Riceviamo e diffondiamo:

Miseria mentale

L’abuso genera frustrazione.
La frustrazione per non rimanere tale dovrebbe dar vita ad una reazione.
La reazione solitamente genera un’azione.
Nell’azione oltre alla rabbia vi è la sofferenza, assai più dolorosa.
La prima scaturisce solitamente dal senso di impotenza in una situazione ad armi impari, la seconda ne è la conseguenza.
Entrambe appartengono a chi nella situazione si trova in condizioni di svantaggio apparente ed entrambe sono il costrutto della consapevolezza, che si raggiunga o meno;
chi si trova nella posizione diametralmente opposta sceglie di restarne orfano e procede per interesse, solitamente personale o di appartenenza, più facilmente denaro o carriera, tutte condizioni veicolate alla rincorsa della maschera del potere.


L’ordine costituito negli ultimi anni, dopo vari taglia e cuci in cui, a volte, maneggiando male il bisturi, necessitava egli stesso di punti di sutura, ha optato per la procedura di amputazione verso il nemico più acerrimo che non ne riconosce il potere, l’anarchia;
l’amputazione non è una scelta semplice e in medicina è l’ultima spiaggia che equivale alla resa, non certo alla vittoria della scienza.
Il meccanismo non è diverso per la sedicente giustizia e d’altronde non potrebbe esserlo essendo calcolo basato sulle probabilità; la giustizia viene da sempre presentata come elemento riparatore e spesso si commette l’errore di interiorizzare queste dinamiche e farne scaturire ragionamenti.
Giustizia è anche verbo transitivo, prima coniugazione, tempo presente, terza persona singolare: egli giustizia, uccide in esecuzione di una condanna a morte.
Il decantato quanto fallace recupero è la vetrina tribunalizia dei corridoi carcerari:
l’ordine costituito non è recuperatore per etichetta, e qualsiasi programma venga spacciato sotto tale egida è solo il rinnovo del biglietto da visita.
Fosse tendente a qual si voglia recupero, la giustizia porterebbe con sé l’ammissione implicita del problema del quale è soggetto primario e ciò cambierebbe proiezioni e percezioni, quindi procede imperterrita con la rappresentazione del predicato verbale, terza persona singolare.
Nel 2022 la giustizia italiana, dopo aver provato a immobilizzare inutilmente gambe, braccia e mani e non potendosi spingere inosservata verso la lobotomizzazione in preda a delirio di onnipotenza giunto in supporto alla mancanza di intelletti ed armi adeguate, ha provato a seppellire l’anarchia, metodo funzionale per tutti gli elementi raggruppati sotto la sigla DNAA; lo ha fatto applicando per la prima volta uno dei “2 fiori all’occhiello” del sistema penitenziario vigente imbastiti a suo tempo come cappelli del trionfo delle operazioni condotte con zelo e perseveranza dal braccio armato, annunciando così il primato anarchico che si è aggiudicato il primo passaggio in 41 bis.
Si è proceduto a gamba tesa, probabilmente per esibire una punizione esemplare, prestando poca attenzione alle conseguenze che avrebbe avuto il traballante impianto accusatorio; sicuramente si era messa in conto la reazione di area, non per nulla le prime battute sono state il solito binomio anarchici/attentati, probabilmente pensando che ciò fosse sufficiente a fornire un pasto caldo senza alzare polveroni e di concerto a ricever il misero plauso dei benpensanti a cui si donava l’impressione di essere protetti dall’ennesimo pericolo.
Non è andata proprio così; l’area ha fatto la sua parte, i solidali anche e gli avvocati pure dando seguito alle firme di chi ha percepito l’oltraggio ai propri studi e allo stato di diritto (ed evidenziando de facto chi su suolo italico ha scelto tale mestiere con cognizione di causa).
Saltato l’equilibrio che avrebbe dovuto produrre la sola reazione di area da strumentalizzare come rafforzativo a giustificazione delle scelte effettuate, spostando l’attenzione dalla scelta giuridica alla reazione anarchica come da prassi consolidata, si sono levate più voci degli addetti ai lavori (con peso specifico differente dal coro anarchico per l’opinione pubblica) a chiedere risposte; a questo punto si sono uditi i primi scricchiolii e il risultato che si voleva focalizzare sul trionfo del carcere duro per i meritevoli è diventato un boomerang.
Cercando di focalizzare la pericolosità delle gesta di Alfredo per giustificarne le scelte adottate si è evidenziata la pericolosità delle stesse scelte giuridiche; sul palcoscenico allestito ci è finita l’accusa, che a differenza di Alfredo, a cui han tolto la voce, ha smesso di strillare senza bisogno che qualcuno ne boicottasse l’audio.
Non è stata un’idea eccellente seppellire vivo Alfredo; devono averlo intuito quando ha dedicato il suo sciopero della fame non solo alla scelta personale e consapevole del rifiuto dell’abiura e delle condizioni di detenzione, ma focalizzando il problema reale che subiscono 750 persone insieme a lui, parole che hanno indiscutibilmente adombrato la luce del famoso fiore all’occhiello “giustizialista”; a questo punto bisognava eliminare l’audio ed hanno celermente provveduto in video-conferenza.


