MOBILITIAMOCI CONTRO LA GUERRA! Lettera aperta ai disertori dell’Emergenza

Pubblichiamo – in una versione leggermente riveduta – questo volantino, preparato e distribuito da alcuni compagni e compagne alla manifestazione genovese dello scorso 25 febbraio contro la partecipazione italiana alla guerra in Ucraina e il complesso militare industriale. Ne approfittiamo per dire due parole al riguardo. Al netto delle posizioni di una parte degli organizzatori, e in particolare dell’USB nazionale (tendenti a un certo “sovranismo di sinistra” e alle illusioni del “multipolarismo”…); e al netto del trionfalismo che abbiamo ascoltato dai microfoni a fine manifestazione, si è trattato comunque, anche per noi, di una giornata bella e importante. Innanzitutto, per aver finalmente lanciato un segnale di una certa consistenza numerica contro la guerra, raccolto da migliaia di persone dei milieu più diversi (comprese le componenti più anti-istituzionali e di classe della galassia “no green pass”). Secondo, per la palpabile e sincera solidarietà verso il nostro compagno Alfredo Cospito all’indomani dell’infame sentenza della Cassazione («fuori Alfredo dal 41bis!» era forse lo slogan più gridato e rilanciato dai diversi spezzoni). Quando il corteo stava per terminare, la solidarietà verso Alfredo si è materializzata – al grido di «assassini!» – in una sassaiola contro un commissariato di polizia e la banca adiacente.

Se a questo si aggiunge che lo scorso sabato si sono avute analoghe manifestazioni contro la guerra e l’invio di armi anche in altre città, possiamo forse pensare che le speranze contenute in questo volantino non siano del tutto campate in aria. A patto, come consigliava una scritta murale del Maggio francese, di fare presto.

Scarica il volantino: mobilitiamocicontrolaguerra

MOBILITIAMOCI CONTRO LA GUERRA!

Lettera aperta ai disertori e alle disertrici dell’Emergenza permanente

Cari disertori, care disertrici dell’Emergenza permanente,

quest’oggi siamo qui sperando di cominciare a sollevarci da uno stato di cose che ogni giorno si fa più oppressivo e insieme più pericoloso. Prima di tutto, però, cerchiamo di presentarci.

Siamo anarchiche e anarchici. Come tali, storicamente, ci troviamo ad essere parte di quel variegato mondo definibile come “antagonista”, cioè quanti dichiarano di voler superare il capitalismo in quanto tale. Già minoranza nella minoranza – poiché contrari a ogni forma di autorità costituita e di accomodamento con le istituzioni; poiché ostili ai giochetti della “politica”, intesa come arte di dirigere e manovrare gli altri attraverso la menzogna e la coercizione –, durante l’Emergenza Covid-19 ci siamo trovati ancora più soli, stretti tra la difficoltà di analizzare adeguatamente quanto stava succedendo, il disorientamento e il conseguente mutismo di una parte dei “nostri”, e una deriva che ha travolto l’intera “sinistra antagonista” a livello mondiale (fino agli estremi di chi ha invocato la «vaccinazione obbligatoria antifascista» o lodato l’efficienza del «socialismo di mercato» cinese nel gestire l’epidemia!). Come non ci siamo persi d’animo allora, ma abbiamo costruito e diffuso un nostro punto di vista critico sul pandelirio autoritario, così oggi non vogliamo chiuderci nella sfiducia e nel rancore verso chi non ha capito per tempo: la gravità dei tempi e degli eventi, semplicemente, non lo permette. Al contrario, vogliamo cogliere ogni occasione per rovesciare questa situazione e uscire dall’angolo in cui Stati e padroni stanno costringendo gli oppressi, gli sfruttati, l’umanità intera.

In questo senso, la manifestazione di oggi chiamata dai portuali del CALP ci sembra davvero un’occasione. Sia per la volontà dichiarata di fare male alla controparte guerrafondaia invadendo il porto, sia, soprattutto, per la chiarezza della chiamata stessa, di cui riportiamo alcuni stralci: «Oggi siamo a un anno dall’inizio della guerra tra Russia e Nato per procura in Ucraina […]. Uno scontro iniziato nel 2014 dall’Ucraina verso le zone del Donbass, che ha provocato decine di migliaia di vittime di cui nessuno parla, sfociando in un conflitto allargato nel febbraio 2022 e che oggi rischia di arrivare a una escalation nucleare. […] Un conflitto in cui l’Italia è attivamente coinvolta con l’invio di armi e non solo […] e che ha delle cause che vanno al di là delle cose che vengono propagandate. […] Il complesso militare industriale è tra i molti responsabili di questa escalation, quello almeno che ci guadagna di più. […] I lavoratori e gli sfruttati di ogni paese non hanno nulla da guadagnare. La guerra non è soltanto un enorme macello per i popoli, ma porta con sé anche devastazione sociale, tagli di risorse per il lavoro e per il welfare per sostenere le spese militari». Parole chiare, che volevamo sentire da tempo. E che ci dicono, finalmente, che se Putin e lo Stato russo non sono nostri amici, il nostro primo nemico è quello che marcia alla nostra testa, ovvero chi ci governa; è quello che la guerra l’ha cominciata col golpe di Maidan e l’aggressione nazionalista e fascista ai russi d’Ucraina; ma soprattutto è il complesso militare industriale che – da una parte e dall’altra della trincea globale – alimenta e si alimenta del massacro tra i popoli. Parole che ci dicono, infine, quanto opporci a questa guerra e al mondo che ne viene apparecchiato sia non solo un nostro dovere umano, ma anche un nostro evidente interesse come sfruttate e sfruttati, oppresse e oppressi.

