condizionale di un detenuto non si basa su… dubbi, che, a parte tutto, sono anche non dimostrati, ma su prove forti e concrete. Del resto, l’istituto della scarcerazione condizionale non è mai stato e non è un “indulto”, bensì un provvedimento che viene posto in essere obbligatoriamente, non essendo sufficiente un eventuale “dubbio” per la proroga incondizionata della detenzione. Altrimenti non ha senso l’esistenza di questa istituzione e nel mio caso – se il consiglio d’appello infine imponesse una nuova detenzione in carcere – il diritto alla scarcerazione condizionale risulterebbe aggirato e praticamente abolito (prima per me, poi per altri).
Pertanto la corte magistrale di Lamia ha raggiunto tale condizione di sostanziale abolizione del diritto a essere scarcerati per un certo periodo di tempo, e la stessa corte magistrale di Lamia insiste nel rifiutare per l’ennesima volta di rilasciare il mio compagno Nikos Maziotis dal carcere di Domokos, anche se ha scontato in carcere molto più tempo del tempo prescritto.
A decidere la mia scarcerazione è stato il collegio dei magistrati di Tebe, che ha ritenuto non potessi essere esonerata dal diritto a essere rilasciata in scarcerazione condizionale, poiché a nessun detenuto è stata applicata un’esenzione per alcun motivo. La scelta del procuratore del tribunale distrettuale di Tebe di accogliere la mia scarcerazione è permeata dall’idea che non fossi esente per motivi politici dal diritto alla scarcerazione condizionale. Avverso questo punto di vista e a favore di una mia nuova traduzione in carcere per via delle mie concezioni, posizioni, convinzioni e valori politici si pone questo ricorso del procuratore d’appello dell’Eubea, che cerca di pormi in uno stato di eccezione per motivi politici.
Ritengo che l’elemento dominante di tale mossa e di questo metodo risieda nel fatto che la mia scarcerazione venga avvertita come una “sconfitta politica” per alcuni ambienti del sistema e che la proroga a tempo indeterminato della mia detenzione vada intesa come una “correzione” di tale situazione. Perché se il consiglio d’appello dell’Eubea accetta di rimettermi in carcere adottando la logica espressa nel ricorso, cioè senza prove e fatti ma solo sulla base di speculazioni politiche, allora significa che vogliono tenermi in carcere a tempo indeterminato. Tutto questo non può accadere per nessun altro motivo che non sia la natura politica del caso per cui sono stata imprigionata per 8 anni e 6 mesi (13 anni “misti”), ossia l’attività di Lotta Rivoluzionaria [Επαναστατικού Αγώνα, Epanastatikòs Agónas, EA], ma soprattutto per il mio atteggiamento politico nei confronti dei processi e dei procedimenti giudiziari. Questo mio percorso storico viene ritenuto “efficacemente affrontato”. Si tratta di una mossa di pura vendetta politica.
P. S.: Alcuni giornalisti, nei giorni della mia scarcerazione, hanno cercato di creare un clima politico di malcontento intorno alla mia liberazione – e sembra che ci siano riusciti – concentrandosi su una vecchia condanna all’ergastolo inflittami da un tribunale di primo grado per l’attacco di Lotta Rivoluzionaria contro l’edificio della Banca di Grecia (la filiale della Banca Centrale Europea) e l’ufficio del Fondo Monetario Internazionale nel 2014, senza avere alcuna conoscenza dell’oggetto, dell’accusa e della sua natura, della legge e delle motivazioni politiche di questo tribunale che intendeva, per ragioni puramente politiche, imporre tale condanna in risposta alla resistenza dinamica contro i “memorandum” (quest’azione era diretta contro l’allora cosiddetta troika). Il potere che alcune persone hanno in mano, unito alla semianalfabetizzazione o addirittura alla completa ignoranza, diventa pericoloso. Vorrei quindi informarvi che la legge con cui sia io che il mio compagno Nikos Maziotis fummo condannati in riferimento a quell’azione di Lotta Rivoluzionaria era una legge, la 270 del codice penale, imposta con un decreto presidenziale dal governo Papadopoulos nel 1969 per far fronte alle azioni dinamiche (gli attentati dinamitardi) che stavano avendo luogo in quel periodo contro la giunta dei colonnelli. L’avevamo sollevato più volte nei tribunali e ne avevamo chiesto la non applicazione (sono numerosi i documenti audio e testuali dei nostri processi in cui ci riferiamo alla questione e che chiunque può facilmente reperire), dato che, oltre alla pesante storia politica di questa legge, il retroterra profondamente reazionario che lega l’epoca di allora con gli anni dei “memorandum” e la resistenza a essi, si trattava di una legge il cui rischio di diventare un trampolino di lancio per azioni arbitrarie nei tribunali era stato messo in evidenza da riconosciuti analisti giuridici (si veda, ad es., Ioannis Manoledakis, Ποινικό Δίκαιο Γενική Θεωρία [“Teoria generale del diritto penale”], pp. 271, 276, 338; D. Spyrakou, Αφηρημένη διακινδύνευση: μια επικίνδυνη κατασκευή για το Ποινικό δίκαιο [“Il pericolo astratto: un costrutto pericoloso per il diritto penale”], Ποιν. Χρον. 1993) che si sono scagliati contro le leggi di “pericolo astratto” come questa. Con una legge di questo tipo è possibile condannare qualcuno (anche con il massimo della pena) non per gli esiti effettivi di un atto, ma per ciò che l’atto può potenzialmente causare, il che si definisce punizione intenzionale ed è definita dal grado di malizia che il giudice attribuirà all’imputato al fine di causare un effetto.
