Dismisura
«Di fronte al fatto piuttosto seccante che si deve morire, il materialismo rivoluzionario non ha proposto la gelosa conservazione della vita, ma un sovrappiù di rischio, di gioia, di bontà, di coraggio, per proiettare nel futuro la memoria del proprio passaggio sulla Terra. Non la fama, che è legata ai corsi fortuiti e meschini del successo, ma la gloria, che è legata alla virtù, cioè alla giustezza delle scelte, indipendentemente dai risultati ottenuti. Concetti antichi, non c’è dubbio. Eppure a quel sogno di immortalità – illusione necessaria, ancorché non confessata – risponde oggi la potenza che ha quasi soppiantato la religione, cioè la tecnologia. Le tre maledizioni che nel racconto religioso seguono la Caduta, cioè dover morire, partorire con dolore e guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, sono proprio le condizioni che l’apparato tecnologico promette di abolire. La riproduzione artificiale dell’umano, la robotizzazione della produzione e la crioconservazione sono i perni dell’utopia totalitaria, il sogno macchinico di superare la finitudine umana. In attesa di eternizzare i corpi, l’intelligenza artificiale promette di conservare nella memoria dei computer i segni di una vita persa» («i giorni e le notti», n. 10, novembre 2019).
Quando lo scontro tra corpo e merce, tra mondo vivente e tecno-industria, tra finitudine umana e trascendenza algoritmica si fa ultimativo, cioè definitorio delle sorti della specie, la linea del fronte fa saltare molti degli schemi a cui eravamo abituati. Per accorgersene, basta rispondere a una domanda come questa: «Perché no la produzione artificiale di esseri umani»? Impossibile farlo senza chiamare in causa determinati princìpi etici, a loro volta distillati di una certa idea di libertà, di uguaglianza e di condizione umana. Come è stato ben riassunto, soltanto coloro che non hanno princìpi non riconoscono alcun limite a ciò che si può tecnicamente realizzare. Ecco allora che ben poche altre questioni sono così decisive in una prospettiva rivoluzionaria: quali princìpi contrapporre ai progetti concreti del totalitarismo tecno-mercantile?
I Greci, come noto, definivano hýbris ciò che stravolge ogni senso del limite. La parola hýbris in genere è resa in italiano con «tracotanza». Più opportunamente, invece, in francese viene tradotta con démesure, «dismisura». Qual è il métron – la misura, ma anche il calcolo – che la potenza tecnica non deve oltrepassare? Ciò che è costitutivo dell’essere umano, in quanto attiene alla sua natura linguistica, etica e politica. Ora, il transumanesimo – cioè l’amministrazione automatizzata delle condotte umane, combinata con la fusione tra digitale e biologico – smantella sia la visione religiosa dell’uomo sia i presupposti della critica illuministica. Uno dei segnali che siamo già incamminati verso «il momento della battaglia finale tra Autorità e Anarchia» sono gli apparenti punti in comune tra integralismo cattolico e umanesimo antitecnologico, tra i criptofascisti e i rivoluzionari antiprogressisti. I primi contrappongono alla dismisura tecnologica – che si basa sul comune odio del corpo e che contende alla religione la promessa escatologica – i princìpi di un ordine gerarchico voluto da Dio, cioè un’idea normativa di natura umana. I secondi gli oppongono un’altra idea di corpo e di spirito, di materia vivente e di libertà, di finitudine e di felicità. Il terreno di conflitto coinvolge, come mai prima nella storia, la nozione stessa di razionalità. Se la battaglia viene da lontano – almeno da quanto si è sostituita l’idea di verità con quella di esattezza –, essa diventa decisiva quando trionfa la misurabilità tecno-mercantile di ogni cosa e proprio per questo i progetti di artificializzazione e di mercificazione della vita diventano letteralmente smisurati. Se la ragione umana è valutazione di mezzi in vista di fini, essa diventa sragione tecnicamente equipaggiata là dove la potenza dei mezzi divora i fini stessi che pretende di raggiungere. Quando un Mezzo – pensiamo alla bomba atomica – è in grado di disintegrare il mondo in cui i fini possono essere perseguìti; quando l’utopia macchinica della comparazione universale – in cui ogni cosa è riducibile a un numero o a un insieme di numeri – abolisce la decisione umana, ragione critica e azione storica si trasformano in un «vergognoso delirio». A un tal punto di opacità organizzata, solo l’immaginazione può ricondurre gli umani alla realtà. Non l’immaginazione come fuga dal mondo, bensì come fantasia morale (Günther Anders), cioè come facoltà di rappresentarsi le conseguenze dei propri gesti e di avvertirne tutto il peso etico. Scriveva Lewis Mumford nel lontano 1934: «Solo sul piano della religione è possibile capire il carattere costrittivo di una evoluzione meccanica che è completamente indifferente agli sviluppi delle relazioni umane» (Tecnica e cultura). La religione ha imprigionato gli esseri umani nella trascendenza grazie a quelle promesse che oggi l’apparato tecnologico s’incarica di compiere nella più cattiva delle immanenze: l’esecuzione istantanea di decisioni senza coscienza e di desideri senza memoria. Di fronte a un Leviatano algoritmico che rimpiazza Dio, e a un mondo vivente e dei vivi ridotto a materia fabbricabile e manipolabile, la menzogna religiosa torna sotto forma di «potere che frena», come richiamo a un ordine naturale e gerarchico nel cui nome condannare l’innovazione permanente. In questa falsa dialettica tra oscurantismo scientista e oscurantismo religioso, il nostro posizionamento dev’essere risoluto quanto cristallino. Rivoluzionari in senso sociale, siamo conservatori in quello ontologico. Nati di donna, vogliamo sovvertire il mondo della merce e della gerarchia, difendendo la nostra animalità e la nostra storicità.
«Il tempo a disposizione di ciascuno di noi è letteralmente finito, cioè limitato. Ciò che non ha limiti, viceversa, ma soltanto delle soglie, è la sua intensità. […] In quelle soglie si trovano, materialisticamente e fuori da pose superomistiche, nel silenzioso dialogo dell’anima con se stessa, nel confronto sincero con i propri compagni, il senso del giusto, l’eroismo, la nostra finita, umana immortalità».