Certo, inutile nascondercelo, nella chiamata manca più che qualcosa. Non viene detto, ad esempio, che il «complesso militare industriale» è qualcosa di più della semplice rete di interessi tra eserciti, dipartimenti universitari e industrie belliche per la produzione di armi, ma al contrario riguarda (e non da ieri…) tutto l’ambito delle tecno-scienze; che in questo «complesso» non c’è una sola ricerca – dalla biologia di sintesi fino all’informatica, passando per la robotica e i nanomateriali – che non abbia carattere duale, insieme civile e militare; e che al suo interno tutto ciò che non è strettamente finalizzato alla guerra è comunque vòlto allo spionaggio e al controllo delle popolazioni, e alla robotizzazione dell’essere umano. Una mancanza non certo casuale. Costringerebbe, infatti, ad ammettere che gli stessi “vaccini” ad mRNA ne sono parte integrante, dato che il loro sviluppo proviene direttamente dal Pentagono degli Stati Uniti attraverso la DARPA (l’agenzia per la ricerca avanzata della Difesa statunitense), e che la tecnologia ad mRNA, per la sua estrema versatilità, è la più adatta all’impiego in campo militare (per la vaccinazione dei soldati… e non solo).

Come è ormai intuibile a chiunque non abbia mandato il cervello in lockdown, l’Operazione Covid è stata, tra le altre cose, un addestramento delle popolazioni alla guerra globale. Per oltre due anni, la società intera è stata addestrata a comportarsi come un autentico corpo militare che obbedisce senza discutere, fino ad accettare – con le “buone” o con le cattive – l’inoculazione di preparati biotecnologici, sperimentali e pericolosi (e che ciò sia stato, tra le altre cose, una preparazione di massa a scenari di guerra batteriologica, non è affatto da escludere). In questo quadro, le prime vittime di questa guerra – dopo russi e russofoni d’Ucraina – siamo stati tutti noi, e in particolare tutti i nostri morti e danneggiati dall’Emergenza, dalle cure negate e sbagliate, dalla sanità mandata deliberatamente allo sfascio, dai sieri criminalmente chiamati “vaccini” (un’atroce verità che, ne siamo convinti, non potrà restare ancora a lungo confinata nei canali di controinformazione…). Che nella chiamata genovese questi aspetti manchino, non possiamo e non vogliamo nasconderlo (e quanti ce ne saranno, qui, di quelli che ci hanno sputato addosso perché non volevamo “vaccinarci”, né chiudere gli occhi, né tacere…); ma queste mancanze non le colmeremo rimanendo tra “noi”, a compiacerci di averci visto più lungo degli altri o a sfogarci sui social. A tre anni di distanza dalla proclamazione dell’Emergenza, e a un anno dall’invasione dell’Ucraina, di tempo ne abbiamo già perso più che abbastanza. O sapremo reagire, rompendo tutte le trappole che Lorsignori hanno seminato ad arte per dividerci, o continueremo a subire la loro guerra all’umanità.

Per questo vi rivolgiamo un appello, care disertrici e disertori. Mentre, nelle scorse settimane, i portuali di Trieste e Monfalcone hanno già effettuato i primi scioperi, rifiutando, come i loro colleghi genovesi fanno da anni, di caricare armi; e mentre per quest’oggi è stato proclamato sciopero contro l’invio di armi all’Ucraina in tutti i porti italiani… non lasciamo che questa occasione si spenga! A partire da oggi, riempiamo ogni giorno le strade della nostra rabbia per tutto quello che ci hanno fatto subire in questi anni, per tutte le bugie che ci hanno raccontato, per tutti i nostri morti da cure negate e sbagliate, per i nostri morti e danneggiati da “vaccino”! Perché questa tragedia non si ripeta mai più; perché non ne accadano altre!

Dal canto nostro, padroni di niente e servi di nessuno, ci auguriamo che questa manifestazione sia solo il primo momento di una mobilitazione – contro la guerra e il suo mondo – che deve cominciare per continuare. Più persone ne prenderanno l’iniziativa, e più sarà diffusa nel tempo e nello spazio (di giorno in giorno, di città in città), e più nessun soggetto politico potrà controllare questa lotta, che è, e deve restare, di tutti e per tutti. Più nessuno potrà controllarla, più padroni e governanti dovranno temerla.

A presto nelle strade.

Genova, 25 febbraio 2023

alcuni anarchici e anarchiche