Nel nostro caso, entrambi i tribunali hanno fatto ricorso a una moltitudine di arbitrarietà, poiché anche nella sua stesura recente la legge richiedeva molte acrobazie mentali per sostenere quella sentenza. E l’elemento chiave della loro argomentazione erano le nostre posizioni politiche nei processi. Alla fine, questa legge è stata emendata con il Codice Penale del 2019 insieme ad altre leggi incentrate sul “pericolo astratto”, diventando infine specifica, cessando di essere uno strumento per azioni arbitrarie nei tribunali. Se alcune persone hanno un vero interesse per questi temi e non vogliono ridursi a pappagalli reazionari di oscuri circoli di potere, che la smettano di fare riferimento a cose che non conoscono e si documentino. Altrimenti, coloro che insistono nel criticare la mia scarcerazione impiegando questo argomento dovranno accettare che stanno sopravvalutando la resurrezione di una legge della giunta militare, con una ricca storia di arbitrarietà politica e giuridica.
Pola Roupa
22 dicembre 2023
Nota di “Attaque” (https://attaque.noblogs.org/): i “memorandum” erano i piani di salvataggio finanziario per lo Stato greco, approvati dalla Commissione europea, dalla BCE e dal FMI (la “troika”). In cambio, queste istituzioni hanno richiesto severe misure di austerità sociale, che hanno impoverito la popolazione del paese a vantaggio delle grandi imprese e dei finanziatori internazionali.
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Iniziative in solidarietà con i compagni condannati per l’attività di Lotta Rivoluzionaria Pola Roupa e Nikos Maziotis (Atene, Calcide, 5 e 10 gennaio 2024)
Rilascio definitivo della compagna Pola Roupa.
Rilascio immediato del compagno Nikos Maziotis.
Microfono e interventi: venerdì 5 gennaio 2024, Propylaia, Atene, ore 18:00.
Presenza solidale: mercoledì 10 gennaio 2024, tribunale di Calcide (Chalkìda, ελ. Bενιζελου 7), ore 12:00.
Il compagno e la compagna non sono soli.
Finché l’ultima prigione non sarà abbattuta.
La solidarietà è la nostra arma.
Assemblea di solidarietà con i compagni condannati per l’attività di Lotta Rivoluzionaria Pola Roupa e Nikos Maziotis
[Συνέλευση αλληλεγγύης για τα καταδικασμένα μέλη του Επαναστατικού Αγώνα Π. Ρούπα και Ν. Μαζιώτη]
E-mail dell’assemblea di solidarietà: synallil-roupamaziotis[chiocciola]espiv[punto]net
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Αφίσα στα πλαίσια δράσεων αλληλεγγύης για τα καταδικασμένα μέλη του Επαναστατικού Αγώνα Π. Ρούπα κ΄ Ν. Μαζιώτη
Οριστικη απελευθερωση της συντροφισσας Πολας Ρουπα.
Aμεση αποφυλακιση του συντροφου Νικου Mαζιωτη.
Mικροφωνικη-συγκεντρωση παρασκευη 05/01/2024, Προπυλαια, 18:00.
Συγκεντρωση αλληλεγγυης τεταρτη 10/01/2024, δικαστηρια Xαλκιδας (ελ. Bενιζελου 7), 12:00.
H συντροφισσα και ο συντροφος δεν ειναι μονοι.
Mεχρι το γκρεμισμα της τελευταιας φυλακης.
H αλληλεγγυη ειναι το οπλο μας.
Συνέλευση αλληλεγγύης για τα καταδικασμένα μέλη του Επαναστατικού Αγώνα Π. Ρούπα και Ν. Μαζιώτη