Il 41 bis e l’ergastolo ostativo hanno iniziato a prendere forma nell’immaginario per ciò che sono realmente, una pena di morte mascherata con l’aggravante di tortura prolungata a discrezione degli organi competenti.
La posta messa in campo in breve tempo ha assunto ben altro spessore e proporzioni non solo sul suolo nazionale; come rispondere senza ammainare il vessillo democratico che si agita per le galere fuori porta e le condizioni detentive ritenute inammissibili e meritevoli di campagne mediatiche? Come giustificare i fasti a tema quando l’articolo 285 è stato usato come ciliegina sulla torta per chi lo stato lo combatte anziché prestarsi a farne da manovalanza?
I cavilli tecnici usati per giustificare in un caso l’applicazione del 285 e negli altri la scelta di non applicarlo non fanno presa sulla pancia del popolo e in questo caso la bassa soglia di attenzione che spesso si ferma al titolo senza approfondimenti, sulla quale è costruita l’informazione mediatica, non ha giocato a favore di toghe e divise.
Una strage senza morti e condanne senza prove sono diventati uno schiaffone alle annuali ricorrenze istituzionali oltre che all’impianto togato.


Come uscirne?
Per ora cercando di spegnere le luci e abbassando le voci, con fede nella scarsa memoria che alberga nell’opinione pubblica, farcita con articoli di informazione che assumono i contorni di casellario giudiziale dal momento che ognuno riporta come un mantra una sorta di excursus della fedina penale di Alfredo; ma non possono più andare oltre e ciò non è sufficiente.
I quesiti non sono più rivolti all’operato di Alfredo, ma a quello delle toghe, di fatto convalidando le parole dello stesso.
Nell’oltre adesso ci sono loro e fanno fatica a starci.
Coloro che pretendono l’osservanza della legge e la giustezza della stessa riservandosi il diritto di essere i primi ad infrangerla allargando maglie a capi, amici e parenti vari, si trovano in difficoltà perché le armi messe in campo sono state utilizzate contro di loro, a far assaggiare la potenza del silenzio e della determinazione, de facto non in vendita.
Si sono nutriti della paranza giuridica di ogni ordine e grado e anche questa sta utilizzando il silenzio, arrivando a rimbalzare la palla ai vertici per non sentirsi obbligata ad appioppare un ergastolo come richiesto.
L’impalcatura rischia il crollo e qualsiasi ipotetico rinforzo crea solo ulteriore danno, quindi il tono di voce bassa lascia spazio al silenzio.


«È strano immaginare che per esserne scandalizzati bisogni simpatizzare per l’anarcoinsurrezionalismo. E
ancora più strano che la solidarietà con la ribellione di Cospito spetti agli anarcoinsurrezionalisti, qualunque cosa voglia dire.

È probabile che la fame di Cospito arrivi molto prima della sentenza della Consulta. Ho provato a riassumere. Non provo nemmeno a commentare: non si può commentare la smisuratezza. La giustizia è smisurata e si compiace di esserlo, i suoi amministratori hanno nomi e cognomi ma non li indossano, bastano le uniformi, sono esseri smisurati per irrazionalità e cattiveria. Il cielo li protegga. Hanno chiamato la loro indagine “Scripta manent”. I romani sapevano che Deus dementat quos perdere vult. Traduzione, aggiustata: Dio toglie il senno a coloro che muoiono dalla voglia di mandare in rovina il proprio prossimo” (“il Foglio”)»: non dev’essere esattamente quello che si sperava che gli scribacchini prezzolati scrivessero.


Hanno pensato di parcheggiare Alfredo in un vortice di abusi legalizzati per ottenere il silenzio di un uomo che non sono riusciti a comprendere prima ancora che piegare, e lui lo ha gentilmente restituito; a lui hanno imposto il silenzio con voli pindarici a mascherare l’inconsistenza delle prove, mentre lui li ha ridotti al silenzio senza imposizione alcuna.
Alfredo ha già vinto la battaglia senza l’uso di alcun potere, solo con la fermezza dell’idea che ha mosso la sua vita per le ingiustizie del mondo.
Senza armi né abusi vi ha rinchiusi in una gabbia dalla quale è difficile uscire.
Chi è l’uomo libero e quanto vale la libertà?
Quali sono le sbarre che non si possono oltrepassare?
Lo avete messo in gabbia ma quei confini coincidono con quelli della vostra.
Senza voce ha scelto di poter fare a meno del corpo rendendovi muti e privando le vostre toghe del significato di cui tanto vi piace abusare.
Avete spento una voce e ne è nato un coro che l’ha restituita a tutti quelli che avete seppellito prima di lui.
Molte voci e molti corpi reclusi stanno affiancando il silenzio di Alfredo e non potete impedirlo.
Più questi corpi si affievoliscono e più diventano pesanti: avete certezza di reggerne il peso?
La battaglia di Alfredo ha messo in crisi il vostro senso di giustizia, non il suo.
Voi avete messo in crisi il sistema giuridico, non l’anarchia.
I vostri studi diretti alla cattura di una preda hanno messo in evidenza il metodo della caccia.
Avete utilizzato le solite armi di distrazione di massa dal problema reale mentre Alfredo il pugnale ve lo ha messo in mano porgendovelo dalla parte del manico.
A lui non serve. Egli basta a se stesso risultando per voi irraggiungibile.
E questo annienta il vostro ruolo.