Storia di Alfredo, l’anarchico al 41-bis: un atto totalmente fuori legge
Da ilriformista.it:
Storia di Alfredo, l’anarchico al 41-bis: un atto totalmente fuori legge
Caro Direttore, la letteratura sul 41-bis si fa via via sempre più nutrita, assumendo i connotati del genere horror. Emerge un interrogativo: esiste un limite all’esecuzione della pena e alla sua afflittività? Viene da chiederselo ripercorrendo la vicenda di Alfredo Cospito, che ha intrapreso lo sciopero della fame all’interno della casa circondariale di Bancali, a Sassari, per denunciare le condizioni cui si trova costretto dal regime di 41-bis al quale è sottoposto dall’aprile scorso, dopo sei anni in Alta Sicurezza. Cospito è un anarchico condannato per strage perché così prevede il dispositivo del reato, anche se l’attentato in questione non ha provocato conseguenze letali.
Nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2006, alla scuola Allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo), esplodono due pacchi bomba a basso potenziale che non determinano morti, feriti o danni gravi. Per questo, la Corte d’Assise d’Appello ha qualificato il fatto come strage (art. 422 del Codice penale): delitto contro la pubblica incolumità, che prevede una pena non inferiore ai 15 anni. Successivamente, nel luglio scorso, la Cassazione ha modificato l’imputazione nel ben più grave delitto (contro la personalità interna dello Stato) di strage, volta ad attentare alla sicurezza dello Stato (art. 285 del Codice penale), condannando Alfredo Cospito e Anna Beniamino all’ergastolo.
Il verdetto è palesemente abnorme, tanto più se si considera che non si è fatto ricorso a quella fattispecie penale – come ricorda Damiano Aliprandi sul Dubbio – nemmeno nei casi di attentati quale quello di Capaci, che ha provocato la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e degli uomini della scorta, e quello di via D’Amelio contro Paolo Borsellino. Tuttavia, nell’immediato, tenuto conto dell’azione non violenta intrapresa da Cospito l’attenzione va concentrata sulle sue condizioni di reclusione. Fino all’aprile scorso, pur sottoposto al regime di Alta Sicurezza, il detenuto poteva comunicare con l’esterno, inviare scritti e articoli e così partecipare al dibattito della sua area politica, contribuire alla realizzazione di due libri, scrivere e ricevere corrispondenza. Poi tutto è cambiato.
Da sette mesi le lettere in entrata vengono trattenute e questo, di conseguenza, induce il detenuto a limitare e ad autocensurare le proprie. Le ore d’aria sono ridotte a due, interamente trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadrati; la “socialità” è limitata a un’ora al giorno, da passare con tre detenuti. In realtà, con uno soltanto, dal momento che un secondo si trova in isolamento diurno e un altro ormai non esce più dalla propria cella.
La conseguenza di tutto ciò è un sistema di vera e propria deprivazione sensoriale: il perimetro dello spazio destinato all’ora d’aria è delimitato da muri alti che interdicono lo sguardo, e la visione del cielo è filtrata da una rete di metallo. «La mancanza di profondità visiva incide sulla funzionalità del senso della vista – scrivono gli avvocati Rossi Albertini e Pintus – e la mancanza di sole limita l’assunzione della vitamina D».
Lo stato di deprivazione sensoriale viene in genere scarsamente considerato, eppure è una delle più efferate conseguenze della natura nociva e patogena del carcere; oltre alle condizioni igienico-sanitarie spesso degradanti. La limitazione dei movimenti e gli orari imposti d’autorità, l’impossibilità di avere scambi e rapporti liberi, la determinazione dall’esterno dei ritmi quotidiani di vita e il controllo sugli spazi più intimi: tutto ciò produce una “postura del carcerato” che finisce inevitabilmente con l’ottundere e deprimere la personalità.
Si tratta, in tutta evidenza, di una condizione totalmente illegale e di uno stravolgimento della lettera e del senso della legge che affida al regime di 41-bis il solo ed esclusivo scopo di impedire i legami tra il recluso e l’organizzazione criminale esterna alla quale apparterrebbe. Tutto ciò che eccede tale finalità è fuori legge. Che cosa ha a che vedere, infatti, con la ratio della norma il blocco della corrispondenza o quella miserabile apparenza di ora d’aria e di “socialità”?
Luigi Manconi