Le cellule immortalizzate di Henrietta Lacks

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Le cellule immortalizzate di Henrietta Lacks

Il corpo delle donne è sempre stato oggetto di mercificazione e comando, sulla sua carne e pelle il dominio patriarcale ha inscritto varie forme di sopraffazione, modelli e norme, sfruttamento e violenza. Ridotto in brandelli e considerato a pezzi, a seconda dello sguardo e dell’interesse che di volta in volta si posavano su di esso. In particolare la scienza medica lo ha analizzato e sezionato, utilizzato come terreno di sperimentazione, con attenzione mirata alla sua capacità riproduttiva per assicurarsene il controllo e finanche l’espropriazione.

Due esempi tra gli infiniti: il congelamento degli ovuli, procedura piuttosto costosa, offerta gratuitamente alle proprie dipendenti da alcune imprese come Apple e Facebook, per incentivare a posticipare una eventuale gravidanza e nel frattempo dedicare all’azienda gli anni più energici e produttivi; il progetto di realizzazione di un utero meccanico intrapreso da un team di scienziati israeliano.

Molti sono gli orrori che costellano la strada del progresso scientifico. Tra i tanti corpi vivi sezionati e sfruttati vi è quello per lo più sconosciuto di Henrietta Lacks, una giovane donna afroamericana, discendente di schiavi, lavorante nei campi di tabacco della Virginia.

Nel 1951 Henrietta si ammala di un tumore alla cervice uterina e viene curata al John Hopkins Hospital di Baltimora, uno dei pochi centri ospedalieri con reparti appositi per persone colored, utilizzate però a tutti gli effetti come cavie a loro insaputa, dietro la finta apparenza filantropica. Un medico che lì lavora lo dirà esplicitamente: … c’era un numero consistente di pazienti neri e indigenti, dunque non mancava certo il materiale per gli studi clinici.

Henrietta è parte di questo materiale umano. Poco prima che muoia, un campione dei suoi tessuti cancerosi viene prelevato, senza alcun consenso, e coltivato in laboratorio. Le cellule mostrano un comportamento anomalo, continuano a crescere e replicarsi senza sosta. La comunità scientifica fiuta subito l’affare e le potenzialità di sperimentazione, per cui in breve tempo nasce HeLa, la prima linea cellulare umana immortalizzata della storia. Le cellule HeLa vengono commercializzate e diffuse nei laboratori di tutto il mondo, utilizzate per ricerche di ogni tipo, dal vaccino contro la poliomielite a studi su tumori e virus vari, dalla mappatura del genoma agli effetti delle radiazioni, fino ad arrivare ai nostri giorni in cui sono state usate negli studi sul Sars-Cov-2, assieme a cellule di scimmia africana e a cellule embrionali umane.

Henrietta muore e una parte del suo corpo continua a proliferare in una vera e propria cell factory, ventimila colture in provetta alla settimana, tonnellate di cellule riprodotte e vendute per decenni. A tutt’oggi.

Molti sono gli aspetti degni di interesse che emergono in questa storia: l’inconsapevolezza e assenza di consenso di una donna sfruttata perché nera e povera, la mole di guadagni sulle sue cellule da parte delle multinazionali della ricerca, la necessità di una critica feroce alla manipolazione medico-scientifica dell’umano. Ma soprattutto emerge la violenza e tragicità di un corpo di donna parcellizzato, identificato con la sua malattia, derubato di sue parti e, attraverso queste, immortalizzato contro ogni evidenza e volontà.

… sì, mia madre si chiamava Henrietta Lacks, è morta nel 1951, al John Hopkins hanno preso le sue cellule e ‘ste cellule sono ancora vive, si moltiplicano, crescono e se non si tengono nel congelatore se ne vanno dappertutto. Gli scienziati la chiamano HeLa, e lei è in tutto il mondo, negli ospedali, nei computer, in internet, dappertutto.

Oltre alla giustezza del semplice riportare alla memoria una vicenda così dolorosa, quale può essere il valore aggiunto di questa storia emblematica? Magari solo una piccola suggestione, un invito a cercare di ricongiungere i frammenti, riunire i brandelli, ritrovarsi, riconquistarsi. Per contrapporre l’autodeterminazione dei corpi alle macchinazioni di Stato e scienza, la vita viva all’immortalità, l’umano e mortale all’artificiale.

Le citazioni sono tratte da La vita immortale di Henrietta Lacks di Rebecca Skloot, Adelphi, e Digitalis purpurea. Riflessioni e pratiche su conflitto, corpo, violenza, Autoproduzioni ReFe – Relazioni Femministe.